IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

Giovanni Boccaccio

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: BOCCACCIO

Il Boccaccio delle opere minori

Nel proemio al Filocolo il Boccaccio dichiara d'aver preso a narrare ancora una volta la storia tradizionale di Florio e Biancofiore, affinché « la memoria degli amorosi giovani » e la «gran costanza de' loro animi» fosse «esaltata da' versi d'alcun poeta», mentre fino a quel momento era stata «lasciata solamente ne' favolosi parlari degli ignoranti». Alcunché di simile avrebbe potuto agevolmente ripetere per la materia che confluisce in tutte le sue opere fantastiche: le leggende del ciclo troiano nel Filostrato e quelle del ciclo tebano nella Teseida; il mondo fiabesco e patetico dei volgarizzamenti e rifacimenti ovidiani, che dal Filocolo all'Ameto e alla Fiammetta costituisce gran parte dell'eloquenza appassionata e del repertorio di situazioni psicologiche dei romanzi e dei poemetti minori; i trattati d'Amore, i novellini, i fabliaux, le cronache, l'elegia di Arrighetto e le allegorie amorose, il ritmo narrativo un po' frettoloso e pedestre e l'ingenua umanità dei cantari, il gusto del romanzesco, dell'avventuroso, dell'esotico, del mirabile che tengono gran posto nella letteratura minore delle civiltà romanze, e che di volta in volta offrono spunti, stimoli e suggerimenti tematici alla sua accesa fantasia. Il gusto e la cultura, che si rispecchiano in questo mondo poetico così composito, contraddistinguono fin dall'inizio l'arte del Boccaccio, rispetto a quelle di Dante e del Petrarca; sia per quanto si riferisce alla disposizione sentimentale eclettica e curiosa, inquieta ed espansiva (laddove in quelli è, sia pur diversamente, tenuta a freno da un rigoroso criterio di scelta), sia per quanto spetta ai modi espressivi decisamente indirizzati al racconto, all'analisi minuta e cordiale delle vicende, degli ambienti, delle figure (mentre nell'Alighieri la rappresentazione dei fatti e degli uomini si condensa in una sintesi drammatica, in funzione di una dottrina e di una individualità prepotente, e nel Petrarca tutta l'attenzione si rivolge all'interno e si determina in forme liriche). Si potrebbe dire che, di quanto gli altri due grandi trecentisti tendono a ricondurre energicamente tutto il contenuto poetico alla loro persona, di tanto invece il Boccaccio tende ad espandere la sua esperienza autobiografica e ad obliarla nella contemplazione di una realtà esteriore, nella creazione di una serie di accadimenti, di paesaggi, di caratteri. Questo significa che la cultura borghese dell'età dei comuni (non genericamente «medioevale», come si suol ripetere) opera nel certaldese con un rapporto più immediato e diretto, meno impacciato da preoccupazioni dottrinali e da schemi culturali; che in lui, più che negli altri, essa si esprime in tutta la sua complessità e in tutte le sue manifestazioni più varie e contrastanti; che egli ne riassume, rendendoli espliciti e chiari, il significato e le aspirazioni e trova le forme più adeguate per corrispondere alle sue esigenze concrete e realistiche e insieme ai suoi ideali di decoro e di raffinatezza il romanzo e la novella.

Non si dimentichi tuttavia che questa disposizione del Boccaccio nei confronti della minor cultura borghese del Due e del Trecento, se è sempre aperta e fiduciosa, non è mai peraltro meramente passiva. Dinanzi a quella materia, in cui pure avverte e ama una straordinaria ricchezza dei motivi poetici allo stato grezzo, c'è sempre l'artista che reagisce con il suo proposito di ricomporre in una superiore dignità e in una più classica armonia quelle esperienze incondite e disperse, e con la sua educazione tecnica rettorica e lirica laboriosamente foggiata sui modelli della prosa d'arte latineggiante e dei rimatori aulici, e c'è l'uomo con le sue personali esperienze erotiche e mondane, con le sue aspirazioni cortesi e raffinate, con le sue confessioni e le sue ambizioni.
Di qui la duplice tensione che caratterizza lo svolgimento dell'arte boccaccesca fino al Decameron, nello sforzo di raggiungere e di contemperare l'equilibrio degli affetti con quello delle forme, la serenità dello spirito e il ritmo pacato dell'esposizione. Tutta la storia di quest'arte può riassumersi, per una parte, nel contrasto fra un'esperienza sentimentale esuberante tumultuosa e appassionata e l'ambizione di una cultura ricca, ma farraginosa e ancora acerba, fra un'autobiografia invadente e una rettorica tuttora scolastica, e per un'altra parte, nel contrasto, che fino ad un certo punto coincide col precedente, fra la persistenza di motivi lirici (di confessione, elegiaci, patetici) e l'esigenza di un ritmo narrativo robusto ed agile al tempo stesso, umano e pur distaccato. Donde una somma di incongruenze di incertezze e di scadimenti tonali, che si risolve soltanto nella raggiunta maturità umana e stilistica del capolavoro. Nel quadro di questi contrasti si colloca anche, come problema in apparenza minore ma persistente, l'esigenza di un organismo in cui vengano a disporsi in una composizione ordinata ed armonica tutte quelle esperienze disperse e di per sé frammentarie, l'esigenza cioè della « cornice », che, intravista e abbozzata nell'episodio delle «questioni d'amore» del Filocolo e nel disegno dell'Ameto, diventerà elemento essenziale e necessario della struttura del Decameron.

Occorre che i temi lirici si vengano a poco a poco decantando del loro prevalente soggettivismo e autobiografismo, attraverso un assiduo esercizio di ritrascrizione letteraria, perché all'autore riesca alla fine di ridurli a materia viva e pulsante di un'obiettiva ricostruzione psicologica, e di fonderli con gli altri temi, che pure affiorano insistenti e un po' striduli già dalle pagine dei primi scritti napoletani, di un realismo ora sorridente ora acre. Occorre che l'ammirazione compiaciuta di un mondo idoleggiato di raffinate costumanze e di eleganze cortigiane si sciolga via via dai moduli fissi di una letteratura convenzionale, e diventi norma ideale, misura di decoro e di gentilezza, capace di aderire all'infinita varietà delle situazioni reali nei diversi strati e nelle distinte articolazioni della vita sociale. Occorre che la cultura e la tecnica letteraria cessino a poco a poco di porsi come strumento di ornamentazione e stilizzazione, e acquistino libertà e duttilità di movimenti, così da piegarsi volta per volta alle mobili situazioni del sentimento. Occorre infine, e soprattutto, che ad organizzare questa multiforme materia s'affacci e prenda alfine il sopravvento un criterio di valutazione e di interpretazione risoluto e vigoroso; onde la complessa realtà, non più accarezzata in alcuni aspetti esclusivi, ma rivissuta nella totalità delle sue manifestazioni, si definisca come materia organica di un'ispirazione di vasto e ordinato respiro, retta da un fermo e lucido giudizio, lievitata da un profondo e vitale impulso polemico.
Questo è il senso e l'importanza della prolungata esperienza sentimentale e stilistica, che occupa la giovinezza e la prima maturità dello scrittore e si esplica nelle opere minori.

La ricchezza e la varietà dei motivi fantastici, che urge nelle pagine del Filocolo e le assiepa con una dovizia di invenzioni tematiche, che sembra venir meno negli scritti immediatamente posteriori; il caldo e abbondante lirismo che illumina nel Filostrato i tentativi ancora sommari ed ingenui di definizione psicologica, nello studio dei caratteri singoli e nel taglio preciso della favola; la stilizzazione dei motivi patetici e sensuali perseguita nella Teseida, attraverso un proposito ambizioso di struttura epica; il cauto accostamento nell'Ameto a una materia che l'inquadratura stilnovistica e allegorica si propone di innalzare e nobilitare, conferendo loro una prima, ancor tutta esterna e provvisoria, unità di organismo poetico; l'impegno di un ritmo narrativo e dell'accanita esplorazione di un sentimento, indagato in tutte le gradazioni e sfumature, in tutte le fasi della sua storia segreta, nell'Elegia di Fiammetta, con un rigore di moralista e di stilista ancor più che di poeta; la freschezza e la libertà inventiva del Ninfale fiesolano, con quel suo fortunato equilibrio di delicata sensibilità e di vivacità popolaresca; sono altrettanti momenti di un processo di maturazione sentimentale e di allargamento degli orizzonti poetici, che culmina nella serena e potente commedia umana del Decameron. Così come ai modi formali, al linguaggio e allo stile del capolavoro, forniscono la necessaria preparazione i molteplici esperimenti giovanili, in cui si viene elaborando, in forme via via più originali e più aderenti, la sintassi del racconto e del dialogo, mentre il lessico si svincola dai modelli letterari e si arricchisce al contatto di una viva e sensuosa materia.

Natalino Sapegno

© 2009 - Luigi De Bellis