Giovanni
Della Casa
Il problema del Della Casa lirico, abbandonato dopo il
primo ottocento e confuso nella generale condanna dei
petrarchisti da parte del tardo romanticismo, fu
risollevato dal Croce e, sulla sua scia, dal Flora e dal
Sapegno, nelle loro storie letterarie, mentre l'ermetico
Bo lo valorizzava al massimo e il Seroni studiandone la
«tecnica», lo riduceva ad uno stilista complesso, ma
sostanzialmente senza poesia.
Il problema è ora in termini assai chiari: puro stilista
o poeta che attraverso un arduo tecnicismo sa tuttavia
realizzare genuini motivi poetici? E già il Bonora, in
un acuto saggio, mostra di aver ben inteso l'importanza
e l'esagerazione del giudizio di Seroni e propone un
riscatto di autentico animo poetico dentro l'arte e
l'artificio del letterato (e del resto già il Croce
aveva comunque escluso per i sonetti migliori una
semplice altezza oratoria).
Se il Seroni ha storicizzato assai bene la poetica e la
tecnica dellacasiane sottraendole alle determinazioni
più psicologiche foscoliane, alle suggestioni del Torti,
ha poi finito e a volte per gusto polemico
(caratteristico il commento al sonetto «Al Sonno») per
negare troppo facilmente qualità poetiche, temperamento
poetico ad un artista sentito piuttosto come
intarsiatore, abilissimo tecnico e soprattutto oratore
della poesia, scolaro più che di Petrarca e Virgilio, di
Cicerone, sulla direzione della «gravitas» interpretata
oratoriamente.
Senza dubbio il Seroni ha ben colto il procedimento
costruttivo del Della Casa, la sua preoccupazione di
creare « spazi sonori perfetti » e sulla via della «gravitas»
proposta dal Bembo, è indubbia un'inevitabile ricerca di
appoggio oratorio (la « persuasione » raccomandata dallo
stesso Bembo nelle Prose della volgar lingua), ma tutto
ciò non toglie che a reggere ed utilizzare i complicati
mezzi stilistici che il Della Casa riprendeva, e
personalizzava, dalla maniera, dalla scuola
petrarchistica, sia non solo un calcolo artistico
avveduto e raffinato, ma una sua vera capacità poetica
che venne enucleandosi e precisandosi soprattutto
nell'ultimo periodo della sua produzione lirica.
Le ultime poesie nella loro alta aura meditativa, nella
loro suggestione di sviluppo profondo, intimo e
distaccato, non potevano nascere per puro calcolo, per
pura volontà oratoria e la ragione prima del fantasma in
cui si compongono, non può essere che poetica, come la
sentiva il Tasso nella sua lezione sul sonetto «Questa
vita morta» che egli elogiava per l'alta elocuzione, ma
per cui partiva dalla constatazione della presenza di
due elementi indispensabili alla poesia: «la natura e
l'arte», e per cui scandagliava, riferendole ad unico
fine poetico, non solo i procedimenti più singolari del
Della Casa («la difficultà delle desinenze, il
rompimento de' versi, la durezza delle costruzioni, la
lunghezza delle clausole, e il trapasso d'uno in un
altro quaternario e d'uno in un altro terzetto, e in
somrna la severità per così chiamarla dello stilo»), ma
le qualità più interne e naturali che a quelli poi
comandavano: studiava le qualità stilistiche del Della
Casa, ma non credeva perciò di negarne la spinta interna
poetica.
Così - sfuggendo alle tentazioni di una totale riduzione
ad artificio e retorica, senza chiedere drammi e sfoghi
autobiografici, a verifica di poesia, né riducendo
poesia a tecnica - si può cogliere nel più alto stilista
della lirica cinquecentesca la ricchezza e peculiarità
dei suoi mezzi e la individuale voce che in quelli si
esprime.
Il cammino del Della Casa è cammino dalla letteratura, e
dentro la letteratura, verso la poesia, da forme più
esterne attraverso forme più sue, prevalentemente
tecniche, a forme più genuine e sicure, ad esiti di
poesia (anche se non molto numerosi) dopo prove di
abilità, di tecnica, di ricerche di originalità più
all'esterno che all'interno, nel linguaggio
petrarchistico più che al di sopra di quello in un
intimo rinnovamento. Meno impetuoso del Tarsia, che
anche in alcuni sonetti meno riusciti può far sentire
improvvisamente la mossa energica e personale, il Della
Casa si svolge lentamente, in mezzo alla sua produzione
di scrittore latino, di oratore, di prosatore, di
scrittore burlesco (i capitoli della stia gioventù
insidiosi per il suo cappello cardinalizio), alla sua
attività di ecclesiastico e diplomatico della
controriforma, ai suoi impegni sociali che ben trovano
nel Galateo una salda giustificazione di moralità
civile, di contatto con la società: e la stessa lirica,
in gran parte di corrispondenza, contribuisce a questo
senso di costruzione nella società, per la società sia
pure di élite. Ma proprio nella lirica si può vedere
anche lo svolgersi del Della Casa verso una sua
solitudine, verso il distacco e un più puro raccordo fra
il suo animo e la sua arte, dopo tanto contatto e
interpretazione delle esigenze del suo tempo...
Il capolavoro del Della Casa, il sonetto più interamente
suo, nasce da un'evocazione, fatta in zone profonde
dell'animo, di una coincidenza di immagini: quella della
sua vita ormai vicina alla fine e immersa inuna luce
avara c scarsa e quella di una selva solitaria e
invernale (le selve del Montello viste da Nervesa) senza
nessuna crudezza di paesaggio « visto », come paesaggio
mitizzato, assoluto:
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O dolce selva solitaria, amica
de' miei pensieri sbigottiti e stanchi,
mentre Borea ne' dì torbidi e manchi
d'orrido giel l'acre e la terra implica;
e la tua verde chioma ombrosa, antica,
come la mia, par d'ognintorno imbianchi,
or, ché 'nvece di fior vermigli e bianchi
ha neve e ghiaccio ogni tua piaggia aprica;
a questa breve e nubilosa luce
vo ripensando che m'avanza, e ghiaccio
gli spirti anch'io sento e le membra farsi;
ma più di dentro e d'intorno agghiaccio,
chè più crudo Euro a me mio verno adduce,
più lunga notte e dì più freddi e scarsi.
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Sul paragone iniziale tutto intimo e fantastico e così
mirabilmente svolto nel lungo periodo senza
interruzione, il motivo della vecchiaia, che sale
inesorabile, inquietante e pure a suo modo serena perché
fatale, si traduce tutto in simboli (disperso ogni
psicologismo ed ogni esteriore drammaticità), in figure
e ritmi, sinché predomina, dopo l'inizio non privo di
qualche periodo prezioso (la corrispondenza della chioma
del bosco e della chioma del poeta superata però dallo
slancio musicale evocativo che limita la possibile
banalità e ricercatezza), nella grande ripresa della
prima terzina, dove si realizza più intensamente la
impressione, accumulata lentamente nelle quartine, di
una breve giornata invernale come simbolo della
vecchiaia.
Fermezza espressiva e suggestione di uno stupore quasi
di miracolo, si uniscono in questa frase così perfetta
nel suo accordo di suoni, di echi, di immagini rarefatte
ed intime (scavate nell'intimo, staccate in una luce
irreale): pare quasi che questi versi iniziali della
prima terzina importino l'impossibilità di un ulteriore
svolgimento. Ma ecco che un movimento più deciso, é più
comunemente dellacasiano con le sue fratture ed i suoni
aspri, viene a rilevare la linea giunta alla sua
espressione più alta, a portare una conclusione decisa e
grave, più irta di suoni e di contrasti: «e ghiaccio -
gli spirti anch'io sento e le membra farsi». Ed il
«Petrarca selvaggio» interviene più decisamente nella
chiusa così ricca di chiusi iati, di incontri aspri e
prepara il verso finale scolorito, vasto, assoluto nella
sua impressione di una vita squallida e sempre più
fredda. |