Aspetti
della poesia del Michelangelo
Vorrei potere indicare un modo di entrare nella lirica
del Michelangelo: un modo comodo, ma in qualche maniera
indispensabile. Un minimo di premessa è qui necessario,
non foss'altro come enunciato.
Non farò se non richiamare la vostra attenzione su
considerazioni di stile: ma che cos'è lo stile, Mi
permetto, poiché la serie dei miei predecessori è
abbastanza lunga, di offrire anch'io una definizione
dello stile. Dirò allora che lo stile mi sembra essere,
senz'altro, il modo che un autore ha di conoscere le
cose. Ogni problema poetico è un problema di conoscenza.
Ogni posizione stilistica, o addirittura direi
grammaticale, è una posizione gnoseologica. Ora, si può
dire che noi siamo abbastanza informati circa il modo
con cui Michelangelo, in quanto poeta lirico, conosceva
il mondo che aveva sott'occhi? Ne lascerò giudicare ai
miei ascoltatori, pregandoli di esaminare che posto sia
stato fatto alla lirica di Michelangelo in antologie
recenti... Sceglierò due antologisti che sono
rappresentativi, in modo tipico, della penultima
rispettivamente e dell'ultima generazione di letterati
italiani, di letterati «à la page». Il primo è Giuseppe
Prezzolini, veterano delle battaglie vociane stato,
cioè, massima parte della più importante rivista
anteriore alla guerra del '15, La Voce, la quale si
proponeva soprattutto di modernizzare, europeizzare,
speculativizzare l'intelligenza italiana. Il secondo è
il nostro amico Enrico Falqui, il quale ha raccolto, in
collaborazione con un altro uomo di lettere, Il Fiore
della lirica italiana dalle origini a oggi: questo libro
mi pare sintomatico d'un'epoca più recente, in cui
uomini preoccupati a priori da necessità culturali si
sforzano di ritrovare nel passato tracce documentarie
della sensibilità contemporanea. Orbene, il Prezzolini,
in un'antologia che, per essere scolastica, non è meno
istruttiva o meno di buon gusto, presenta con la sua
scelta un Michelangelo posseduto da colori metafisici,
ossessionato dalla resistenza della materia, ansioso
d'eternità e d'anima contro i limiti del tempo e del
corpo; sdegnoso della viltà dei suoi coetanei;
riferentesi per polemica a una tradizione, mettiamo a
Dante. Eccetera eccetera. Cose giuste, ma, a
propriamente parlare, biografia, figura biografica di
Michelangelo; il Prezzolini è stato equanime, ma ha dato
troppo, ha voluto presentare quel che si dice un quadro
completo: il psicologismo è stato un difetto
fondamentale della sua generazione. Più curioso è che
cada in una sorta di psicologismo un apostolo della
forma e della grammatica qual è il Falqui. Con questa
differenza: che il psicologismo del Prezzolini è un
psicologismo troppo esteso, diciamo enciclopedico, e il
psicologismo del Fiore è un psicologismo limitato,
specializzato, che può addirittura illudersi di
coincidere con un particolare stilismo. In effetti la
scelta del Falqui e del Capasso ha il merito di mostrare
che Michelangelo ha scritto frammenti in sé perfetti,
che ha spaccato o sospeso certe forme metriche
tradizionali; ma il loro Michelangelo non è se non un
poeta che trova la felicità maculata di peccato, l'amore
mischiato di morte, la bellezza inficiata di tormento, e
che, bruciato da tanto ardore, finisce per riversarsi in
Dio. E allora quella scelta si chiarisce essere non una
scelta, cioè un'assemblea di cose, ma una riunione di
concetti schematici, i quali sommati danno - chi? forse
Michelangelo? no, ma il figurino generale dell'uomo
intimamente diviso, del «contrasto», del «dissidio», a
cui invariabilmente riesce la minore e minima critica
romantica.
Ho proceduto, dunque, ad alcuni rilievi negativi. Un che
di negativo e di polemico mi verrà ancor buono per
sottolineare il significato, e direi l'esistenza, di
qualcosa di ben positivo, voglio dire il primo oggetto
di questa presentazione. Le antologie citano a
preferenza, e coloro che mi ascoltano hanno tutti
presente alla memoria, il sonetto alla notte O notte, o
dolce tempo, benché nero. Superfluo dire che io approvo
questa designazione, e che l'approvo soprattutto in
grazia dell'ultima terzina la quale ci mostra in atto
l'operosità della notte, il suo procedere economico,
familiare, energico e completo:
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Tu rendi sana nostra carn'inferma,
Rasciugh'i pianti e posi ogni fatica
E furi a chi ben vive ogn'ir'e tedio. |
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Il motivo della notte ha ossesso per un certo tempo la
sensibilità di Michelangelo, ma entro questo «ciclo» -
del tutto spontaneo, beninteso - vorrei particolarmente
segnalare una lirica che nella raccolta precede la
lirica celebre. È un sonetto che c'introduce nel
laboratorio di Michelangelo, nel luogo dove si formano
le sue riflessioni poetiche. Il sonetto O notte, o dolce
tempo era un elogio della notte, e addirittura vi si
diceva esplicitamente: «chi t'onor'ha l'intelletto
intero». Esattamente alla stessa epoca di meditazione si
riferisce quest'antitesi: «pur chi la loda erra».
Michelangelo s'è posto il problema della validità di
quell'elogio, e lo risolve in fondo con una freddura,
un'arguzia: ma il suo riso, come scopriremo meglio tra
poco, è sinistro, filosofico, concettuale; è
l'equivalente d'una constatazione singolare. Dice il
sonetto:
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Perché Febo non torc'e non distende
D'intom'a questo globo fredd'e molle
Le braccia sua lucenti, el vulgo volle
Notte chiamar quel sol che non comprende.
E tant'è debol che, s'alcun accende
Un picciol torchio in quella parte, tolle
La vita dalla nott'; e tant'è folle
Che l'esca col fucil la squarcia e fende.
E se gli è pur che qualche cosa sia,
Cert'è figlia del sol e della terra,
Che l'un tien l'ombra, e l'altro sol la cria.
Ma sia che vuol, che pur chi la loda erra,
Vedova, scur', in tanta gelosia
Ch'una lucciola sol gli può far guerra. |
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Questa freddura finale è la controparte, o se vogliamo
l'estrema messa a partito, d'un serissimo e
disinteressato esperimento. Trovatasi innanzi una
simpatia, una privata disposizione sentimentale, il
poeta ha bisogno di conoscere l'oggetto che la provoca
(la notte); e, provvisoriamente, egli giustifica quella
simpatia con l'ordinata, personale azione della notte:
la notte esaurisce, abbiamo visto, certi compiti, è «
individuata » e rispettabile. Ma ora egli riesamina
dall'inizio la cosa: l'assume integra, in solido; non
l'analizza, si badi bene; bensì ne mette a prova la
realtà, l'esistenza; ne misura la reazione al contatto
di certi strumenti. Sperimenta, dico; e con una torcia
scruta la tenebra; o addirittura reca, e scopre che
l'allontanano, l'esca e la pietra focaia. Ma che, a
distruggerla basta una lucciola: «una lucciola sol gli
può far guerra». E lo stupore di questo grand'uomo
chino, direi, sopra un'occhiale è sovrano e, insieme,
primitivo. Fonda una cosmografia per suo conto, tutta
sostanziale e poetica, non razionale e classificatoria:
non il semplice o il comodo è scelto a criterio per tal
forma di scienza, ma la realtà sentita. In altre parole:
alla trovata metafisica s'accompagna tutta la verifica
immaginata dei corollari. |