Cronaca e storia nella "Commedia"
Prendendo occasione dai canti dei falsari (XXIX e XXX
dell'Inferno), il Contini rileva la mescolanza nella
Commedia di personaggi e di vicende della cronaca
quotidiana, comunale, della storia illustre e del mito, resa
possibile dal fatto che Dante ha una visione teologica del
tempo e degli uomini, per cui il fatto più oscuro e l'evento
più famoso hanno pari dignità e sollecitano un eguale
interesse (in contrasto con la concezione rinascimentale e
moderna della storia, che tende ad assumere e a tramandare
personaggi e vicende soltanto quando siano avvolti in luce
eroica e celebrativa).
Ma per chi tanto lusso di ricordi illustri, di regie
sventure? Il pellegrino d'oltretomba si trovava impegnato in
conversari, volgenti all'ameno, con due chimici delle sue
contrade, un innominato aretico (Griffolino secondo i
commenti trecenteschi) e l'altro toscano di meno sicura
patria Capocchio. La cronaca nera e il gazzettino rosa, i
pettegolezzi di farmacia, le diffamazioni municipali,
pertinenti, non meno che alla cosiddetta Toscanina, alla
proverbiale Toscana ferrea e virile (entità, con buona
sopportazione degli esteti da trivio, coeterne), sono fra
gl'ingredienti capitali della vasta contaminatio di Dante.
Ma l'assidua frequentazione delle sue scritture non dovrebbe
detrarre ogni freschezza allo stupore di veder frammiste, e
proiettate su identica scala, storia e cronaca, mitologia
sacra e profana, entità documentarie e immaginarie: fuori
del tempo per noi storico, e sul piano d'un'univoca verità.
A parte le misure della mescolanza, in Dante portate
all'iperbole, la coscienza che si sta trattando un'epoca
teologale dove la storia è universale e indistinta
rappresentazione, e i suoi dati tutti equidistanti dallo
spettatore come i luoghi deputati della scenografia, deve
pure accompagnarsi nel lettore all'altra riflessione che per
la tradizione rinascimentale, da cui esce la nostra
educazione scolastica, il moderno vige soltanto nella sede
imbalsamata dell'apoteosi: la qual mentalità pone le
premesse, non appena si acuisca la crisi del realismo al
radicale divorzio di storia e invenzione. Quale criterio
soccorrerà, allora, a graduare il conglomerato entro cui si
cementano «storie» cosí disparate? L'ordinamento dei regni
oltreterreni, e in particolare dell'Inferno per cui basta la
morale naturale del Peripato, si fonda su un'etica
classificatoria e intellettualistica. Senza uscire da questa
«ultima bolgia de le diece», ad abitarla sono deputati i
falsari (perciò, a contrapasso, stravolti dalle infermità
nella loro apparenza corporea): oggetto della manipolazione
fossero poi elementi chimici, individui umani, monete, la
verità storica. Cosí al primo cibreo per cui il dottor
chimico e il faceto imbroglione testé defunti, la comparsa
dell'Eneide, la peccatrice del mito antico e il personaggio
del Vecchio Testamento sono coinquilini (coabitazione
costante, certo, ma che qui giunge al suo limite perché si
trasforma in contatto fisico, in colluttazione e via di
fatto, il pugno del virgiliano Sinone sul ventre del maestro
registrato a un'anagrafe recente), si aggiunge il secondo
coacervo che somma, all'ombra d'una mera etichetta verbale,
e fuori da ogni riconosciuto canone teologico e giuridico,
l'alchimista naturae simia (benché evidentemente in
malafede, se no si presume che starebbe coi sodomiti e gli
usurai), la calunniatrice, l'impostore, il falso monetario,
il truffatore per sostituzione di persona. |