Universalità ed evidenza della poesia
dantesca: la lingua e l'allegoria
Il grande poeta e saggista indica qui le ragioni della
chiarezza della poesia dantesca: da usa lato, l'uso di una
lingua direttamente nata dal latino medievale, che era
lingua comune della cultura e dello spirito europeo;
dall'altro, l'uso del, metodo allegorico, che è per Eliot
uno dei procedimenti costitutivi della poesia, alla quale
conferisce evidenza di immagini e ricchezza di significati.
Quel che appare sorprendente circa la poesia di Dante è che
essa, in un certo senso, è assai facile a leggersi. Non
intendo dire che scriva un italiano molto semplice, perché
accade proprio il contrario, o che il suo contenuto è
semplice o sempre semplicemente espresso, ma spesso è
rappresentato con tale forza di condensazione che, per esser
spiegati, tre versi richiedono un paragrafo, e le loro
allusioni una pagina di commento. Quel che intendo dire, è
che Dante è il più universale dei poeti di lingua moderna.
Il che non vuol dire che è «il più grande», o che è il più
comprensivo: c'è più grande varietà e particolarità in
Shakespeare. L'universalità di Dante non è solo un fatto
personale. L'italiano, e specialmente quello dell'età di
Dante, molto acquista dall'essere l'immediata derivazione
del latino universale. C'è alcun che di più locale nella
lingua in cui si espressero Shakespeare e Racine. Tuttavia
questo non significa che l'inglese o il francese siano
inferiori all'italiano, come mezzi di poesia, ma il volgare
italiano dell'ultimo medio evo era ancora molto vicino al
latino come espressione letteraria perché uomini come Dante,
che lo adoperavano, erano stati ammaestrati, in filosofia e
in tutte le scienze astratte, col latino medioevale. Ora il
latino medioevale era una bellissima lingua; con essa si
scriveva una bella prosa e una bella poesia, ed aveva la
qualità di un esperanto letterario altamente sviluppato.
Quando leggiamo la filosofia moderna, in inglese, francese,
tedesco, e in italiano, siamo subito colpiti dalle
differenze di pensiero nazionali e di razza: le lingue
moderne tendono a separare il pensiero astratto (la
matematica è ora la sola lingua universale); ma il latino
medioevale tendeva a concentrare quel che pensavano uomini
di varie razze e paesi.
L'italiano di Dante, sebbene in modo essenziale italiano
d'oggi, non è per questo una lingua moderna. La cultura di
Dante non apparteneva ad un solo paese europeo ma
all'Europa; l'italiano di Dante è più vicino nel significato
al latino medioevale, e fra i filosofi medioevali che Dante
lesse, e che erano letti pure dai dotti del suo tempo,
c'erano, per esempio, S. Tommaso che era italiano, Alberto
predecessore di S. Tommaso, che era tedesco, Abelardo che
era francese, Ugo e Riccardo di San Vittore che erano
scozzesi.
Ma la semplicità di Dante ha un'altra ragione specifica.
Egli non solo pensava in un modo in cui ogni uomo della sua
cultura nell'intera Europa allora pensava, ma usava un
metodo che era comune e comunemente compreso in tutta
l'Europa. Non intendo entrare nell'argomento delle
contestate interpretazioni dell'allegoria dantesca. Quel che
importa al mio scopo è il fatto che il metodo allegorico era
un metodo ben determinato non limitato all'Italia; e il
fatto, in apparenza paradossale, che il metodo allegorico
genera semplicità e intelligibilità. Noi tendiamo a
considerare l'allegoria come un noioso indovinello. Tendiamo
ad associarla con scialbi poemi (nel migliore dei casi, al
Roman de la Rose), e ad ignorarla come irrilevante in un
gran poema. Quel che noi non conosciamo è, in un caso come
quello di Dante, il suo speciale effetto di chiarezza di
stile.
Non raccomando, alla prima lettura, il primo canto
dell'Inferno che stanca con l'identità della Lonza, del
Leone o della Lupa. In realtà è meglio, all'inizio, di non
sapere o curarsi che cosa significhino. Quel che
considereremo non è tanto il significato delle immagini,
quanto il processo contrario, cioè quel che porta un uomo
che ha un'idea ad esprimerla con immagini. Dobbiamo
considerare il tipo di mente che per natura e per pratica
tendeva ad esprimersi con l'allegoria; e per un poeta
competente, allegoria significa chiare immagini visive. E le
chiare immagini visive ricevono assai più intensità dal
fatto d'avere un significato - non è necessario che noi
sappiamo quale sia questo significato, ma nella nostra
consapevolezza dell'immagine dobbiamo accorgerci che c'è
pure il significato. L'allegoria è solo uno dei metodi della
poesia, ma è un metodo che offre molti grandi vantaggi.
L'immaginazione di Dante è visiva. È visiva in un senso
diverso da quella d'un pittore moderno di nature morte: è
visiva in quanto egli viveva in un'età in cui gli uomini
avevano ancora visioni. È un abito psicologico, un vezzo che
abbiamo dimenticato, ma buono come qualcuno dei nostri. Noi
non abbiamo altro che sogni, e abbiamo dimenticato che
l'aver visioni - una pratica ora relegata agli anormali e
agli illetterati - una volta era un modo di sognare più
significativo, interessante e disciplinato. Noi riteniamo
come concesso che i nostri sogni provengono più dal profondo
e in conseguenza forse la qualità di essi ne soffre.
Quel che pretendo dal lettore, a questo punto, è di
liberarsi la mente, se può, da ogni preconcetto contro
l'allegoria, e ammettere almeno che essa non era un
espediente per mettere in grado i non ispirati di scrivere
versi, ma davvero un abito mentale, che quando veniva
elevato all'altezza del genio. poteva produrre un gran poeta
come un gran mistico o un gran santo. Ed è l'allegoria che
rende possibile al lettore, che non sia neppure un buon
italianista, di gustare Dante. Varia la lingua, ma i nostri
occhi restan gli stessi. E l'allegoria non era una
consuetudine italiana locale, ma era un metodo europeo
universale. |