Lingua e
dialetto in Goldoni
Nell'assenza,
in Italia, di una tradizione di lingua capace di immediata
comunicazione, di cui il Goldoni sente di aver bisogno per
il suo teatro, egli si costruisce uno strumento linguistico
che nasce dall'incontro di forme dialettali con elementi
dell'uso parlato italiano e dell'uso scritto non letterario;
e in questo modo foggia un primo esempio di lingua
comunemente intelligibile a tutta Italia. L'altro ambito
linguistico in cui si muove il Goldoni è il veneziano, che
egli adopera nella sua dignità e autonomia di vera e propria
lingua.
Il fondamentale problema linguistico è per Goldoni un
problema di comunicazione, che per lui come per chi muova
per vocazione dall'interno dell'esperienza teatrale non è
solo un problema pratico ma espressivo: comunicazione
diretta e orale con quel suo pubblico che per Goldoni è un
termine fisso di riferimento, il protagonista di tutte le
sue Prefazioni; che comprende diversi strati sociali, ma che
egli non può chiamare ancora genericamente «italiano» e che
distingue con empiria settecentesca per «nazioni» e gusti,
secondo la geografia «sociale» del suo tempo, con una
densità e intensità che decresce da nord a sud e che ha il
suo centro focale a Venezia.
Per questo pubblico egli deve provvedere lo strumento
linguistico adatto, che la tradizione letteraria non può
offrirgli, e che la lingua della conversazione colta,
soprattutto dell'Italia settetrionale, può offrirgli solo ín
aenigmate, in tracce e sparsi elementi, semplicemente perché
questa koinè di lingua parlata ancora non esiste: può venir
fatto di dimenticare, leggendo l'italiano di Goldoni, che
quei nobili, quei cavalieri, quei mercanti, quelle dame e
quelle donne di «garbo» e di «maneggio», parlavano
effettivamente un dialetto più o meno italianizzato, o
magari talora un francese bastardo. La lingua goldoniana
d'uso italiano è sostanzialmente, lingua teatrale, fantasma
scenico che ha spesso la vivezza del parlato ma si alimenta
piuttosto all'uso scritto non letterario, accogliendo in
copia larghissima venetismi, regionalismi «lombardi» e
francesismi, accanto a modi colloquiali toscani e a
stilizzazioni auliche di lingua romanzesca e melodrammatica:
è un «come se», una ipotesi spesso così persuasiva di
realtà, fondata su un presupposto di intelligibilità comune.
Parallelamente, la sua «patria» veneziana sembra fornirgli,
già pronto per l'uso, quello strumento di lingua parlata di
cui egli ha bisogno, lingua parlata socialmente unitaria
senza stratificazione rigida, lingua usuale anche della
classe dirigente e lingua scritta non «grammaticale»: il
solo dei dialetti italiani totalmente immune, nell'uso
parlato anche colto, da squalifica culturale, «dialetto» nel
senso corrente solo per la prospettiva letteraria; capace di
servire non soltanto nell'uso amministrativo e giuridico, ma
anche per discutere oralmente di filosofia e di scienza.
Qui Goldoni si colloca d'istinto nel punto d'incontro di una
secolare tradizione dialettale veneziana con la comune
tradizione italiana ed europea: di quella tradizione,
rimasta sempre al bivio tra lingua e dialetto, Goldoni è
l'erede per molti versi conclusivo. Il fatto è che in lui il
veneziano diventa lingua nel grado totale della
rappresentazione, proprio quando la sua bivalenza di lingua
e dialetto sta per cessare di essere: dopo di lui è
possibile una letteratura dialettale veneziana solo in senso
vernacolare e municipale.
Goldoni chiude una pagina, e ne apre una nuova, nella storia
delle letterature dialettali e della concezione del dialetto
come strumento espressivo: in lui il dialetto acquista per
la prima volta piena autonomia di lingua parlata, fuori di
caricatura e di polemica. Con Goldoni ha inizio la storia
urbana e civile del dialetto. Questo suo sentimento del
dialetto come « linguaggio », lingua materna in cui si
specchia la vita di tutta una società, sarà espressa tante
volte dal Goldoni, ma forse mai meglio che nella nostalgia
dei versi veneziani scritti da Pàrigi «lontan tresento mia»:
«El dolce nome de la Patria mia... / ... el línguazo, e i
costumi de la zente». Dove, vedremo ancora, c'è tutto il
sentimento linguistico di Goldoni, molto meglio che nelle
sue professioni di orgoglio veneziano che sanno invece di
municipale, come nei brutti versi arcadici dichiaranti «la
dolcissima/ Facondia veneziana/ Con el vigor dei termini/
Far fronte alla toscana». |