GOLDONI:
Testimonianze attraverso i secoli
L'elemento
che colpì positivamente con più forza i contemporanei del
Goldoni fu la fedeltà alla natura, il realismo moderato e
sereno: di qui derivano le lodi di Voltaire e di Gaspare
Gozzi. Ma la naturalezza goldoniana parve anche sciatteria,
volgarità, scelta dei mezzi piú agevoli per ottenere il
favore del pubblico a quei critici e a quei lettori che
dell'arte avevano una concezione più legata a modi
tradizionali e classici, come il Baretti e Carlo Gozzi,
mentre il Cesarotti si bilancia fra le due posizioni notando
insieme l'abilità ma anche la prolificità eccessiva del
Goldoni.
Al mio ritorno in città ho avuto il piacere di vedere e
d'udire la commedia intitolata la Casa nuova. In essa ho
riconosciuto, dal principio fino all'ultime parole, la
fantasia, il dialogo e l'arte del signor dottor Goldoni.
Commedia dilettevole, commedia utile, commedia vera
meritamente si dee dire quella, a cui intervenendo gli
ascoltatori, quelle cose veggono, quelle cose sentono, le
quali nelle familiari conversazioni s'odono, e le quali
cadono giornalmente sotto l'occhio. Tale appunto è il
carattere della mentovata commedia. L'Autore in questo
genere è impareggiabile, e la fecondità della sua fantasia
non mai diventerà sterile, finché vi saranno uomini animati
dalle passioni, le quali, secondo la diversità del loro
grado di forza, formano diversi caratteri, appunto come
dello stesso metallo si formano monete di diversa grandezza,
di diverso impronto e di diverso valore. Perdoni, faccia
ravvedere e conduca sulla vera strada i traviati Febo
protettore della buona poesia, e faccia una volta cessare il
flagello delle maravigliose incoerenze, le quali ci
condurranno alla barbarie de' Goti, e faranno diventar i
comici non attori, ma declamatorí, e cangeranno le commedie
in romanzi, che porteranno il guasto del cuore e della
mente. L'Autore della mentovata commedia, il celebre
Goldoni, pittor della natura, usando dei talenti suoi, e
lasciando gracchiar i corvi, continuerà certamente a far
vedere che, essendo la commedia uno specchio de' costumi,
non ponno vedersi nello specchio se non quelli che stanno
avanti lo specchio medesimo. Tutto il rimanente non è
specchio, ma lente artifiziosa della lanterna magica, la
quale inganna e fa comparire un pigmeo qual gigante, che poi
non sotto il monte Ossa resta sepolto, ma sotto un monte di
fumo diviene ridiculus mus.
GASPARE GOZZI
Vers de M. de Voltaire sur les talens comiques de M.
Goldoni.
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En
tout pays on se pique
de moléster les talens,
de Goldoní les critiques
combattent ses partisans.
On ne savait à quel titre
on doit juger ses écrits;
dans ce procès on a pris
la Nature pour arbitre.
Aux critiques, aux rivaux
la Nature a dit sans feinte:
tout auteur a ses défauts,
mais ce Goldoni m'a peinte. |
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Nella
Gazzetta Veneta di Gaspare Gozzi i versi di Voltaire furono
tradotti cosí:
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Dappertutte le nazioni
si molestano i talenti,
ma chi critica Goldoni
fa la guerra ai difendenti.
De' suoi scritti con ragione
giudicar si aveva cura,
onde presa in tal questione
fu per arbitra Natura.
Disse al critico, al geloso
la Natura, al vero accinta:
ogni autore è difettoso,
ma Goldoni mi ha dipinta. |
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VOLTAIRE
Quando un autore trova il gran segreto di diventar caro
colle sue letterarie fatiche a tutti i dotti e a tutti
gl'ignoranti, a tutti i nobili e a tutti i plebei, a tutto
il sesso maschile e a tutto il sesso femminile d'una
numerosa nazione, gli è pur forza che i critici giuochino
alla larga con esso e che badino bene a non lo toccare colla
punta delle loro penne, ancorché gli scritti suoi
formicolassero de' più massicci spropositi. Se verbigrazia
un qualche critico avesse voluto nel secolo passato dire
alcuna cosa contro il Marini, che appunto formicolò di
spropositi assai massicci, che bel guadagno avrebb'egli
fatto? Ahimé! che i dotti e gl'ignoranti, i maschi e le
femmine, tutti gli avrebbono dato addosso senza la minima
misericordia, e tutti a gara l'avrebbono tacciato di
goffezza, d'insensataggine, d'invidia, di malignità e di
pazzia! In tali casi però fa d'uopo che un critico non si
lasci portar via dal suo inopportuno zelo pel comun bene
della Società, ma che si stringa nelle spalle, che si taccia
e che rimetta la causa a' posteri, i quali ben sapranno a
suo tempo vendicare la ragione e il buon gusto dagli sfregi
ricevuti da un autore fatto popolaresco da quelle epidemie
di capriccio, che talora infettano tutto un paese. E cosí,
per lo contrario, quando un autore, per un'altra epidemia
di. ostinata e maligna stupidezza, è maltrattato e depresso
e vilipeso e negletto dal suo secolo, malgrado la bontà
delle opere sue, come fu il caso di Milton in Inghilterra, e
quasi quasi di Torquato Tasso nella nostra Italia, bisogna
che il critico s'abbia altresí flemma, che dia luogo alla
furia universale e che si fidi a' posteri, i quali sapranno
egualmente rendergli quella giustizia che gli fu negata da'
suoi matti contemporanei.
Fortunato Goldoni, che né l'imo né l'altro di questi due
casi è il caso tuo! Tu non formicoli di spropositi massicci,
come il Marini; eppure, come il Marini, tu sei amato,
riverito ed onorato dal tuo secolo! Tu non abbondi, come
Milton e come il Tasso, d'ogni perfezione; eppure tu non
hai, come quei due poverelli, ad aspettare gli anni e gli
anni per godere del favore universale! Basta leggere le tue
prefazioni e le tue dedicatorie per essere immediatamente
convinti che tutta la tua bella Italia ti esalta sopra ogni
altro tuo contemporaneo, e ti guarda come la sua vera
fenice! Da quelle tue dedicatorie e prefazioni oh come si
scorge con ogni chiarezza che sino i più rimoti popoli ti
pregiano e t'inchinano, e ti hanno per un bacalare più
grande che non alcuno de' loro più grandi bacalari! La
Francia, la Spagna, l'Inghilterra, la Germania, la Moscovia
e sino la Mauritania e l'Anatolia s'affrettano a tradurre le
tue teatrali produzioni nelle loro rispettive lingue e le
fanno recitare a dirittura ne' loro teatri tali e quali come
tu le scrivesti, perché tutti i loro abitanti accrescano,
senza più aspettare, la loro sapienza, e perché diventino
costumati e morigerati!
Di questo grand'uomo dunque, di questo autore tanto
popolarescamente favorito da ogni classe di persone, io
m'accingo a registrare oggi il nome glorioso in queste mie
elucubrazioni, perché, se non vel registrassi e se non
parlassi di lui e delle tante e diverse cose prodotte da
quel suo non mai esausto cervello, chi sa che qualcuno non
mi credesse una persona selvatica trasportata pur ora a caso
in Italia da qualche isola tanto ignota a' geografi quanto
quella di Robinson Crusoè? O chi sa che qualcuno non mi
attribuisse anche qualche segreto maltalento contr'esso?
poiché chi non parla di coloro de' quali tutta la brigata
parla, è cosa molto naturale che sia creduto o molto
maltalentato o molto salvatico. Io m'accingo dunque, senza
più tardare, a far passare in rivista sotto la mia Frusta ad
uno ad uno tutti i teatrali componimenti del Goldoni; ma i
miei leggitori, molti de' quali mi vanno scrivendo delle
anonime lettere, sempre stuzzicandomi a parlare e a parlar
con lode di questa e di quell'altra commedia di lui, si
ricordino che io sono un vecchiaccio settuagenario,
difficile da contentare, e più pronto a' rimbrotti che non
agli encomi; onde accendano anch'essi le loro pipe co' miei
fogli se non li trovano secondo il loro genio, come anch'io
accendo la mia co' fogli di que' libri che non mi piacciono;
ma mi lascino dire onestamente quello ch'io penso, senza
farmi romore intorno. A buon conto comincio a dir loro che
ho finito ieri di rileggere il primo tomo del Goldoni, che
contiene il Teatro coreico, la Bottega del caffè e le due
Pamele, e che nessuna di queste quattro commedie vorrei
averla fatta io, per quanto ho cari questi occhiali
d'Inghilterra, che porto sul mio naso aquilino, e senza i
quali non potrei scrivere una riga né al lume del giorno, né
al lume della mia lucerna. Può darsi che il Goldoni abbia
messo tutto quello che ha di cattivo nel suo primo tomo,
come il Metastasio mette tutto il cattivo suo nell'ultimo.
Può darsi che tutti gli altri tomi del Goldoni m'abbiano a
far tramortire dallo stupore, com'io desidero: e se questo
sarà, siate sicuri, leggitori miei, che non gli sarò scarso
d'incenso; ma intanto lasciatemi dire di questo primo tomo;
e senza più menare il can per l'aia, ecco quello che io vi
voglio dire della sua prima commedia intitolata il Teatro
coreico, che mi pare sia stata scritta da lui per avvezzare
il popolaccio a giudicare delle sue composizioni come ne
giudica egli stesso.
GIUSEPPE BARETTI
Quanto a Goldoni, s'egli avesse tanto studio quanto ha
natura, s'egli scrivesse un po' più correttamente, se il suo
ridicolo fosse alle volte più delicato, se le sue
circostanze gli avessero permesso di comporre un minor
numero di Commedie e di lavorarle di più, parmi che
potrebbesi con molta franchezza contrapporlo a Molière, il
quale' oserò io dirvi che mi sembra che venga piuttosto
idolatrato che ammirato da' suoi Francesi. Egli non ha che
quattro o cinque Commedie, l'altre son Farse per divertir il
basso popolo; e a sentir i critici nazionali sembra ch'egli
abbia esauriti tutti i soggetti. Goldoni ha spinta molto
innanzi la Commedia morata, anzi può dirsene il padre,
giacché egli non ha tanta cultura per andarne a cercar il
modello appresso l'altre nazioni. La sua mediocrità
nell'erudizione fa in questo punto il suo elogio; egli deve
tutto al suo genio. Ma con vien dirlo, egli è troppo
fecondo: dopo Lopez di Vega non so qual altro abbia scritto
tante Commedie. Ora se ne fa in Venezia un'edizione compiuta
in 40 Tomi, di cui ne sono già usciti 10. Egli la fa in
vista del suo interesse: vorrei che ne facesse un'altra di
molto minor mole, unicamente per la sua gloria. Mi duol
veramente di veder alcune delle sue Commedie disgustar i
conoscitori, quando potrebbero rendersi perfette con
leggerissimi cangiamenti. E' anche gran discapito che molte
delle migliori sono scritte in dialetto Veneziano, che non
può esser gustato fuori d'Italia.
MELCHIORRE CESAROTTI
Sostenni e provai ch'egli aveva cercati la fortuna e il
concorso ne' teatri, più col cambiare aspetto a' suoi generi
dando loro di quando in quando un'aria di novità, che col
vero merito di attrazione di quelli.
Sostenni e provai che, passato egli dal schiccherare de'
soggetti in abbozzo per la sussistenza dell'antica commedia
italiana alla sprovveduta, che poi s'è indotto a odiare e a
perseguitare da padre sconoscente e tiranno, non aveva fatto
che porre in dialogo, con qualche maggior regolarità e
filatura, de' soggetti scordati dell'arte comica
all'improvviso e con quella grossolana dicitura che chi sa
scrivere può rilevare; ma che vedendo egli illanguidire
cotesto suo primo genere, ch'egli chiamava riforma, aveva
assalito il pubblico colla novità delle Pamele e d'altri
romanzi; che al languire di questa novità era uscito
coll'altra novità delle farse nazionali, ricopíando le
Baruffe di Chioggia, de' campielli, delle massaie, ed altre
simili bassezze popolari, le quali assolutamente, nella loro
trivialità niente letteraria, erano state i suoi migliori
guazzetti scenici, e d'una tempera d'avere vita più lunga in
sul teatro degli altri innesti suoi; che raffreddandosi
anche quel genere per una certa somiglianza dell'una con
l'altra di quelle rappresentazioni, essendo questo il
destino delle fortune teatrali, per lo più dipendenti in
Italia da un orbo fanatismo, egli aveva cercata l'altra
novità di solleticare gli orecchi de' spettatori co' versi
martelliani e rimati e coll'opere scemitragiche piene
d'assurdi, di improprietà, di mal esempio del costume
orientale, delle Spose persiane, delle bestiali Ircane, de'
sozzi Eunuchi, delle Curcume nefande, e che questa novità,
quanto più censurabile, condannabile e detestabile per lo
specchio lascivo di bigamia e di lussuria, per la virtú e la
innocenza calpestata dal vizio furente, per la impossibilità
degli avvenimenti e per cent'altre gemme consimili ch'ella
contiene, tanto più aveva stabilita la sua corona di lauro
nell'orbo fanatismo -nella opinione d'un bulicame di
sciocchi, i quali, appresi a memoria i sperticati infelici
versi martelliani delle sue Persiane e delle sue Circasse,
recitandoli per ogni chiassolino, innalzavano i suoi
propositi al tempio della gloria avvelenando l'udito degli
avvezzi all'ottimo e fomentando in lui il petulante
commiserevole sentimento di vanità.
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