LA GRAZIA
ELEGANZA DELLA LIRICA ARCADICA
L'Arcadia
ha ridato valore alle voci del sentimento e al tono idillico
e pastorale in polemica con l'ispirazione sensualistica e
l'ingegnosità stilistica del Seicento; ma spesso questa
contrapposizione, per povertà di sostanza poetica, generò un
manierismo del sentimento. L'Arcadia raggiunse risultati di
genuina poesia quando, superato l'atteggiamento polemico,
espresse la sua vena sentimentale in forme limpide e
impeccabili, nelle quali ogni sensualismo pare
spiritualizzato nell'eleganza musicale della parola e del
verso. Questi risultati possiamo cogliere in poeti come il
Rolli e, soprattutto, nel Metastasio con il quale la lirica
settecentesca espresse il suo fragile equilibrio di
sentimento e galanteria, sincerità e giuoco.
L'Arcadia in ultima analisi non fu che un ridar valore alle
voci intime del sentimento sul dominio dei sensi, che,
inaridendo le sorgive dell'ispirazione, avevano condotto
l'arte del verso al polverizzamento delle immagini e al mero
suono; fu un affinamento della piccola idealità sentimentale
della lirica amorosa e pastorale, che nella crassezza
stilistica del Seicento era rimasta viva come un'oasi
campestre e idilliaca e al termine del secolo pareva ormai
l'unica forma poetica ancora radicata nell'anima di contro
alla fantasmagoria delle iperboli vuote e insensate. Persino
il Tesauro, che pure era stato un secentista al cento per
cento, avvertendo che tutte le argutezze in ultima analisi
erano fondate «in alcun de' Topici fallaci», aveva una volta
mestamente concluso: «Ad udirle sorprendono l'intelletto,
parendo concludenti di primo incontro; ma, esaminate, si
risolvono in una vana fallacia: come le mele del Mar Negro,
di veduta son belle et colorite; ma se le mordi, ti lasciano
le fauci piene di cenere et fumo».
L'Arcadia volle reagire a quella vana fallacia, in nome
della semplicità e del sentimento, ritrovare, sotto la
retorica del « mirabile » diventato bislacco e matto, quella
briciola d'umanità, che ancora rimaneva all'ispirazione. Ma
a sua volta, per la povertà di intima sostanza poetica, come
se l'anima fosse estenuata, si perdette nel sentimentalismo,
vale a dire nel manierismo del sentimento; la delicatezza si
mutò in leziosaggine; alla grossa retorica dei secentisti
postmariniani segui una spiritualità eterea e vaga, priva di
consistenza, un pastoralismo inguantato e profumato sotto un
ammasso di trine, pizzi, fronzoli e veli. Per aver un
palpito di poesia fu necessario superar la contrapposizione
polemica all'«idra del Seicento» (la frase è del Crescimbeni):
e questa condizione di serenità lirica, in cui sentimento e
poesia parvero identificarsi, non fu raggiunta che dal
Rolli, cantor soave e sospiroso 'di Venere e Zeffiro, lirico
della tenerezza e della grazia.
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O
stagion degli amanti, primavera, |
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fu la nota
fondamentale delle prime sue Elegie. La dolcezza accorata
con cui tutti intonavano:
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La
neve è alla montagna,
l'inverno s'avvicina;
bellissima Nerina
che mai sarà di me? |
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fu la
lusinga incantatrice delle sue canzonette d'amore, che per
cinquant'anni formaron la delizia di dame e cavalieri in
tutta Europa. Il sentimento espresso in una forma diafana e
impeccabile, così da spiritualizzare il fremito sottile
della contemplazione sensuale, apparve la bellezza nuova de'
suoi endecasillabi, che raffigurano i momenti ineffabili
della trepidazione, in cui l'affetto divien amore e ardore,
e il poeta quasi teme che un desiderio troppo impetuoso
appanni la parola alabastrina.
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Deh
fissa, o Lesbia, tutto amoroso
lo sguardo languido negli occhi miei
già fissi e tremulí a tue pupille;
come languiscono soavemente
l'una e l'altra anima!... |
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Il Rolli
cercava di dar varietà d'intonazione e di movenze a' suoi
ritmi e criticava come poeta di una sola corda il maggior
suo emulo, il Metastasio, formatosi come lui alla disciplina
del Gravina e salito a gran fama dopo che egli aveva già
lasciato Roma per Londra. Ma in realtà il Metastasio ebbe
vena più copiosa di quella del Rolli e maggior calore
lirico. Non solo lo superò per fantasia e sentimento nei
melodrammi, ma per affettività ispirata e fluidità vocale
nella stessa poesia lirica. Le sue canzonette furono il
capolavoro melico d'Arcadia. Nessuno espresse con forma cosí
perfetta come la sua quell'accento originale della melica
settecentesca, che al sentimento univa sempre la galanteria,
al giuramento per l'eternità il brivido di chi non ignora
che il cuore è trasmutevole, all'espressione solenne della
fedeltà assoluta o del disdegno implacabile un nascosto e
quasi impercettibile sorriso, per cui il poeta, il musico e
gli ascoltatori, mentre s'inebriavano delle loro stesse
immaginazioni, si dicevano nell'intimo che l'amore, gli
abbandoni, i ritorni sono un dolce giuoco. |