La Storia
d'Italia
Il tempo non portò alcun cambiamento nelle concezioni
storiche fondamentali del Guicciardini. Non era
diventato un altro uomo quando pose mano alla grande
opera, a cui deve soprattutto la sua posizione nella
storia della storiografia. La sua essenza non si era
cambiata; era rimasta la unilateralità politica,
l'ignoranza di altri motivi che non fossero quelli
egoisti, la aspra, spietata analisi psicologica,
l'avversione alle regole teoriche, il giudicare dal
successo. Il giudizio è diventato più maturo, più
meditato, ma non veramente più profondo.
Solo la sua posizione verso la materia si è cambiata.
Durante la sua attività amministrativa e militare nello
stato della chiesa aveva imparato a considerare la
storia di Firenze quasi come uno straniero. Ed aveva
dovuto sperimentare come il corso delle cose avesse
portato al fallimento definitivo dei suoi piani politici
preferiti. Le due più importanti innovazioni della sua
seconda opera, cioè la posizione universale e il
giudizio pessimista della politica hanno la loro origine
in queste esperienze.
Un'altra innovazione concerne la forma esteriore.
Guicciardini scrisse la sua Storia d'Italia per il
pubblico. Perciò non si sentì più così libero come nella
sua prima opera. Credette di dover fare concessioni al
pubblico colto umanista.
Bisogna ora considerare nei particolari in che modo
queste circostanze abbiano modificato i principi
storiografici del Guicciardini.
Guicciardini fu il primo grande storico serio che ruppe
con la storiografia territoriale, e trattò una materia
storica universale, la storia di un'unità geografica.
Nessuno degli storici che si potrebbero citare come suoi
predecessori è pari a lui per importanza. Biondo era
come storico poco più di un mediocre compilatore,
Sabellico scrisse anche le sue Enneadi, come ufficioso
veneziano, in Giovio non c'è da lodare altro fuorché
l'intenzione, Guicciardini è il primo vero storico che
sciolga la storia dal collegamento con un determinato
stato. Per la prima volta dà un quadro esatto della
politica internazionale, non solo perché la conobbe e la
comprese per pratica, ma perché non ne comunicò semplici
frammenti come è inevitabile che accada in una storia
territoriale. La reciproca dipendenza degli stati, il
nesso della politica interna con quella estera,
l'influenza delle operazioni militari su quelle
politiche e viceversa - tutti questi tipici tratti della
politica, specialmente di quella europea, il
Guicciardini li ha fissati con mano sicura nelle linee
imperiture della sua Storia d'Italia.
Fu tanto più in grado di farlo in quanto era
indipendente non solo esteriormente ma anche
intimamente. Quando scriveva la sua Storia Fiorentina,
la situazione per il suo partito era tutt'altro che
disperata. Quando iniziò la sua Storia d'Italia, stava
già di fronte ad un fatto compiuto. Dopo che Cosimo I
coll'aiuto spagnuolo aveva consolidato il suo dominio,
erano tramontate definitivamente l'indipendenza della
Toscana e le prospettive degli ottimati. Certo il
Guicciardini ancora adesso non poteva ripensare senza
amarezza alla irragionevole politica dei popolani ai
quali attribuiva la colpa della perdita della direzione
dello stato da parte degli ottimati. Ma altrettanto poca
simpatia nutriva verso il nuovo regime dei Medici.
Dacché lo stato fiorentino non concedeva più alcun campo
alla sua ambizione politica, esso gli era divenuto
proprio indifferente.
La sua vita gli aveva apportato solo delusioni. E
tuttavia era conscio di essersi guardato da grossolani
errori morali più severamente, e di aver fornito un più
grande lavoro positivo che altri i quali avevano mietuto
un pieno successo. Un sentimento di rassegnazione
determina il suo giudizio. Di regola esso non è duro.
Come tutti i pessimisti, a meno che siano toccate
proprio ferite personali, si astiene volentieri dal
biasimo: a che scopo fermarsi su un singolo, quando gli
altri valgono altrettanto? Le sue dolorose esperienze
personali hanno fatto di lui un giudice imparziale, anzi
quasi scientificamente obbiettivo.
In modo magistrale è descritto soprattutto il tortuoso
giuoco della diplomazia. Vengono messi in rilievo solo i
punti politicamente decisivi; pettegolezzi ed aneddoti
novellistici sono lasciati da parte. Anche qui il
Guicciardini riferisce solo di guerra e politica, e gli
eroi della sua storia esistono per lui solo come
politici. Ma con quanta evidenza costoro sono
caratterizzati, con quanta abilità e perizia rintraccia
i motivi reali dietro le frasi dei documenti ufficiali !
Con quanta fedeltà il suo stile stesso esprime le sue
intuizioni! Si è rimproverata al Guicciardini, dal punto
di vista estetico non a torto, la monotonia dei suoi
lunghi periodi colle loro numerose proposizioni
secondarie e si è perfino fatto valere lo stile più
naturale della Storia fiorentina contro lo stile
dell'opera della vecchiaia. Chi giudica così trascura
che nel Guicciardini la forma corrisponde soltanto alla
sostanza. La struttura del suo periodo non deriva da una
maniera stilistica, ma è determinata dal bisogno di
riprodurre avvenimenti complessi con la stessa
precisione con cui sono stati osservati. Lo stile della
Storia è altrettanto naturale e individuale quanto
quello dell'opera precedente; ma la materia è più
complicata e il giudizio dell'autore è diventato meno
sommario. I lunghi periodi del Guicciardini possono
perciò forse stancare, ma non son mai privi di
chiarezza. Sarebbe inesatto il voler vedere in questa
peculiarità stilistica una concessione all'umanesimo.
Guicciardini ha però fatto delle concessioni sotto un
altro aspetto.
Egli non passò neanche nella Storia completamente sul
terreno della tendenza umanistica. Ma si avvicinò alla
scuola del Bruni nella misura in cui ciò era
conciliabile col suo modo di pensare realistico.
Parecchie esteriorità furono di scarsa importanza. Così
la divisione negli informi libri. Anche l'ordinamento
annalistico così aspramente criticato dal Ranke non era
poi così male adatto alla materia ed aveva perlomeno il
vantaggio che il lettore non perdeva mai di vista il
nesso generale; inoltre il Guicciardini non
interrompeva, come facevano gli umanisti, la narrazione
al volger dell'anno con notizie di cronaca...
Ancora in un altro punto il Guicciardini si unì
all'usanza degli umanisti.
Quasi tutti gli storiografi umanisti posero talvolta
alla luce della loro narrazione relazioni altrui, e
composero in modo indipendente solo nella misura in cui
nessun predecessore avesse loro spianata la strada.
Guicciardini all'occasione non fece molto diversamente.
Ma anche in tal caso il suo procedimento fu
essenzialmente diverso da quello degli umanisti. In
primo luogo oltre alle fonti letterarie utilizzò il
materiale archivistico così completamente e
diligentemente come nessun altro predecessore. Inoltre
non riproduceva mai una semplice copia, bensì elaborava
la sua fonte secondo punti di vista personali. Non
compendiò mai altri autori in modo così arbitrario e
trascurato come faceva per es. Machiavelli. Limitarsi
completamente agli atti non poteva, già pel solo fatto
che delle carte di stato gli erano accessibili solo i
documenti dell'archivio fiorentino. E quel che prendeva
dalle sue diverse fonti lo connetteva col resto così
accuratamente, che ne veniva fuori qualcosa di
completamente nuovo. Naturalmente gli sono sfuggiti
degli errori. Ma ciò non dà il diritto di collocarlo al
di sotto di storici che non possono competere con lui né
per coscienziosità, né per prudenza.
Guicciardini appartiene, insieme al Commines, al
Clarendon ed altri, al numero degli storici che hanno
determinato il giudizio dei posteri sul loro tempo. Per
la concezione moderna della politica del rinascimento
egli, accanto a Machiavelli, è il testimonio principe. A
torto. Se la politica appare in lui particolarmente
priva di scrupoli e violenta, la ragione di ciò non sta
nell'oggetto, ma nel soggetto. Voler spiegare ad esempio
Guicciardini con i rapporti. esistenti nel suo tempo
sarebbe un ingenuo circulus vitiosus. Lo stato di cose
di allora ha avuto influenza sulla sua concezione solo
in quanto non diede agli statisti occasione di calcolare
con altre combinazioni che non fossero quelle politiche
e militari. Nell'Italia di quel tempo si notavano così
pochi conflitti ecclesiastici o sociali, che anche la
storiografia credette di poter diventare unilaterale. Ma
la colpa della propensione a riconoscere nella politica
solo motivi egoistici, non l'ha la particolare
corruzione dei tempi, bensì la personalità dell'autore.
Fu una fortuna che l'attività del Guicciardini cadesse
in un tempo di quasi illimitata libertà di parola. Poco
dopo gli statisti poterono bensì agire ancora come egli
descrive, ma non poterono più scrivere come lui. |