IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

CINQUECENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL CINQUECENTO

La composizione dei Ricordi

[Il Guicciardini], postosi nel 1528 in un periodo di ozio forzato, a raccogliere tutti i ricordi precedentemente composti, attese quasi esclusivamente ad una revisione di carattere stilistico, a dare a tutti dignità letteraria, ad eliminare le disuguaglianze, a sciogliere le sigle in espressioni il più possibile perspicue e compiute. Ma, appunto per questo, la nuova serie non poté soddisfarlo del tutto: rimase in lui il desiderio di riprendere ex novo tutti i suoi pensieri, quasi per saggiarne il valore atteggiandoli in diversa maniera e dando maggior risalto ai princìpi informatori.
Questo fece con la serie del 1530: a proposito della quale non va dimenticato che, se due anni soli la separano dalla precedente, in realtà uno spazio ben maggiore di tempo divide questi ricordi da quegli altri che nelle loro linee essenziali erano già stati composti nel 1523 se non prima ancora, e che tra gli uni e gli altri stanno gli anni più intensi e più tragici della vita del Guicciardini, e in special modo quel periodo di raccoglimento e di ripiegamento su sé medesimo che seguì la catastrofe della guerra della Lega e i rivolgimenti di Firenze. Da quella nuova meditazione sono usciti questi ricordi, nei quali la convinzione dell'autore, e la sua stessa personalità, si afferma con maggiore risolutezza mutato l'ordine del ragionamento, lo scrittore enuncia con energia all'inizio del ricordo quel che nei ricordi precedenti era la conclusione del suo discorso, se pure non risale a princìpi più generali. «L'ambizione non è dannabile... È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente...». Egli predilige perciò all'inizio del discorso gli imperativi che diventano uno dei modi stilistici dei suoi Ricordi: «Non si confidi alcuno... Non vi spaventi... Non crediate a coloro... Nega pure sempre... Fate ogni cosa... Abbiate sempre la mira... Pregate Dio sempre...», o la sentenza affermativa o negativa, enfaticamente sottolineata: «È grande errore... Non è la più preziosa cosa... Non è cosa più contraria... Non é la più labile cosa... Gran cosa è avere potestà... Non è cosa che uomini debbino più desiderare... È fallacissimo il giudicare... Più detestabile e più perniciosa è in uno principe...». Così egli può meglio raccogliere intorno al vero affermato gli argomenti che lo giustificano: il pensiero ci si presenta in sé conchiuso e compiuto in ogni sua parte. Talvolta, per il più sicuro possesso della verità che espone, il Guicciardini può rendere più semplice il ragionamento, potandolo di argomentazioni laterali, e dare in tal modo al ricordo, come si è veduto in quello sull'essere e il parere, un'aria di maggiore familiarità: ma anche in questo caso non abbandona una sostenutezza di linguaggio, divenuta con gli anni affatto naturale per lui. Il ricordo tende a trasformarsi in massima: dal giovane scrittore, così vicino alla tradizione quattrocentesca, della prima serie, si é sviluppato un moralista, il cui interesse non si esaurisce nell'osservazione particolare e che mira, mentre ferma il suo ricordo, più oltre che ad un fine di immediata utilità. Ed è da aggiungere a questo proposito, che non solo il Guicciardini ha rilevato stilisticamente il significato generale dei pensieri precedentemente espressi, ma ha introdotto in questa serie pensieri che trascendono gli argomenti soliti della sua speculazione. Compaiono soltanto nella serie ultima i pensieri sulla religione, sui miracoli che tutte le religioni possono vantare e che perciò non sono di per sé validi a provare la veridicità di alcuna di esse, sulla giustizia di Dio, che l'uomo non può pretendere di riconoscere negli eventi terreni («Non dire: Dio ha aiutato il tale perché era buono: il tale è capitato male perché era cattivo...»), su quanto permane di meraviglioso nella storia, anzi nella più semplice vita di un uomo («Quando io considero a quanti accidenti e periculi di infirmità, di caso, di violenzia e in modi infiniti, è sottoposta la vita dell'uomo...») ; sulla vita e sulla morte, la morte onnipresente a cui pure gli uomini non pensano e non debbono pensare - così vuole «el corso o vero ordine di questa machina mondana» perché, se così non fosse, «sarebbe pieno el mondo di ignavia e di torpore»: «È certo gran cosa che tutti sappiamo avere a morire, tutti viviamo come se fussimo certi avere sempre a vivere...». Questi pensieri sono come la conclusione delle meditazioni del Guicciardini, il quale, partito dalla « considerazione » spicciola dell'utile della città o del singolo individuo, a poco a poco è pervenuto a rendersi conto del complesso giuoco delle vicende e delle passioni umane ed è stato introdotto a risalire poi ad alcuni princìpi, oltre i quali non vuole né pensa sia possibile andare: siamo alle soglie della Storia D'Italia, della quale quei pensieri, insieme con alcuni altri dei Ricordi, sono il presupposto, la salda base che permette quell'inflessibile sicurezza di giudizio, la sorgente di quella solenne pensosità che impronta tutta l'opera.

Nettamente delineata è perciò la fisionomia di ciascuna delle serie di ricordi: e più chiaro appare a chi abbia presente la formazione di quest'opera, quel che essi rappresentano nello svolgimento spirituale del Guicciardini. Uomo d'azione ed a un tempo portato da invincibile bisogno a chiarire a sé medesimo le ragioni e i modi dell'azione, a « fermare il punto », come egli ebbe a dire, distendendo sulla carta i risultati della' sua riflessione, egli trovò nel «ricordo» l'occasione e il mezzo di un distacco dalla realtà più immediata, compiacendosi di dominare con la riflessione la disparata materia offertagli dall'esperienza e preparandosi in tal modo all'analisi della Storia d'Italia. Empirista al pari del Machiavelli, non poteva pensare di raccogliere quelle sparse osservazioni intorno a un principio unificatore, ma nemmeno gli era dato di ridurre, come fece il Machiavelli, quel mondo empirico a una certa unità per l'urgenza di qualche determinato problema'; rimangono nei Ricordi, anche nei più maturi, accanto a pensieri profondi, discussioni come quelle sulla maniera di trattare i servitori o sulla difficoltà di maritare le figliuole, e tutti sembrano avere la medesima importanza per lo scrittore. Ma anche la materia più di una volta mediocre è riscattata dalla presenza della mente che di quella materia s'impossessa per rischiararla in ogni suo aspetto e la cui opera rischiaratrice sembra essere superiore all'oggetto studiato. Quel che importa al Guicciardini è di comprendere, comprendere quale si sia l'oggetto, ridurre ogni fatto, ogni opinione, ogni sentimento che abbia attratto la sua attenzione in termini assolutamente intelliggibili : nel «ricordo» che circoscrive il singolo oggetto della riflessione, piccolo o grande che sia, egli si trova del tutto a suo agio e può, di redazione in redazione, raggiungere, mantenendosi in quel quadro ben limitato, una chiarezza e una compiutezza sempre maggiore. La semplice notazione o l'appunto non possono perciò soddisfarlo: l'innato bisogno di chiarezza lo porta a un progressivo affinamento della lingua e dello stile.

Mario Fubini

© 2009 - Luigi De Bellis