La
composizione dei Ricordi
[Il Guicciardini], postosi nel 1528 in un periodo di
ozio forzato, a raccogliere tutti i ricordi
precedentemente composti, attese quasi esclusivamente ad
una revisione di carattere stilistico, a dare a tutti
dignità letteraria, ad eliminare le disuguaglianze, a
sciogliere le sigle in espressioni il più possibile
perspicue e compiute. Ma, appunto per questo, la nuova
serie non poté soddisfarlo del tutto: rimase in lui il
desiderio di riprendere ex novo tutti i suoi pensieri,
quasi per saggiarne il valore atteggiandoli in diversa
maniera e dando maggior risalto ai princìpi informatori.
Questo fece con la serie del 1530: a proposito della
quale non va dimenticato che, se due anni soli la
separano dalla precedente, in realtà uno spazio ben
maggiore di tempo divide questi ricordi da quegli altri
che nelle loro linee essenziali erano già stati composti
nel 1523 se non prima ancora, e che tra gli uni e gli
altri stanno gli anni più intensi e più tragici della
vita del Guicciardini, e in special modo quel periodo di
raccoglimento e di ripiegamento su sé medesimo che seguì
la catastrofe della guerra della Lega e i rivolgimenti
di Firenze. Da quella nuova meditazione sono usciti
questi ricordi, nei quali la convinzione dell'autore, e
la sua stessa personalità, si afferma con maggiore
risolutezza mutato l'ordine del ragionamento, lo
scrittore enuncia con energia all'inizio del ricordo
quel che nei ricordi precedenti era la conclusione del
suo discorso, se pure non risale a princìpi più
generali. «L'ambizione non è dannabile... È grande
errore parlare delle cose del mondo indistintamente...».
Egli predilige perciò all'inizio del discorso gli
imperativi che diventano uno dei modi stilistici dei
suoi Ricordi: «Non si confidi alcuno... Non vi
spaventi... Non crediate a coloro... Nega pure sempre...
Fate ogni cosa... Abbiate sempre la mira... Pregate Dio
sempre...», o la sentenza affermativa o negativa,
enfaticamente sottolineata: «È grande errore... Non è la
più preziosa cosa... Non è cosa più contraria... Non é
la più labile cosa... Gran cosa è avere potestà... Non è
cosa che uomini debbino più desiderare... È fallacissimo
il giudicare... Più detestabile e più perniciosa è in
uno principe...». Così egli può meglio raccogliere
intorno al vero affermato gli argomenti che lo
giustificano: il pensiero ci si presenta in sé conchiuso
e compiuto in ogni sua parte. Talvolta, per il più
sicuro possesso della verità che espone, il Guicciardini
può rendere più semplice il ragionamento, potandolo di
argomentazioni laterali, e dare in tal modo al ricordo,
come si è veduto in quello sull'essere e il parere,
un'aria di maggiore familiarità: ma anche in questo caso
non abbandona una sostenutezza di linguaggio, divenuta
con gli anni affatto naturale per lui. Il ricordo tende
a trasformarsi in massima: dal giovane scrittore, così
vicino alla tradizione quattrocentesca, della prima
serie, si é sviluppato un moralista, il cui interesse
non si esaurisce nell'osservazione particolare e che
mira, mentre ferma il suo ricordo, più oltre che ad un
fine di immediata utilità. Ed è da aggiungere a questo
proposito, che non solo il Guicciardini ha rilevato
stilisticamente il significato generale dei pensieri
precedentemente espressi, ma ha introdotto in questa
serie pensieri che trascendono gli argomenti soliti
della sua speculazione. Compaiono soltanto nella serie
ultima i pensieri sulla religione, sui miracoli che
tutte le religioni possono vantare e che perciò non sono
di per sé validi a provare la veridicità di alcuna di
esse, sulla giustizia di Dio, che l'uomo non può
pretendere di riconoscere negli eventi terreni («Non
dire: Dio ha aiutato il tale perché era buono: il tale è
capitato male perché era cattivo...»), su quanto permane
di meraviglioso nella storia, anzi nella più semplice
vita di un uomo («Quando io considero a quanti accidenti
e periculi di infirmità, di caso, di violenzia e in modi
infiniti, è sottoposta la vita dell'uomo...») ; sulla
vita e sulla morte, la morte onnipresente a cui pure gli
uomini non pensano e non debbono pensare - così vuole «el
corso o vero ordine di questa machina mondana» perché,
se così non fosse, «sarebbe pieno el mondo di ignavia e
di torpore»: «È certo gran cosa che tutti sappiamo avere
a morire, tutti viviamo come se fussimo certi avere
sempre a vivere...». Questi pensieri sono come la
conclusione delle meditazioni del Guicciardini, il
quale, partito dalla « considerazione » spicciola
dell'utile della città o del singolo individuo, a poco a
poco è pervenuto a rendersi conto del complesso giuoco
delle vicende e delle passioni umane ed è stato
introdotto a risalire poi ad alcuni princìpi, oltre i
quali non vuole né pensa sia possibile andare: siamo
alle soglie della Storia D'Italia, della quale quei
pensieri, insieme con alcuni altri dei Ricordi, sono il
presupposto, la salda base che permette
quell'inflessibile sicurezza di giudizio, la sorgente di
quella solenne pensosità che impronta tutta l'opera.
Nettamente delineata è perciò la fisionomia di ciascuna
delle serie di ricordi: e più chiaro appare a chi abbia
presente la formazione di quest'opera, quel che essi
rappresentano nello svolgimento spirituale del
Guicciardini. Uomo d'azione ed a un tempo portato da
invincibile bisogno a chiarire a sé medesimo le ragioni
e i modi dell'azione, a « fermare il punto », come egli
ebbe a dire, distendendo sulla carta i risultati della'
sua riflessione, egli trovò nel «ricordo» l'occasione e
il mezzo di un distacco dalla realtà più immediata,
compiacendosi di dominare con la riflessione la
disparata materia offertagli dall'esperienza e
preparandosi in tal modo all'analisi della Storia
d'Italia. Empirista al pari del Machiavelli, non poteva
pensare di raccogliere quelle sparse osservazioni
intorno a un principio unificatore, ma nemmeno gli era
dato di ridurre, come fece il Machiavelli, quel mondo
empirico a una certa unità per l'urgenza di qualche
determinato problema'; rimangono nei Ricordi, anche nei
più maturi, accanto a pensieri profondi, discussioni
come quelle sulla maniera di trattare i servitori o
sulla difficoltà di maritare le figliuole, e tutti
sembrano avere la medesima importanza per lo scrittore.
Ma anche la materia più di una volta mediocre è
riscattata dalla presenza della mente che di quella
materia s'impossessa per rischiararla in ogni suo
aspetto e la cui opera rischiaratrice sembra essere
superiore all'oggetto studiato. Quel che importa al
Guicciardini è di comprendere, comprendere quale si sia
l'oggetto, ridurre ogni fatto, ogni opinione, ogni
sentimento che abbia attratto la sua attenzione in
termini assolutamente intelliggibili : nel «ricordo» che
circoscrive il singolo oggetto della riflessione,
piccolo o grande che sia, egli si trova del tutto a suo
agio e può, di redazione in redazione, raggiungere,
mantenendosi in quel quadro ben limitato, una chiarezza
e una compiutezza sempre maggiore. La semplice notazione
o l'appunto non possono perciò soddisfarlo: l'innato
bisogno di chiarezza lo porta a un progressivo
affinamento della lingua e dello stile. |