IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

SETTECENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL SETTECENTO

CESAROTTI E L'OSSIAN

In tutta l'opera cesarottiana si può notare un'intelligenza equilibrata, un compromesso di Arcadia, illuminismo, preromanticismo, e senza l'Ossian non avremmo da accertare, a parte le alte intuizioni linguistiche, se non una certa delicatezza e freschezza sentimentale non troppo esigente, saziata in una Arcadia più precisa e pensosa. Ma l'Ossian portò ciò che allargava, senza pericolo, quelle possibilità fino alla guida di una nuova impostazione di linguaggio che sarebbe rimasta altrimenti inattuata. «Un cuore profondamente sensibile e penetrato da quella sua melanconia sublime che sembra il distintivo del genio, un'anima che trabocca e riversasi sopra tutto ciò che la circonda»: ecco i caratteri che egli ritrova nell'Ossian. Parole che, se partono più da una fortunata intelligenza che da una aderenza profonda, suonano singolarmente nuove, decisive per la nuova letteratura e per il frutto più notevole dell'attività cesarottiana. Si noti che il Cesarotti, che non ruppe mai con l'Arcadia, alla quale dedicò il Saggio sulla filosofia del gusto, avrebbe potuto senza la sua larga e accogliente apertura e il suo audace gusto linguistico, arcadizzare o stilizzare parinianamente quel testo in una misura simile a quella di molti traduttori anche posteriori a lui...

L'Arcadia parinizzata non riusciva a rompere la ricerca di una caduta gradevole, congiunta ad una preziosità elegantemente raccorciata come colmo della musica della poesia (e pendon curve, attonite - di grata lira al suon), mentre il Cesarotti distende il suo discorso poetico, lo rende rapace di accogliere movimenti più lunghi e meno stilizzati, apre una nuova declamazione sentimentale pur mantenendola nei termini di una struttura tradizionale. Così, mentre i traduttori più arcadici non riescono che ad arricchire la poesia illuministica di qualche motivo nuovo sulla via della languidezza, e i traduttori più alla lettera non incidono sulla lingua poetica, il Cesarotti nella sua versione condiziona l'inizio di una poetica che vivrà nel nostro grande romanticismo neoclassico.
Nell'Ossian, il Cesarotti consolidò la sua spregiudicata simpatia per una letteratura che, senza urtare il suo ideale civile, accrescesse le risorse della fantasia e della lingua e secondasse quel vago bisogno sentimentale e spiritualistico che egli d'altronde non sentiva in contrasto con lo spirito idei lumi.
Questo spiritualismo tra sensistico e cristiano (ma senza approfondimento) non trovava nella salda concezione pagana di Omero ciò che trovava nell'Ossian, gocciolante di una vaga e triste religiosità, anteriore al culto, ad ogni confessione e religione precisa: e però tanto più attraente e poetica.

«Le verità del cristianesimo avrebbero aperto ad Ossian le fonti di un sublime e d'un mirabile propriamente divino ed in questa religione avrebbe ravvisato il modello di quella perfezione morale ch'egli sapeva spirare senza riconoscerne l'autore.
Ma se Ossian non potè dare alla sua poesia questa soprannaturale sublimità, egli almeno non l'infettò con le stravaganze degli altri poeti del gentilesimo e ce la diede così pura e così perfetta, quanto ella potea prodursi coi semplici lumi della natura». E poiché in un'altra disquisizione sulle relazioni tra religione e poesia il Cesarotti arriva all'equivalenza cristiano-naturale, noi non troviamo qui solo il preannunzio della polemica romantica contro la mitologia pagana («senza Apollini, senza Muse, senza salire in groppa del Pegaseo, senza trasformarsi in cigno il poeta sa rapir l'anima con un felicissimo, e naturale entusiasmo»), ma soprattutto una posizione letteraria che pure basandosi sulla vecchia formula della poesia cristiana, afferma un tipo di suggestione sentimentale e lo spiega in nome della natura che diventa così una fonte di poesia pittoresca e sensibile, ma non più solamente figurativa e sensuale. Si pensi alla religione tassesca della natura che comincia con l'Aminta e che aveva nutrito la letteratura italiana fino all'illuminismo e si troverà estremamente interessante questo accenno ad una natura, fonte di poesia religiosa: anche qui non proprio una rivoluzione (ché gli accenti tasseschi avevan mantenuto alla sensualità naturalistica una intima languidezza melanconica), ma trasformazione della sensualità in sentimentalità, della distensione in tensione, in presentimento di un di piú insoddisfatto ed essenziale: una mediazione verso l'anima preromantica che cela in sé, nella sua fragilità autunnale le radici del potente inverno romantico. La natura cambia la sua animazione, perde la sua aurea perfezione primaverile, non è più il vertice della gioia e della pace, il paradiso degli animi poetici, non colpisce più per la sua armonia, per la sua organicità; assume un volto fremente e se pure da materna bontà istintiva passerà poi a matrigna crudele, nel corso del romanticismo, fui d'ora ogni suo atteggiamento serba un fondo di assorta melanconia, di severa tristezza che per lungo tempo non rivela le sue origini, le mantiene come in incubazione: permane come una divinità senza letizia e senza panismo, come la riserva spirituale di un'umanità che sospira e trova in essa la fonte ed il conforto dei suoi sospiri. Sia che si bagni di languida pensosità come nella Elegia di Gray o che si esalti in orrido come nell'Ossian, la natura preromantica è una voce di melanconia che sembra superare la volontà chiara degli scrittori, come supera l'equilibratissima libertà cesarottiana. Questa nuova natura (e si badi bene che l'interesse a questa osservazione cresce proprio quando alla parola «natura» si dia il romantico significato di paesaggio dell'anima) non ha più che scarsi legami con l'orrido barocco che tendeva alla meraviglia mentre il nuovo orrore tende alla commozione ....

Con il Parini abbiamo già assistito ad uno sforzo per suggellare ogni nuovo atteggiamento nella perfetta forma incisiva e classicheggiante, ma ora comparivano non più sensazioni di cose, ma sentimenti fondamentali che non si prestavano alla precisa freddezza dei cammei occorreva tentare un nuovo equilibrio e mentre il neoclassicismo sulle orme del Parini non riusciva a svilupparsi oltre certi limiti preziosi, fu (arricchimento preromantico che preparò il grande romanticismo neoclassico italiano. Il Cesarotti appunto rappresenta questa apertura della letteratura italiana ai nuovi motivi e insieme la sua tendenza istintiva ad assimilarli nelle sue linee più tradizionali. Se noi abbiamo voluto studiare come il Cesarotti operò per presentare, per mediare il testo ossianesco osservando anche le stonature inevitabili derivate dalla coscienza imperfetta del fondamento del nuovo gusto, dobbiamo ora considerare questa versione come un testo a sé stante, come il testo preromantico più importante, come il testo cui guardarono Alfieri, Foscolo, Leopardi, su cui essi formarono la loro nuova abitudine ad un canto che fosse misura e sentimento: sentimento ordinato in una misura che non era più quella semplicemente tradizionale, di conclusione, di vittoria formale, rinforzata poi dal loro sostanziale neoclassicismo
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Walter Binni

© 2009 - Luigi De Bellis