Il pubblico colto del secolo XIII
Il quadro che qui disegna Auerbach ci permette di
individuare nell'Italia duecentesca i luoghi e i ceti
sociali partecipi della cultura del tempo e ci indica la
decisiva influenza che l'opera di Dante ebbe nel diffondere
in un più vasto pubblico l'interesse e la passione degli
studi e della lettura.
In Italia, molto prima che altrove, la vita politica ed
economica si svolgeva in comuni cittadini indipendenti, cosí
che vi prendevano parte molte più persone. La nobiltà
feudale (alla quale va unito il ceto dei chierici
cortigiani) non aveva importanza culturale nell'Italia
settentrionale e centrale. C'era, per esempio a Bologna,
Firenze, Arezzo, Siena, un patriziato cittadino
relativamente numeroso, la cui composizione spesso si
rinnovava, che aveva parte dirigente nella vita pubblica e
aveva bisogno di istruzione. Per conseguenza in queste città
sorse prestissimo una specie di sistema di istruzione
cittadino che produceva un gruppo relativamente numeroso di
laici colti; e che, quale che fosse in esso la
partecipazione di istituti ecclesiastici e di persone
appartenenti alla Chiesa, aveva un carattere molto píù
pratico e molto più mondano che nel nord. Se lasciamo da
parte la medicina, lo scopo di questa istruzione, che
naturalmente era ancora soprattutto latina, era di mettere
in condizione di partecipare agli affari della vita
pubblica, dell'attività giuridica e notarile, e a questo
scopo serviva una propedeutica retorica, chiamata ars
dictaminis. Essa sovrabbondava di figure ornamentali, era
pomposa e talvolta oscura, ciò che sembra contraddire il suo
fine pratico. Ma è la tradizione solenne e maestosa delle
cancellerie della tarda antichità, rinnovata dallo stile
epistolare di Federico Il e del suo cancelliere Pier della
Vigna; essa offre ora un gradito mezzo di espressione per la
coscienza indipendente e per l'orgoglio politico dei comuni
e dei partiti. L'influenza di questo stile sulla prima
letteratura in lingua popolare è grande, ed è rafforzata
dall'arte poetica dei provenzali del trobar clus, anch'essa
ispirata dalla retorica manieristica, oscura e difficile;
nei provenzali si trovano anche i primi esempi di poesia
politico-polemica in lingua popolare. Inoltre nella poesia
italiana agisce anche il forte realismo popolare e la
mordacità e la poesia religiosa delle laudi, anch'essa
popolare ma formata anche alla tradizione biblico-tipologica;
e vi appare infine l'influenza della concettosità e della
tecnica della discussione scolastica.
Verso la fine del XIII secolo le influenze
pratico-politiche, popolari, manieristiche e filosofiche si
fondono nella formazione della letteratura italiana e danno
un nuovo orientamento ai motivi cortigiani; e si trova un
altro ceto di persone alle quali la letteratura si rivolge.
Benché non abbiamo alcuna idea molto chiara sul corso
d'istruzione consueto nelle famiglie del patriziato urbano -
anche sull'educazione di Dante non sappiamo pressoché nulla,
soltanto ciò che egli stesso dice nel Convivio II, XII sui
suoi studi di adulto - in ogni caso è chiaro che
all'istruzione e alla cultura prendeva parte un numero di
persone molto maggiore che altrove, e che molto presto la
lingua popolare fu usata in modo più indipendente, per scopi
piú importanti e con maggiore dignità. Prestissimo, già
nella seconda metà del XIII secolo, si forma un gruppo di
poeti che non è né feudale e aristocratico né clericale, che
usa la lingua popolare per dire cose che non sono affatto
popolari; che contrappone, in modo più concreto di Jean de
Meun, per esempio, la nobiltà del cuore a quella della
nascita, che, sebbene continuamente impegnato nella vita
pratica e politica, dà l'impressione di una lega segreta di
iniziati, che fonde nelle sue poesie l'elemento
mistico-erotico, il filosofico e il politico in una unità
spesso difficile da spiegare, e che cerca, con maggiore
chiarezza e consapevolezza di chiunque altro, di raggiungere
uno stile elevato nella lingua popolare.
Chi è il pubblico per la poesia di questo gruppo, del gruppo
del Dolce Stil Nuovo, come lo chiamò Dante, il più giovane
di quei poeti? Non si può rispondere con precisione a questa
domanda; con precisione molto maggiore si può mostrare come
i poeti si immaginassero il pubblico al quale si
rivolgevano. Fin dal principio essi si rivolgono a una élite,
alla élite del «cor gentile», e fin dal principio cercano,
facendo appello ai pochi e respingendo i molti, di creare
questa élite e di darle coscienza di se stessa. Questo
atteggiamento è rintracciabile già in Guido Guinizelli ed è
molto forte nel Cavalcanti; molto accentuato è nella Vita
nuova e nelle canzoni di Dante; si manifesta anche nel
Convivio, e qui con un particolare orientamento contro gli
eruditi latini e per i «cólti» in lingua popolare. Questa è
la testimonianza più importante che noi abbiamo, attorno al
1300, per l'esistenza di un pubblico cólto di lingua
popolare, e voglio riportarla qui benché sia molto nota:
«Ché la bontà dell'animo, la quale questo servigio (cioè
l'interpretazione allegorico-filosofica delle sue canzoni
contenuta nel Convivio, oggetto molto difficile) attende, è
in coloro che per malvagia disusanza del mondo hanno
lasciato la letteratura (il latino) a coloro che l'hanno
fatto di donna meretrice; e questi nobili sono principi,
baroni e cavalieri, e molta altra nobile gente, non
solamente maschi; ma femmine, che sono molti e molte in
questa lingua (l'italiano), volgari e non letterati (la cui
lingua di cultura é la lingua madre italiana, non la
latina)».
L'elaborazione completa del rapporto col pubblico, cosí come
nasceva dallo Stil Nuovo, appare per la prima volta
nell'altra grande opera dantesca in lingua popolare, nella
Commedia.
Dante si creò un pubblico, ma non lo creò solo per sé: creò
anche il pubblico per i successori. Egli formò, come
possibili lettori del suo poema, un mondo di uomini che non
esisteva ancora quando scriveva e che si costituì lentámente
grazie al suo poema e ai poeti che vennero dopo di lui.
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