L'ULTIMO
PERIODO DELLA LIRICA LEOPARDIANA
L'esperienza di un lettore ha spesso dovuto constatare di
fronte alla storia di un poeta che certi momenti e motivi
diversi sono difficilmente riconducibili ad unità e che
spesso l'esigenza di riconoscimento della personalità porta
a sforzarli in un disegno di dubbia autenticità. La
tradizione grammaticale formalistica ci invita ad insistere
sulle variazioni di temi fondamentali, la eredità romantica
ci spinge ad una storia della personalità poetica in senso
drammatico. E la critica crociana di stretta osservanza ci
chiarisce il bisogno di una formulazione e di una
descrizione, di un accertamento del valore totalmente
realizzato.
È lo studio di «poetica» nella sua migliore accezione
storicistica che può dare alla doppia esistenza di unità e
di molteplicità dei motivi poetici entro i limiti di una
personalità, la più completa risposta, in quanto è proprio
nella poetica che si storicizzano i diversi momenti
ispirativi al di là della suggestione psicologica che
finirebbe per frantumare una storia in cronaca di
sensibilismo descrittivo. Non la romantica eredità della
«storia di un'anima», ma storia di poetica che permette di
utilizzare ogni dato, ogni indicazione biografica, rettorica,
sicuri di vederla scendere al punto essenziale in cui tutto
si trasforma da esperienza vitale o letteraria in elemento
di disegno artistico, di costruzione poetica.
Si reagisce così all'istintivo bisogno di unità che vive nel
tono fondamentale della personalità, ma che può realizzarsi
in diversi momenti, in diversi atteggiamenti di poetica: si
pensi allo Hólderlin dell'Hyperion, delle grandi Odi ultime,
dell'Hempedokles, si pensi al Foscolo delle odi, dei
Sepolcri, delle Grazie, si pensi soprattutto al Leopardi
degli idilli e al Leopardi degli ultimi canti.
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Dolce e chiara è la notte e senza vento
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna e di lontan rivela
serena ogni montagna...
Dolcissimo, possente
dominator di mia profonda mente;
terribile, ma caro
dono del ciel, consorte
ai lugubri miei giorni,
pensier ch'innanzi a me sì spesso torni... |
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Basta
avvicinare questi due inizi famosi (l'uno rielaborato fino
al '35 sempre nel gusto idillico, il secondo del '3r proprio
all'inizio della epoca poetica che vogliamo studiare) per
sentire la grandissima diversità fra due espressioni,
intensamente leopardiane, ma ispirate nella linea divergente
di due diverse poetiche.
Il primo inizio presuppone una poetica idillica, tesa ad
armonizzare, a pausare in distensioni, in serenità
conclusiva e quindi in ritmi larghi e senza scosse, fluenti,
orizzontali, l'altro è sostenuto da una poetica e eroica »
in cui la personalità del poeta batte con energia aggressiva
e tende a presentarsi integralmente nella sua affermazione
di passione in forme risolute e impetuose, staccate in
potenti blocchi di cui sono simbolo i due aggettivi che
guidano questo tema musicale senza riposo di verbo, di
descrizione, di colore, in cui le parole sembrano legate per
una comune energia esplosiva e l'ultimo verso accentua
l'impeto e la solennità assorta con la sua scandita
impostazione. Due poetiche lontanissime anche se nutrite da
una comune personalità: la prima di passione placata in
dolcezza di paesaggio, in nostalgia di ricordo, la seconda
di passione presente come prova di pienezza ed unità
personale, come validità poetica. Due poetiche lungamente
applicate e che noi dobbiamo tanto più distaccare per
reagire alla confusione che ingenera il loro mancato
riconoscimento, a quell'atteggiamento critico che eleva un
motivo ad unico motivo veramente leopardiano e degrada a
momenti di insufficienza tutte quelle poesie che a quel
motivo non aderiscono. Questo infatti è il punto dolente dei
problema leopardiano: chi giunge ai nuovi canti dopo la
lettura del grandi idilli si trova disorientato di fronte a
così grande diversità e questa impressione si cambia
facilmente in giudizio comparativo ed in svalutazione delle
nuove poesie considerate come deviazione dal motivo
trionfante della poesia idillica. E poiché non si
approfondisce di solito se non episodicamente e
psicologicamente la situazione del nuovo Leopardi e non la
si vede in funzione di poetica, è facile assumere la
posizione idillica come l'unica posizione veramente
leopardiana ed ogni divergenza di tono come infiacchimento e
turbamento d'ispirazione.
Impressioni che non derivano tanto da una lettura ingenua,
quanto proprio dallo sviluppo stesso del problema critico
leopardiano quale è venuto a svolgersi in atmosfera crociana...
Con il Croce le posizioni ingenue di lode degli ultimi canti
cadono sotto una critica tanto abile ma tanto unilaterale,
che andando alla ricerca di poesia e non poesia finì per
identificare la prima con gli idilli e la seconda con ogni
poesia non idillica ....
Scarsi ostacoli han contrastato alla tesi crociana il
predominio nel campo critico... Un tentativo determinato in
questo senso fu da me compiuto in un lavoro uscito nel 1936:
Linea e momenti della poesia leopardiana, ricavato da un
precedente lavoro scolastico del 1934. Quel saggio lontano
partiva da un'impressione generica della grandezza degli
ultimi canti e della loro sostanziale unità di tono, della
differenza del tono idillico e tendeva ad accertare anche
biograficamente uno stacco, un ingrandimento spirituale, un
atteggiamento nuovo, più virile come di chi avesse
acquistato meglio il senso della propria personalità e
volesse portarlo nella vita, affrontare il presente, non
allontanarlo nel ricordo o nell'armonia del paesaggio, del
quadretto idillico. Un Leopardi fatto più cosciente del
proprio mondo interiore fino a sentire il bisogno di
presentarlo non in forma di mesta elegia ma come valore e
perfino come guida di fronte a un mondo sciocco, a un
destino malvagio negati con energia suprema.
Quel Leopardi più energico e combattivo (togliendo a queste
qualifiche ogni equivoco di romanticismo facile, byroniano)
viene a far urgere nella poesia la sua personalità più
profonda attraverso un'adeguata poetica. Donde la
costatazione di una funzione nuova del pensiero leopardiano
che più direttamente confluisce in sintesi poetica, in
elemento di poetica con il tono non analitico, ma unitario e
affermativo, di una protesta e di un messaggio radicali al
senso della vita e della poesia. La nuova poetica che ha
operato con continuità attraverso diversi stati d'animo e
sforzando persino certe situazioni sentimentali ben al di là
dunque di un adeguamento mimetico ad ogni sfumatura
psicologica, mi apparve caratterizzata dalla energia con cui
il Leopardi vuole affermare e negare, dall'effetto
perentorio che vuole raggiungere non oratoriamente, ma per
intensità poetica sia nell'affermarsi identificato con il
pensiero d'amore sia nel negare ogni palpito alla realtà,
sia nell'affermarsi evangelicamente rivelatore di una verità
e di un messaggio vitale. Poetica della «personalità» nel
senso più romantico di tale espressione, nel senso che il
più sobriamente possibile avvicina quest'ultimo Leopardi più
di qualunque altro romantico italiano ai grandi romantici
europei nella loro esigenza di assoluto colto nell'atto
poetico, non come armonia idillica a cui pure aspirava un
altro atteggiamento romantico. Solo così mi parve possibile
comprendere una parte così cospicua della produzione
leopardiana che rimane di solito nel limbo di un giudizio
esitante fra svalutazione prosastica ed accettazioni
parziali in base ad un paragone continuo con una poetica che
non è più valida per un Leopardi così diversamente
impegnato. E mi parve, come mi sembra ancor più chiaramente
in questa ripresa di una intuizione giovanile, che questa
precisazione di «poetica» non assicuri solamente la
comprensione storica dei canti posteriori al 1830, ma
arricchisca tutta la vita della poesia leopardiana
allargando il disegno fragile di un ultimo, per quanto
altissimo, dominio di Arcadia. La stessa poesia idillica
trova posizione in una offerta di personalità più larga e
potente, come la VI di Beethoven sarebbe più facilmente
limitata dalla mancanza della VII o della IX. |