LEOPARDI POETA
DELL'IDILLIO
Dove si
trovi la poesia del Leopardi è già additato dalla comune
coscienza critica, la quale, dopo avere accolto freddamente
le Operette Morali, rifiutati i Paralipomeni e la Palinodia,
accusava di prosaicità la Ginestra e altri carmi, con atto
risoluto e per opera del De Sanctis e facendo gridare i
fanatici del patriottismo (dal Settembrini al Carducci),
riconobbe altresì che le prime canzoni sono oratoria e
oratoria di scuola, che di quelle frenetiche o imprecanti si
salvano poeticamente solo alcuni tratti, che ci sono riserve
da fare su parecchie delle restanti, e indirizzò
l'ammirazione soprattutto ai cosiddetti «idilli», a quelli
giovanili e ai posteriori, ai piccoli, e ai «grandi idilli».
Basta, a me sembra, guardarsi dal materializzare questa
predilezione in una esclusiva e totale lode data ad alcuni
particolari componimenti, e intenderla nel suo senso ideale
e profondo, per ottenere il criterio onde si discerne la
vera poesia del Leopardi. Il quale, come abbiamo detto, fu
un «escluso dalla vita», ma non sì che non avesse nel primo
tempo giovanile sognato e sperato e amato e gioito e pianto,
e non gli accadesse di poi, in certi momenti, di risentirsi
vivere e l'animo gli si riaprisse alle trepide commozioni.
In questi momenti in cui egli, nel lontano o nel prossimo
ricordo, si rivedeva congiunto col mondo, la sua fantasia si
mosse poeticamente: ché la poesia potrà essere tutto ciò che
si vuole, ma non mai gelida e acosmica. Sono i momenti della
Sera del di di festa, della Vita solitaria, dell'Infinito,
del Sabato del Villaggio, della Quiete dopo la tempesta,
delle Ricordanze, di Silvia. Allora la sua parola acquista
colore, il suo ritmo si fa dolce e flessuoso e pieno di
armonie e di intime rime, la commozione trema riflettendosi
nella pura e lucente goccia di rugiada della poesia.
L'effetto è tanto più potente quanto più quei momenti di
vita, quegli sguardi rivolti al mondo circostante, non per
rigettarlo ma per accoglierlo in sé simpaticamente, quegli
impeti di desiderio, quelle speranze d'amore, quell'intenerimento,
quella soavità hanno quasi del furtivo, sono strappati al
duro destino che intorno preme, al gelo che invade, e si
esprimono con la ritenutezza, la modestia, la castità di chi
dice cose a lui non consuete. Donde il loro particolare
incanto, il lieve incarnato nel pallore di questa poesia,
che fa impallidire al confronto molta letteratura dai ricchi
e vivaci colori. Chi non porta nella memoria e nel cuore le
immagini che in essa affiorano, le divine immagini, figure
di fanciulle, aspetti di paesaggio, opere di umile gente?
Silvia al telaio, che canta nel maggio odoroso, con la mente
piena di un vago sogno, e il giovane signore che lascia le
carte e tende l'orecchio al suono di quella voce, e
congiunge il suo al sogno della fanciulla; - le sere nel
giardino della casa paterna, e il cielo stellato, e il canto
della rana, e la lucciola che erra presso le siepi, e le
voci domestiche che intanto si alternano tra le mura, mentre
il desiderio e il pensiero navigano nell'infinito; - il
tranquillo villaggio alla sera del sabato con la ragazza che
ha in mano i fiori per adornarsi il domani, e la
vecchierella che ciarla del passato, e i fanciulli che
saltano e gridano, e lo zappatore che torna alla sua parca
mensa pensando al giorno del suo riposo, e il fabbro e il
falegname che, quando già tutto dorme, affrettano il compito
del loro lavoro, come il lume che traluce dalla chiusa
bottega ne dà indizio; - la sera del giorno festivo, piena
di tristezza, col ricordo del canto che s'ode morire a poco
a poco lontanando; - il solitario margine del lago, di
«taciturne piante incoronato», presso cui egli si assideva e
si abbandonava e si faceva immoto con l'immota natura; -
l'impressione della vita che si ravviva dopo la tempesta; e
altre simili, nuove ed eterne, creazioni? E le parole
definitive, come: «Quando beltà splendeva Negli occhi tuoi
ridenti e fuggitivi»; e i versi perfetti: «Viene il vento
recando il suon dell'ora Dalla torre del borgo...» ; «Dolce
e chiara è la notte e senza vento...».
Con questi ricordi di vita salgono alla poesia quegli altri
momenti in cui il Leopardi si raccoglie in un mondo
intellettuale che gli è caro e, per così dire, ama l'amore e
insieme con l'amore ama la morte, come nel bellissimo
Pensiero dominante e in Amore e Morte, che, pur sotto forma
meditativa, non sono didascalica; e non didascalica ma
drammatica è l'Aspasia, in cui egli, dal naufragio
dell'ultimo amore, si raccoglie sulla ferma sponda
dell'intelletto e ritrova la sua forza nello spiegare a sé
stesso quello che gli è accaduto, e nel teorizzarlo, e
l'antica seduzione ancora vibra nell'anima, ma egli crede di
averla sorpassata e di dominarla mercè quella calma del
pensiero. |