IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

Petrarca
 

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: PETRARCA

L'analisi della vita interiore nel Petrarca

Ritirarsi in solitudine significava per Petrarca ritrovare tutta la ricchezza della propria interiorità, ritrovare il contatto con Dio, aprirsi la strada a un valido contatto col prossimo. La solitudine non era monastico ritiro in barbaro isolamento, ma iniziazione a una società più vera, a una charitas effettiva. L'appello all'interiorità che Petrarca rinnova in termini agostiniani non suona isolamento, ma esaltazione del mondo umano, del mondo dei valori e dell'azione, del linguaggio e della società che congiunge oltre il tempo e lo spazio, oltre ogni limite. La celebre epistola a frate Dionigi da Borgo San Sepolcro, ove descrive l'ascesa sul monte Ventoso, è la presentazione vivissima di questa conversione dalla natura allo spirito, necessaria premessa per una nuova valutazione del regno dello spirito. «E come Antonio, udite queste parole, più non cercò; come Agostino, dopo tale lettura, non andò più oltre; così io in queste brevi frasi silenziosamente riflettendo compresi tutta la stoltezza dell'uomo che, trascurato ciò che possiede di più nobile, si disperde nelle molte cose esterne, e quasi svanisce nelle parvenze del mondo esteriore, cercando fuori quello che dentro di sé già possedeva». Il monte che prima s'innalzava altissimo sembra ben misera cosa; «ne guardai la cima - esclama il poeta - e più non raggiungeva un cubito confrontata all'abissale profondità della contemplazione umana».

La ricchezza del Petrarca è forse tutta qui, nell'insistenza su queste esperienze fondamentali con cui l'uomo, stracciato il velo dell'interiore illusione che lo chiude a se stesso, si ritrova nella propria miseria e nella propria nobiltà. Ed eccolo indugiare particolarmente sul pensiero della morte, esortando gli uomini a riconoscere se stessi nella seria meditazione della propria morte. «Nessuno crede alla propria morte» - esclama in una lettera; e altrove descrive il suo andar raffigurando l'agonia, e lo sfacelo del corpo, e il dolore, e lo spengersi atroce di ogni vigore. «Te a te medesimo restituisci; ...straccia i veli, e dischiuse le tenebre ficca in quella gli occhi, e guarda che noli passi alcun dì, né alcuna notte, la quale non ti porga la memoria dell'estremo tempo». Che è, non tanto ascetica rinuncia, quanto restituzione di sé a se stesso. Poco prima il Petrarca aveva esaltato la gloria. Solo che l'uomo, per vivere in sincera umanità, deve cogliere sé medesimo nella sua verità, ricordandosi sempre della sua condizione. Comunque il problema di Petrarca è questo; la sua filosofia, profondamente avversa alle vuote dispute delle scuole, è indagine sulla vita degli uomini. L'amico suo Bonsembiante Badoer, muovendosi per entro gli schemi dell'ultima scolastica, aveva riconosciuto il fallimento cui andava incontro lo sforzo di un millennio. Non sappiamo se nei «lunghi colloqui», cui accenna il poeta, comunicasse all'amico i resultati della propria ricerca. Certo è che il Petrarca si mostrò sempre fieramente avverso alla filosofia ufficiale di Padova, di Bologna e di Parigi, tutta impegnata nei problemi logici e fisici che il tardo nominalismo andava esasperando. La sua crudele condanna dell'indagine naturalistica, della medicina, della scienza averroistica, significava richiamo alle scienze dello spirito, all'indagine intorno all'anima ed alla vita umana. «Costui molte cose sa delle belve, degli uccelli, e dei pesci, e ben conosce quanti crini il leone abbia sul capo, e quante penne nella coda lo sparviero, e con quante spire il polipo avvolga il naufrago;... come la fenice, abbruciata da fuoco aromatico, quindi rinasca, e il riccio fermi una nave spinta a qualsiasi velocità, ma tratto dall'acqua perde ogni potere... Cose, tutte, in gran parte... false; ma quand'anche fossero vere, a nulla servirebbero per la vita beata. Io infatti mi domando a che giovi il conoscere la natura delle belve e degli uccelli e dei pesci e dei serpenti, ed ignorare o non curar di sapere la natura dell'uomo, perché siam nati, donde veniamo, dove andiamo».

Alla vana ricerca intorno alla natura delle cose Petrarca oppone recisamente l'indagine umana, una umile filosofia degli uomini e della città terrena da loro edificata. Il mondo di Dio è chiuso con sette sigilli alla mente finita, ed è empio e fuori luogo volerlo penetrare. «I segreti della natura, i ben più difficili misteri di Dio, che noi accettiamo con umile fede, costoro con superba iattanza si sforzano di comprendere, ma non li raggiungono, né ad essi neppur si avvicinano; gli stolti credono di stringer nel loro pugno il cielo, contenti della loro falsa opinione par loro realmente di stringerlo, felici nell'errore; né da tanta pazzia vale a ritrarli l'assurdità dell'impresa, così bene espressa dalle parole dell'Apostolo ai Romani: Chi conosce gli arcani di Dio? Chi fu a parte de' suoi consigli?».

Eugenio Garin

© 2009 - Luigi De Bellis