L'analisi della vita interiore nel Petrarca
Ritirarsi in solitudine significava per Petrarca
ritrovare tutta la ricchezza della propria interiorità,
ritrovare il contatto con Dio, aprirsi la strada a un
valido contatto col prossimo. La solitudine non era
monastico ritiro in barbaro isolamento, ma iniziazione a
una società più vera, a una charitas effettiva.
L'appello all'interiorità che Petrarca rinnova in
termini agostiniani non suona isolamento, ma esaltazione
del mondo umano, del mondo dei valori e dell'azione, del
linguaggio e della società che congiunge oltre il tempo
e lo spazio, oltre ogni limite. La celebre epistola a
frate Dionigi da Borgo San Sepolcro, ove descrive
l'ascesa sul monte Ventoso, è la presentazione vivissima
di questa conversione dalla natura allo spirito,
necessaria premessa per una nuova valutazione del regno
dello spirito. «E come Antonio, udite queste parole, più
non cercò; come Agostino, dopo tale lettura, non andò
più oltre; così io in queste brevi frasi silenziosamente
riflettendo compresi tutta la stoltezza dell'uomo che,
trascurato ciò che possiede di più nobile, si disperde
nelle molte cose esterne, e quasi svanisce nelle
parvenze del mondo esteriore, cercando fuori quello che
dentro di sé già possedeva». Il monte che prima
s'innalzava altissimo sembra ben misera cosa; «ne
guardai la cima - esclama il poeta - e più non
raggiungeva un cubito confrontata all'abissale
profondità della contemplazione umana».
La ricchezza del Petrarca è forse tutta qui,
nell'insistenza su queste esperienze fondamentali con
cui l'uomo, stracciato il velo dell'interiore illusione
che lo chiude a se stesso, si ritrova nella propria
miseria e nella propria nobiltà. Ed eccolo indugiare
particolarmente sul pensiero della morte, esortando gli
uomini a riconoscere se stessi nella seria meditazione
della propria morte. «Nessuno crede alla propria morte»
- esclama in una lettera; e altrove descrive il suo
andar raffigurando l'agonia, e lo sfacelo del corpo, e
il dolore, e lo spengersi atroce di ogni vigore. «Te a
te medesimo restituisci; ...straccia i veli, e dischiuse
le tenebre ficca in quella gli occhi, e guarda che noli
passi alcun dì, né alcuna notte, la quale non ti porga
la memoria dell'estremo tempo». Che è, non tanto
ascetica rinuncia, quanto restituzione di sé a se
stesso. Poco prima il Petrarca aveva esaltato la gloria.
Solo che l'uomo, per vivere in sincera umanità, deve
cogliere sé medesimo nella sua verità, ricordandosi
sempre della sua condizione. Comunque il problema di
Petrarca è questo; la sua filosofia, profondamente
avversa alle vuote dispute delle scuole, è indagine
sulla vita degli uomini. L'amico suo Bonsembiante
Badoer, muovendosi per entro gli schemi dell'ultima
scolastica, aveva riconosciuto il fallimento cui andava
incontro lo sforzo di un millennio. Non sappiamo se nei
«lunghi colloqui», cui accenna il poeta, comunicasse
all'amico i resultati della propria ricerca. Certo è che
il Petrarca si mostrò sempre fieramente avverso alla
filosofia ufficiale di Padova, di Bologna e di Parigi,
tutta impegnata nei problemi logici e fisici che il
tardo nominalismo andava esasperando. La sua crudele
condanna dell'indagine naturalistica, della medicina,
della scienza averroistica, significava richiamo alle
scienze dello spirito, all'indagine intorno all'anima ed
alla vita umana. «Costui molte cose sa delle belve,
degli uccelli, e dei pesci, e ben conosce quanti crini
il leone abbia sul capo, e quante penne nella coda lo
sparviero, e con quante spire il polipo avvolga il
naufrago;... come la fenice, abbruciata da fuoco
aromatico, quindi rinasca, e il riccio fermi una nave
spinta a qualsiasi velocità, ma tratto dall'acqua perde
ogni potere... Cose, tutte, in gran parte... false; ma
quand'anche fossero vere, a nulla servirebbero per la
vita beata. Io infatti mi domando a che giovi il
conoscere la natura delle belve e degli uccelli e dei
pesci e dei serpenti, ed ignorare o non curar di sapere
la natura dell'uomo, perché siam nati, donde veniamo,
dove andiamo».
Alla vana ricerca intorno alla natura delle cose
Petrarca oppone recisamente l'indagine umana, una umile
filosofia degli uomini e della città terrena da loro
edificata. Il mondo di Dio è chiuso con sette sigilli
alla mente finita, ed è empio e fuori luogo volerlo
penetrare. «I segreti della natura, i ben più difficili
misteri di Dio, che noi accettiamo con umile fede,
costoro con superba iattanza si sforzano di comprendere,
ma non li raggiungono, né ad essi neppur si avvicinano;
gli stolti credono di stringer nel loro pugno il cielo,
contenti della loro falsa opinione par loro realmente di
stringerlo, felici nell'errore; né da tanta pazzia vale
a ritrarli l'assurdità dell'impresa, così bene espressa
dalle parole dell'Apostolo ai Romani: Chi conosce gli
arcani di Dio? Chi fu a parte de' suoi consigli?». |