LA POESIA
DELL'ADONE
L'Adone si
presenta come una specie di enciclopedia poetica, in cui il
Marino tenta di raccogliere tutti gli aspetti e gli oggetti
del mondo fisico e le più varie reminiscenze letterarie, con
un desiderio di esaurire tutto ciò che si può dire in
poesia. Questo atteggiamento determina quel senso di
meraviglia continuamente rinnovato, con cui il poeta elenca
i suoi oggetti, tanto più che si tratta delle forme più
preziose e più ricche che il mordo possa offrire. Non
l'interiorità interessa al Marino, se l'unico sentimento che
appare con continuità nel poema è quello amoroso, ma ridotto
alla pura sensualità. In questa poesia delle cose e dei
sensi è inevitabilmente presente la coscienza del tempo che
rapisce le gioie e le liete parvenze della vita: non è il
solo elemento che il Marino ha in comune col Tasso, il poeta
che tanta parte ha nella formazione della sensibilità
barocca.
Alla base dell'esperienza artistica dell'Adone (al di là
naturalmente delle generiche intenzioni compositive pratiche
e letterarie di successo e di cultura: che vanno da una
volontà di affermazione personale e di gloria ad un
inevitabile impulso a ripercorrere la strada dei grandi
poeti precedenti e a misurarsi con essi), alla base di
questo singolare lavoro si deve considerare, come
disposizione dinamica fondamentale dell'esercizio
compositivo, un proposito, di nuovo (come per la restante
attività poetica), di inventariare, di raccogliere le voci
più diverse della realtà, di adunare una specie di ideale
museo, di creare una preziosa e stupenda galleria. Ed è
essenzialmente, questo contegno fantastico, un'esplicazione
della poetica mariniana della meraviglia. Un'intenzione di
meraviglia è in questo disegno di raccolta di tutto il
poeticamente dicibile, in questa raccolta che si estende dal
mondo esterno sensibile al mondo interno della memoria, che
va dalla natura alla cultura. Sono queste invero le due
grandi presenze su cui è impostata la prospettiva
dell'Adone, la realtà fisica e la realtà delle lettere, il
mondo delle cose visibili e il mondo delle cose leggibili.
Le sostanze che la vista ha osservato e le parole che la
lettura ha fissato sono i veri personaggi, i protagonisti
autentici del poema. Se nell'Adone manca un intreccio di
sentimenti e di passioni, in compenso vi interviene una vera
profusione di cose e di parole, di realtà naturali e di
testi letterari, di cose viste e di reminiscenze poetiche.
L'interesse del poeta, mentre è indifferente per il mondo
interiore dell'uomo, è tutto proiettato verso quel che è
esterno all'uomo. Del mondo umano lo stimola la sola poesia,
intesa come un lussuoso ornamento, un oggetto squisito, più
che come una realtà soggettiva dell'anima e della coscienza.
Del mondo umano ancora, bisogna aggiungere, lo attrae
l'amore, ma avvertito nel suo lato più disumano, di fisicità
pura.
Le presenze fisiche adunate dal Marino nel suo poema
rispondono ad una legge di quantità, tesa verso
l'innumerevole, e ad una legge di qualità, rivolta verso il
bello, sentito, questo, come meraviglioso. Sarebbe
impossibile seguire il Marino nella sua ricognizione nel
mondo delle cose, ripetere i suoi elenchi di sostanze,
tenergli dietro nelle frequentissime descrizioni di luoghi e
di oggetti, di animali e di piante, di aspetti del cielo e
di figure allegoriche, di giochi e di azioni, che si
accampano con autonomia figurativa e invadono gli stessi
confini dei paragoni. Sotto questo aspetto l'Adone è una
vera e propria enciclopedia, che vuole esaurire tutto il
conoscibile, tutto quello che può essere nominato (e, entro
questi limiti, anche il mondo interiore dei vizi e delle
virtù, che compaiono però spogliati di interiorità e ridotti
a colorite figure, quasi statue allegoriche o pitture
simboliche). Una sfilata di alberi e frutti e una
moltitudine di fiori allietano le pagine del poema in una
ilare festa di linee e di colori. E il gusto del poeta si
compiace della folta varietà di queste sostanze, e altresì
si diletta, affermatasi un'inclinazione di preferenza per
una di esse, della moltitudine fitta di quel singolo
esemplare.
Un poema dunque, si potrebbe definire l'Adone, di lusso e di
lussuria: in cui il lusso degenera per fastosa opulenza in
sensualità, e la lussuria si tempera per lisciatura di
morbidi toni in voluttuosa raffinatezza; un lusso e una
lussuria che si modificano, esaltandosi e smorzandosi, a
vicenda. E proprio in quanto epopea del lusso, l'Adone, ma
solo in questi limiti, potrà anche essere un'epopea di pace,
un «poème de paix» secondo, ma tuttavia in senso diverso, lo
definiva Chapelain. Un poema in cui non si verifica già
un'assenza di sentimento, ma dove interviene una presenza
ben definita di umanità, e vi si celebra il senso di una
vita colma, la gioia, talora fresca di meraviglia, di una
realtà deliziosa, raccolta con gusto ammanierato e posseduta
con ebbrezza, su cui infine passa come un'ombra fuggevole di
malinconia e di morte; la coscienza del tempo che trascorre
e distrugge:
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Un
lampo è la beltà, l'etate è un'ombra,
né sa fermar l'irreparabil fuga.
Tosto le pompe di natura ingombra
invida piuma, ingiuriosa ruga.
Rapido il tempo si dilegua e sgombra,
cangia il pel, gli occhi oscura, il sangue asciuga,
amor non men di lui veloci ha i vanni,
fugge co' fior del volto il fior de gli anni. |
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Dove il
grande esemplare suggestivo è ancora il Tasso (Tasso e non
Ariosto, come qualcuno ha proposto, è il costante punto di
richiamo del Marino). Ma senza la risonanza religiosa del
Tasso. Per il poeta della Gerusalemme la vita è un perpetuo
fiorire di illusioni che subito sfioriscono in delusioni, è
un sogno instabile che rimanda ad un'altra vita, la vera
vita. Per l'autore dell'Adone invece le cose offrono una
resistenza maggiore: anche se rapite dal tempo e destinate
alla morte, nel tempo si accampano con una loro realtà, una
loro durata. Entro il tempo si apre dunque, concreto se pur
breve, uno spazio possibile di felicità. Di qui il riverbero
acceso, tutto terreno, della coscienza del tempo che fugge,
della morte e della sua malinconia, nell'opera del Marino:
quasi un invito a tendere sulle cose più avida, e a
stringervi più voluttuosa, la mano, nel presagio del giorno
in cui da essa il tempo dovrà strapparle. Di qui la
diversità della sua musica, così scorrevole e uguale, troppo
scorrevole e uguale; così precipitosa e monotona anche;
senza silenzi e senza respiri, senza pause e senza
meditazioni. Per questo rimane vero per il Marino quel che
Antonio Machado, nella sua Arte poetica di Juan de Mairena,
considerava proprio di tutta la metrica barocca, vale a dire
l' «uso della rima con carattere più ornamentale che
melodico», senza «valore di commemorazione», senza «emozione
del tempo». La musica e la metrica febbrile e insieme
labirintiche dei sensi, appunto, non quelle meditative
dell'anima, quelle, tutte echi spirituali, del Tasso. |