POESIA E PROSA DELLE ORIGINI
Il Migliorini indica all'origine della lingua italiana
l'intento di creare una lingua comune attraverso il
superamento dei particolarismi regionali, guidato da un
ideale di nobiltà e di raffinatezza, che riconosce nel
latino il proprio modello. Di qui la diversità di
sviluppo e di importanza della poesia che, nei confronti
della prosa, si trova ad avere uno strumento linguistico
piú adeguato alle proprie esigenze.
Le varietà locali del volgare parlato erano molto
divergenti, e i tentativi che finora erano stati fatti
per metterli in scrittura avevano tentato di levigarne
la rozzezza eliminando le peculiarità troppo spiccate e
ricorrendo ai suggerimenti che poteva dare la lingua
scritta per eccellenza, il latino. Proprio l'esempio del
latino, con la sua relativa fissità e regolarità, fa
sentire il bisogno di modelli anche per il volgare. C'è
nell'aria l'idea che se e quando appariranno dei modelli
degni, essi saranno imitati anche nelle loro
particolarità, e per questa via si troverà un rimedio
alle incertezze grammaticali e lessicali.
Non si mira insomma direttamente a una lingua comune: si
mira a una lingua bella e nobile, la quale eliminerà i
particolarismi e sarà perciò anche "comune". Nell'Italia
di questa età, artisticamente cosí matura e
politicamente cosí divisa, modello voleva dire modello
di bellezza, di eleganza artistica. Questo ci spiega
come emergano tanto imperiosamente, creando una scia
d'imitazione letteraria e linguistica, quegli scritti in
cui si persegue un ideale di bellezza.
È la lirica che si pone all'avanguardia della
letteratura, e che crea un moto d'entusiasmo, con
conseguenze che dureranno per secoli. La spinta iniziale
data dai poeti siciliani della curia sveva, i primi in
Italia a servirsi del volgare per fare poesia d'arte,
sarà trasmessa a tanti altri: e tutti, non solo i
pedissequi imitatori siculo-toscani, ma anche il
Guinizelli, gli stilnovisti e in genere tutti quelli che
scriveranno in versi, terranno conto in proporzione
maggiore o minore dei modelli siciliani, cosí che alcune
peculiarità entreranno stabilmente nell'uso poetico
italiano.
Non basta: questa spinta fa sí che la poesia acquisti un
vantaggio tanto sensibile sulla prosa da creare fra i
due modi di scrivere addirittura una scissione che
durerà per secoli. I modelli poetici che si susseguono
costituiscono una tradizione, che fornisce un modello di
lingua relativamente uniforme per le varie regioni;
invece la prosa stenta (e stenterà per molto tempo) a
uscire dall'àmbito locale. Sorge sí, poco dopo la
fioritura siciliana, una prosa d'arte, che ha a .Bologna
con la persona di Guido Fava il suo primo maestro. E
anche la prosa d'arte troverà in Toscana cultori
appassionati come Brunetto e Guittone. Ma il minor
livello artistico da loro raggiunto in confronto con la
poesia e lo stretto legame che la prosa ha sempre con le
contingenze pratiche di carattere personale e locale,
per cui essa non può staccarsi troppo dal 'parlare
quotidiano, neppure quando è soggetta a elaborazione
artistica, fanno si che il processo di unificazione
della lingua pronastica sia senza confronto piú lento.
Non va, poi, dimenticato che testi in prosa mancano
completamente per l'Italia meridionale e la Sicilia
durante il Duecento: vi si scrive ancora soltanto in
latino. |