IL RAZIONALE
ENTUSIASMO DELL'ILLUMINISMO
L'età dell'Illuminismo è
caratterizzata da un entusiasmo di scoperta e da un'ansia di
allargamento e approfondimento del sapere quali poche epoche
possono vantare. Il pensiero si rivolge con commossa ed
inesausta passione al mondo esterno per indagarlo e insieme
si ripiega su se stesso per conoscere la sua stessa essenza
e le sue possibilità. Infatti, all'aumento «quantitativo»
del sapere si accompagna contemporaneamente una più sicura e
fiduciosa conoscenza dell'attività dello spirito, che del
sapere costituisce il centro unificatore, la forza che
impedisce ogni dispersione nella molteplicità delle
conoscenze. A tale forza l'Illuminismo dà il nome di
«ragione».
All'inizio del «Saggio sugli elementi della fisolofia» il d'Alembert
pone una descrizione, con la quale tenta di tratteggiare un
quadro generale delle condizioni dello spirito umano alla
metà del secolo XVIII. E prende le mosse dall'osservazione
che in tutti i tre ultimi secoli si può osservare intorno
alla loro metà un notevole rivolgimento della vita
spirituale. Nel secolo XV incomincia, dice, il movimento
letterario-spirituale del < Rinascimento »; nel XVI la
Riforma religiosa attinge l'apogeo; nel XVII la vittoria
della filosofia cartesiana modifica decisamente tutta la
visione del mondo. È possibile constatare un movimento
analogo anche nel secolo XVIII? e come se ne possono
definire l'indirizzo e la tendenza fondamentale? «Tostoché»,
cosí continua il d'Alembert, «si considera attentamente il
secolo, alla cui metà ci troviamo, tostoché si tengono
presenti gli avvenimenti che si svolgono davanti a noi, i
costumi nei quali viviamo, le opere che produciamo e fin le
conversazioni che teniamo, si nota senza fatica che in tutte
le nostre idee è avvenuto un mutamento notevole: un
mutamento che per la sua rapidità fa prevedere una
rivoluzione ancor maggiore nell'avvenire. Solo col tempo
sarà possibile determinare esattamente l'oggetto di questa
rivoluzione e indicarne la natura e i limiti... e i posteri
saranno in grado di conoscerne meglio di noi i difetti e i
pregi. La nostra epoca ama chiamarsi anzitutto l'epoca della
filosofia. Difatti, quando si studi senza pregiudizi lo
stato presente della nostra conoscenza, non si può negare
che la filosofia abbia fatto tra noi progressi notevoli. La
scienza della natura acquista di giorno in giorno nuove
ricchezze; la geometria allarga il suo territorio ed è già
penetrata in quei campi della fisica che le erano più
vicini, il vero sistema dell'universo è stato finalmente
conosciuto, sviluppato e perfezionato. Dalla Terra a
Saturno, dalla storia dei cieli a quella degli insetti, la
scienza naturale ha mutato faccia. E con essa tutte le altre
scienze hanno assunto una forma nuova. Certo, lo studio
della natura, considerato per sé solo, sembra freddo e
pacato; e non è veramente adatto ad eccitare le passioni; ma
sembra piuttosto che la soddisfazione che esso ci dà
consista in un sentimento tranquillo, costante e uniforme.
La scoperta, però, e l'uso di un nuovo metodo di filosofare
suscita ciò nondimeno per l'entusiasmo che accompagna tutte
le grandi scoperte, una fioritura universale delle idee.
Tutte queste cause hanno contribuito a produrre un vivo
fermento degli spiriti. Questo fermento che agisce in tutte
le direzioni ha afferrato tutto quanto gli si presentava,
con violenza, come un torrente che rompa gli argini. Dai
principi della scienza ai fondamenti della religione
rivelata, dai problemi della metafisica a quelli del gusto,
dalla musica alla morale, dalle controversie teologiche alle
questioni dell'economia e del commercio, dalla politica al
diritto dei popoli e alla giurisprudenza civile, tutto fu
discusso, analizzato, agitato. Una luce nuova che si stese
su molti argomenti, nuove oscurità che ne derivarono, furono
il frutto di quel generale fermento degli spiriti: cosí come
l'effetto dell'alta e della bassa marea consiste nel portare
a riva parecchie cose nuove e nello staccarne delle altre».
Qui ci parla uno dei più insigni scienziati dell'epoca e uno
dei suoi portavoce spirituali... sicché sentiamo nelle sue
parole direttamente il modo e l'indirizzo di tutta la sua
vita spirituale. L'epoca, nella quale vive il d'Alembert, si
sente presa e spinta innanzi da un movimento possente; ma
non può e non vuole soltanto abbandonarsi a questo
movimento, vuole invece comprendere donde venga e dove vada,
intenderne l'origine e la meta. Questo sapere riguardante la
propria attività; questa concentrazione spirituale in se
stessa e questa disamina dell'avvenire le sembrano il vero
significato del pensiero in genere e il compito essenziale
che gli è posto, il pensiero non tende soltanto a mete
nuove, fino allora sconosciute: vuol sapere dove sia diretto
il viaggio e determinarne la direzione con la propria
attività. Esso si pone di fronte al mondo con una nuova
gioia e un nuovo coraggio di scoperta; ne attende ogni
giorno nuove spiegazioni: eppure la sua brama di sapere e la
sua curiosità intellettuale non sono dirette al mondo
soltanto. Il pensiero si sente preso e commosso ancor più
appassionatamente da un altro problema: dal desiderio di
sapere che cosa esso sia e che cosa possa. Da tutti i suoi
viaggi di scoperta, intesi ad allargare l'orizzonte della
realtà oggettiva, esso ritorna a quel suo punto di partenza.
Le parole del Pope: «the proper study of mankind is man»
racchiudono un'espressione viva e incisiva di quel
sentimento fondamentale dell'epoca. L'epoca ha la sensazione
che in essa stia operando una forza nuova; ma più che dalle
creazioni che questa forza fa sorgere continuamente, è presa
dal modo della sua attività stessa. Essa non gode
esclusivamente dei suoi risultati, ma indaga la forma della
sua efficacia e cerca di rendersene conto.
In questo senso va considerato per tutto il secolo XVIII il
problema del «progresso» spirituale. Forse nessun altro
secolo fu cosí profondamente compenetrato e entusiasta
dell'idea del progresso spirituale come il secolo
dell'illuminismo. Ma disconosce il significato più profondo
e il vero nocciolo di questa idea chi intende il «progresso»
esclusivamente in senso quantitativo come un semplice
ampliamento del sapere, come un «progressus in indefinitum».
Di fianco all'allargamento quantitativo sta invece sempre
una determinazione qualitativa; alla continua espansione
oltre la periferia del sapere corrisponde un ripiegamento
sempre più cosciente e deciso verso il suo centro autentico
e peculiare. Si va in cerca della pluralità per accertarsi
in essa e con essa di questa unità; ci si abbandona alla
larghezza del sapere col sentimento e con la sicura
previsione che questa larghezza non indebolisce o dissolve
lo spirito, ma lo riconduce a se stesso e lo «concentra» in
sé. Riappare continuamente il fatto che le diverse
direzioni, nelle quali lo spirito deve muoversi se la
totalità della realtà gli si deve schiudere e se esso deve
costruirne il quadro generale, divergono solo
apparentemente. Per quanto queste direzioni, considerate
oggettivamente, sembrino divergenti; questa loro divergenza
non è però una semplice dispersione. Anzi, tutte le diverse
energie dello spirito restano conchiuse in un comune centro
di energia. La molteplicità e diversità delle forme non è se
non la scomposizione, il completo spiegamento, la completa
evoluzione di una forza formatrice uniforme e unitaria nella
sua essenza. Quando il secolo XVIII vuol definire questa
forza, quando vuol racchiudere l'essenza in un nome, ricorre
alla parola «ragione». La «ragione» gli diventa un punto
unitario e centrale: diventa l'espressione di tutto ciò che
essa brama, agogna, vuole e compie. |