IL BAROCCO
COME NUOVA CONCEZIONE DEL MONDO
I modi così
nuovi e, apparentemente, strani e bizzarri della letteratura
barocca non nascono, come vogliono i detrattori, dal
capriccio o da un pervertimento del gusto, bensì sono
l'espressione di una profonda rivoluzione spirituale, che si
manifesta di fronte al crollo della filosofia e delle
scienze del rinascimento, di impianto aristotelico, e al
presentarsi ancora combattuto e incerto di problemi e di
possibilità sconvolgenti con la nuova scienza di Copernico e
di Galileo e con la nuova filosofia della natura. Il barocco
appare così al critico come un modo particolare di concepire
e di rappresentare un mondo in crisi, dove nulla più è
certo, nulla è in equilibrio, la contraddizione domina
sovrana. La metafora, che unisce fra di loro per fulminee
analogie cose e concetti anche estremamente lontani,
costituisce il modo tipico del linguaggio e della ricerca
conoscitiva del barocco, perché traduce quella continua
esplorazione di nuovi rapporti, di ancora ignote relazioni
nella realtà fisica e morale che sola appare capace di
stabilire una nuova nozione del mondo e, di conseguenza, il
nuovo ordine ed equilibrio spirituale.
Le condizioni gnoseologiche dell'estremo Cinquecento e del
primo Seicento sono caratterizzate dalla perplessità
interrogativa, che è entrata nelle anime dinanzi alla
vecchia concezione peripatetico-scolastica, e
dall'incertezza, in cui i medesimi spiriti vengono a
trovarsi per le nuove posizioni scientifiche e filosofiche,
indicate da Copernico 1, Telesio 2, Bruno 3 e altri audaci.
Per la filosofia del Rinascimento, tutto un modo di
conoscere, inutilmente puntellato da ogni parte, aveva a
poco a poco perduto il suo equilibrio ideale; e la nuova
gnoseologia non aveva ancora acquistato così chiara e sicura
consistenza da dare alla vita dello spirito un altro
equilibrio conoscitivo. Il barocco fu la nuova architettura
dell'anima, cercante il suo volto tra senso e intelletto,
tra istinto e ragione, tra immaginazione e logica, tra il
carnale e lo spirituale, tra la natura e il sovrannaturale.
Gravissimo errore è credere il linguaggio cangiante e
mutevole del Seicento una bizzarria oziosa e ingiustificata,
un frullamento improvviso di ali capricciose, che inseguono
a zig-zag metafore, antitesi e bisticci, pur di mostrar
stravaganza. Il barocco è una forma speciale di arte, perché
è una forma speciale di vedere. I modi di conoscenza, che
prevalgono in ogni età, stanno intorno alle anime come le
trasparenze impalpabili di speciali condizioni di luce e
hanno la loro azione sui poeti, che, consapevolmente o
inconsapevolmente, sentono, immaginano, operano in
quell'atmosfera. Come è impossibile immaginare un Dante, un
Petrarca, un Boccaccio, un Ariosto, un Tasso, avulsi
dall'atmosfera gnoseologica del loro tempo, sebbene non
siano stati propriamente filosofi, così il Marino è permeato
quasi inconsapevolmente dalle intuizioni che della vita e
del mondo ha la sua età, quantunque non sia propriamente
atto a crear un nuovo ordinamento di pensiero e in ultima
analisi rifletta nelle sue opere soltanto il suo modo di
sentire e vedere.
La fantasmagoria speciosa delle metafore e delle antitesi è
dovuta nel Seicento al duplice, triplice, molteplice aspetto
che la realtà prende nell'anima, la quale, di là
dall'empiria sensoria, non è più certa del vero creduto per
convenzione. La poetica del mirabile è lo sforzo
dell'ingegno, che con ampie volute, curve serpeggianti,
richiami antitetici, trasposizioni immaginose tenta di
superare tutte le contraddizioni conoscitive e ideali. Le
goffaggini stesse, che il Marino rimprovera a molti poeti
del suo tempo come arte mancata, e quelle che altri
secentisti rimproverano a lui, non sono che modi abnormi,
gonfi, scomposti, i quali mal esprimono quella singolare
condizione spirituale, che voleva sue forme proprie e
cercava un suo equilibrio espressivo. Tutto è diventato
difficile a dirsi, perché nel cielo dell'anima è avvenuto un
cambiamento di prospettiva. Il linguaggio figurato, acuito
fino all'estremo della sottigliezza concettosa, appare
l'unico linguaggio proprio, perché è il solo che sembri
conciliare gli aspetti più contrastanti delle cose e possa,
contro la secchezza del sillogismo, avvicinare i modi
opposti dell'essere.
Come gli antichi avevano immaginato che nell'isola di Meroe
il sole girasse le ruote lucenti così vicino alla terra da
poter essere quasi toccato con le mani, se non fosse stato
troppo scottante, così per secoli e secoli gli uomini
avevano creduto che la luna fosse un lucido cristallo. Non
erano forse quei modi di vedere e di credere vere e proprie
metafore? E non poteva essere anche una metafora il dire che
il sole gira intorno alla terra, come era una sempre bella
«meraviglia di terreno ingegno» il «vitreum caelum» di
Archimede, la sfera di vetro che rappresentava i movimenti,
gl'íntervalli e le proporzioni dei corpi celesti? Non era
una trasposizione mentale il planetario con cui valenti
architetti compendiavano «la gran rota del tutto in picciol
tondo»? Non erano forse metafore parlanti le fontane, che in
piazze e giardini gettavano acqua viva dalla bocca di ninfe
e tritoni? Non erano metafore gli stupendi orologi
secenteschi, che volgevano le sfere come si volgono in cielo
le stelle e il sole e davano moto ai mostri dello zodiaco?
Non erano una metafora le arti? Non era tutta una metafora
la conoscenza umana?
Il barocco in tal momento è l'espressione stilistica di chi
vede tutta la vita dello spirito, dall'empiria sensoria alla
speculazione metafisica, riflessa in un'immensa e
inesauribile metafora, formata a sua volta da miriadi di
piccole metafore. |