SIGNIFICATO
STORICO DELL'ARCADIA
Il critico
invita a considerare l'Arcadia al di fuori dell'entusiastica
celebrazione dei contemporanei o dell'eccessive riserve di
molta critica successiva sopra i valori della poesia nata
nel suo clima. Essa è un fenomeno che va collocato
nell'obbiettiva situazione storica, e da questo punto di
vista l'esser stata preceduta nel programma di restaurazione
del gusto dopo gli esperimenti barocchi è meno significativo
dell'aver divulgato tale programma e di avergli dato la
bandiera sotto cui raccogliere i letterati d'Italia, mentre
la qualità spesso mediocre della poesia arcadica non deve
.far dimenticare quanto abbia operato l'accademia
nell'istituire un nuovo costume sociale e un nuovo spirito
di eguaglianza fra gli uomini di cultura.
Si è osservato che quando essa [ l'Arcadia ] fu fondata, già
si era iniziata da tempo e da più parti la reazione al
barocchismo, e inoltre che non si possono dire, se pur gli
autori fossero ascritti all'Arcadia, promosse o ispirate da
quell'accademia le opere più serie di pensiero e di
letteratura che allora si composero, mentre tante voltesi è
insistito sul danno che alle lettere sarebbe venuto dalla
mascherata letteraria dei suoi pastori. Con le quali
osservazioni si è voluto correggere il giudizio secondo il
quale all'Arcadia spetta il merito di avere dei-Alato il
cattivo gusto e rimesso in onore lo studio dei buoni autori:
giudizio quasi d'obbligo per i letterati del Settecento, i
quali non potevano esimersi dal rendere omaggio
all'accademia benemerita, per quel trionfo sopra il mal
gusto, delle patrie lettere, e che doveva per reazioni
suscitare gli opposti giudizi di un'Arcadia corruttrice del
gusto e del costume. Si sarebbe invece dovuto notare che
dominava ancora le menti la concezione prammatica della
storia, e che a quella concezione si informava un giudizio,
come quello vulgato sull'Arcadia, che attribuiva a
un'istituzione e ad alcuni pochi individui il merito di un
fenomeno storico; come era conforme quell'omaggio obbligato
di letterati, al costume ancora aristocratico e gerarchico
del secolo, per il quale, concordemente del resto con quella
concezione della storia, piaceva riconoscere in principi o
in personaggi cospicui o in istituzioni consacrate dal
crisma dell'autorità i promotori e gli animatori di una
qualsiasi opera di letteratura. Di qui gli elogi, gli
omaggi, le adulazioni, che l'Arcadia ha poi scontato con
altrettanti vituperi. Certo essa non fu la causa, bensì un
effetto, o per meglio dire una delle manifestazioni di un
più vasto moto di spiriti: né sarebbe sorta se prima della
sua fondazione non si fosse già affermata e diffusa la
reazione antibarocca, come non avrebbe avuto quel carattere
nazionale, che la distingue dalle altre accademie ed è
particolarmente degno d'interesse, se col suo programma non
fosse venuta incontro alle tendenze prevalenti nei migliori
letterati d'Italia, i quali videro nella nuova accademia
come una bandiera o un'impresa e sotto quella bandiera, che
dava un nome all'opera comune, volentieri si raccolsero. Il
che non sarebbe avvenuto, si può aggiungere, se essa fosse
stata fondata in altra città d'Italia, a Napoli, o a Milano,
o nella stessa Firenze, dove il culto della tradizione
letteraria si confondeva o sembrava confondersi con
l'orgoglio municipale, anziché nella città, che non certo
cospicua fra, le altre per maggior fervore di vita
culturale, sola poteva conferire a un'istituzione sorta nel
suo seno un carattere superiore a ogni particolarismo locale
e farne un'istituzione rappresentativa della cultura
italiana.
All'Arcadia non spetta il merito di avere iniziata e nemmeno
compiuta la restaurazione del buon gusto, bensì di aver
tradotto, per dir così, quel programma letterario nei
termini del costume sociale facendone un segno di raccolta
per i letterati d'ogni parte d'Italia: né deve far
meraviglia che nell'Arcadia propriamente detta i motivi più
profondi del movimento che da lei prende il nome, non
abbiano conveniente rilievo e che vi prevalessero non gli
spiriti più originali ma i mediocri, non un Gravina ma un
Crescimbeni. Così deve essere quando si passa dal piano del
pensiero a quello della vita pratica; e non solo non ci
meravigliamo, ma nemmeno ci spiace che insieme con letterati
autentici fosse accolta nelle sue schiere una così varia
folla di amatori o sedicenti amatori delle lettere (gente
che il Muratori avrebbe voluto esclusa dalla « Repubblica
letteraria italiana », la superaccademia da lui vagheggiata,
moderatrice degli studi di tutta la nazione), e che tra
quella folla non poche fossero le donne, le quali con la
loro presenza tanto contribuirono a darle la sua
caratteristica fisionomia; né strano o scandaloso ci riesce
che occupazione precipua fossero i versi - quei versi che
troppa parte, a giudizio del Muratori, tenevano nei .lavori
o negli ozi accademici e che egli avrebbe voluto veder
banditi, o quasi, dalla sua Repubblica. Ma la Repubblica
muratoriana, più seria in effetto e più ambiziosa, non era
se non un'utopia, nella quale a noi sembra vedere
prefigurata la varia operosità degli studiosi del nostro
Settecento per cui si venne formando la nuova cultura
italiana, e che non avrebbe mai potuto determinarsi nella
forma di un'accademia: l'Arcadia che in confronto ad essa ha
la superiorità incontestabile di quel che esiste sopra un
ente d'immaginazione, era una pratica attuazione, nei limiti
del possibile, di una società letteraria, da più d'uno
desiderata, che riunisse le persone colte d'Italia. Che poi
la poesia presentasse come il motivo più ovvio e più atto a
raccogliere una società letteraria e fosse l'oggetto
principale se non unico delle sue occupazioni, s'intende se
si pensa alla parte che nella vita del tempo aveva non dico
la poesia dei poeti, ma la poesia intesa come prova di
perizia letteraria, come gradevole trattenimento, come
ornamento d'obbligo nelle varie solennità pubbliche e
private (altre forme di retorica e di divertimento oggi
l'hanno sostituita e ci riesce difficile comprendere il suo
pur modesto e limitato valore): certo dall'Arcadia non
uscirono nuovi poeti (e quando mai dei poeti uscirono da
un'accademia?), ma con l'esercizio assiduo di quel vario
poetare come con la consuetudine di quelle riunioni
accademiche si divulgò un nuovo stile letterario e sociale.
Era ancor vivo allora l'ideale del Rinascimento della
letteratura come nobile otium, come distacco dalla vita
immediata delle passioni nella cura della bella e misurata
parola che si solleva al di sopra delle contingenze del
tempo e, ha il suono di quella sempre esemplare dei
classici, come consorzio di spiriti congiunti nell'amore e
nel culto di quelle belle forme: un ideale che, come è noto,
aveva avuto anche una trasfigurazione fantastica nel mondo
dei pastori poeti, quale era stato delineato nell'Arcadia
del Sannazaro e avevano continuato a vagheggiare per tanto
tempo gli scrittori e lettori di tutta l'Europa, facendone
uno dei luoghi prediletti della loro immaginazione. E la
nuova Arcadia, che a quel mondo si rifà con la sua finzione
pastorale, ci sembra per gli spiriti animatori e per quella
mascherata di pastori e di pastorelle l'estremo riflesso del
Rinascimento, un Rinascimento estenuato ormai e
illanguidito, che prima di spegnersi del tutto, sopraffatto
dalle nuove generazioni impazienti dei suoi otia, insegna la
sua lezione di decoro e di disciplina letteraria. Ma, come
il pensiero dell'Arcadia, dell'Arcadia voglio dire, in senso
lato, non si riduce a una mera restaurazione della poetica
cinquecentesca, alla ripresa di quel che a taluno è piaciuto
chiamare l'«errore umanistico», così l'Arcadia, accolta di
letterati, di gentiluomini, di gentildonne, uniti nel culto
delle lettere, non va considerata soltanto come una tardiva
affermazione di spiriti umanistici, bensì essa pure come un
segno dei tempi nuovi. Tra la civiltà cortigiana del
Cinquecento e la rozzezza fastosa del Seicento da una parte
e la civiltà individualistica e borghese che uscirà dalla
Rivoluzione, ha il suo posto la società arcadica, che per la
sua varia composizione, per la condizione di parità dei suoi
membri di diversa provenienza sociale e di diverse parti
d'Italia, ha contribuito alla trasformazione nelle relazioni
fra letterati e pubblico, all'instaurazione, sotto un
blasone aristocratico, di un più democratico costume
letterario: ed è perciò non un anacronismo di pedanti, ma
un'istituzione tipicamente settecentesca. Essa ci appare
così quasi la mediatrice fra l'antica e la nuova Italia, fra
l'Italia del Rinascimento e l'Italia del Risorgimento:
comprendiamo come, col procedere del secolo quando il suo
programma si dimostrava ormai esaurito e sorpassato e il suo
apparato pastorale sempre più fittizio e estrinseco, a lei
ancora si guardasse con reverenza come a un simbolo della
letteratura italiana, della continuità della sua tradizione,
dei legami fra tutte le persone colte della penisola. Per
questo letterati e poeti continuarono a sentirsi onorati di
essere ascritti fra i suoi pastori (e tra questi fu Vittorio
Alfieri) e non sdegnarono di rendere omaggio alla vecchia
istituzione, indirizzandole discorsi ispirati a concetti
poco o punto arcadici (come il Cesarotti che per il suo
ingresso in Arcadia compose il Saggio sulla filosofia del
gusto): in quegli omaggi, in quelle stesse adulazioni di cui
si è detto, era il riconoscimento della funzione adempiuta
dall'Arcadia, e un omaggio all'Arcadia rendiamo noi pure,
quando, pur consci del valore metaforico della nostra
designazione e dei limiti dell'opera di quell'accademia,
indichiamo col suo nome un periodo della nostra storia
letteraria, che non è, come pareva al Settembrini, la fase
ultima della nostra decadenza, bensí l'inizio non del tutto
inglorioso del risorgimento. |