VIGORE INTELLETTUALE E PASSIONE CULTURALE IN PAOLO SARPI
La validità
dell'opera del Sarpi non va tanto ricercata nella presenza
di un'idea o di un pensiero organico o nell'attenzione alle
vicende, ma in una passione tutta intellettuale. L'Istoria
del Concilio Trídentino non è rivissuta nei suoi drammatici
aspetti religiosi e politici, ma nella visione lucidamente
analitica del complesso gioco di elementi psicologici,
diplomatici e storici in genere, destinata a lettori colti e
capaci di coglierne l'aristocratico fascino intellettuale.
La realtà, in questa fede nel mondo dell'intelligenza
consiste l'essenzialità dello spirito sarpiano e il nucleo
vitale di questa opera. Dall'amore delle sottili
esplorazioni, da un lato, nei segreti maneggi della
diplomazia e nelle segrete intenzioni dei principi e
pontefici, e dall'altra, nello svolgersi e formarsi di
istituzioni e credenze, al gusto dei dibattiti politici e
teologici in cui è impegnata l'abilità dialettica dei
contendenti, fino ad incidentali osservazioni proprie di una
mente aguzza, sottile e sorvegliata, sempre si rivela la
presenza animata e suggestiva di un acuto spirito critico.
Ed invero anche in episodici veloci commenti affiora questa
costante disposizione: «Li medici... sempre nel prognostico
dicono più mal che possono (perché, succedendo, paiono dotti
per averli previsti, e non riuscendo molto più, perché
abbiano saputo rimediarli o prevenirli)». E, di un prodigio
apparso a Trento: « il che fece far diversi pronostichi agli
oziosi che molti erano, da chi in presagio di bene, da chi
di male, che vanità sarebbe raccontare », dove spunta sempre
questo insistente bisogno di critica e questa cavillosa
vigile facoltà giudicante. In questo continuato
atteggiamento di attenta critica e di passione culturale va
dunque cercata l'unità dell'Istoria. Non è infatti tanto
un'idea, o lo svolgersi di un pensiero quello che informa
quest'opera, quanto piuttosto la mossa e calda presenza di
una personalità, la quale d'altra parte, può anche sembrare
priva di una sua ispirazione unitaria, ove non la si
collochi in questo amore per la cultura.
Il massimo documento sarpiano conferma pienamente,
portandoli ad una superiore pienezza di significato, i
risultati dell'analisi degli altri scritti. Tutta l'opera
del Sarpi si presenta perciò come l'imponente celebrazione
di una cultura. Una cultura che per noi moderni, umanamente,
ha valore soprattutto per i suoi riflessi sentimentali.
Infatti, pur non mancando essa di un intrinseco pregio (per
il suo vasto respiro, per le solide linee costruttrici, per
l'affiatamento con le più fresche correnti contemporanee) è
priva di un originale centro di intuizione. Non è possibile
trovare in essa una nuova filosofia, ma solo è concessa la
nozione di una frammentaria tecnica. Del resto il Mazzini
(postillatore acuto più di quel che si pensi comunemente)
intravedeva già il carattere frammentario della cultura
sarpiana. Ed in realtà il Sarpi è un temperamento analitico.
Non è propriamente una idea quello che costituisce la sua
originalità, come neppure è (secondo quel che vorrebbe il
più diffuso giudizio) un'azione. Non feconde speculazioni,
come quelle di Bruno, Campanella, Vico, e nemmeno pratiche
creazioni, come quelle dei papi e principi della sua storia,
illustrano la figura di Paolo Sarpi, ma soltanto una
disposizione sentimentale, una storia umana, una suggestiva
esperienza: un'esperienza appunto di cultura, la storia di
una fervida vita intellettuale.
L'Istoria del Concilio Tridentino acquista la sua esatta
illuminazione solo quando venga collocata in questo
particolare clima umano, nel quale si genera ed esaurisce il
suo significato. Non è infatti il dramma del concilio
politicamente inteso o religiosamente patito, quello che
vive davvero in questa suggestiva documentazione, bensí un
dramma tutto intellettuale. Un dramma in cui protagonisti
sono erudite esplorazioni storiche e penetranti analisi
psicologiche, relazioni di inediti documenti filologici e
illuminazioni di oscuri maneggi diplomatici. In questo
consiste forse la più vera suggestione di questo testo. A
percepire la quale tuttavia si richiede un raffinato senso
della cultura e un'acuta sensibilità degli affetti del mondo
dell'intelligenza. Ed il Sarpi stesso in fondo intuiva
questo carattere aristocratico della sua massima opera
quando, soffermandosi a contemplare la vita storica del suo
lavoro, credeva di scorgerne la limitata divulgazione
(«Tengo per fermo che questa opera sarà da pochi letta, e in
breve tempo mancherà di vita»). Eppure questo segreto
accento, a bene ascoltare, si percepisce, e conduce a
spiegare l'unitario ritmo del capolavoro. Esso ci rende
consapevoli di quel fascino che si impadronisce della
memoria del lettore colto, di quella poesia (e sia pure da
intendersi solo metaforicamente) che si leva da queste
pagine fitte, poesia che è poi solo compiutezza stilistica,
riflesso di quell'umano impegno che genera questo libro, che
è davvero, nell'ancora attuale giudizio del De Sanctis, «il
lavoro più serio che siasi allora fatto in Italia». |