IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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DANTE ALIGHIERI

DIVINA COMMEDIA

Poema in tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso ciascuna di trentatre canti e con numero press'a poco uguale di versi: proporzione al cui fondamento sta il numero tre, considerato in concreto con le note di indivisione applicate a ciascuna unità. Un canto proemiale al poema forma in tutto il numero cento, multiplo di dieci, simbolo di perfezione. Metro ne è la terzina concatenata, ripresa dal sirventese popolaresco ed elaborata artisticamente. "Commedia" o "Comedia" fu originariamente il titolo generico dell'opera la rapporto al suo contenuto, che da triste principio giunge a lieto fine: Incipit Comedia Dantis Alagherii fiorentini natione non moribus è dichiarato nell'epistola a Can Grande della Scala. "Divina" è l'epiteto che fu aggiunto dai posteri e che fu consacrato, come titolo dell'opera, a cominciare dall'edizione veneziana (1555) del Giolito. Le prime stampe risalgono al 1472. A quali anni se ne deva riportare la composizione e quali ne siano state le varie fasi di elaborazione resta una questione problematica; ma l'opinione che presenta caratteri di maggiore probabilità è quella che ne pone l'inizio verso il 1307. Interrotto allora il Convivio Dante si abbandonò all'impeto di un'ispirazione morale e religiosa che urgeva nel suo cuore, ritraendolo ai momenti più felici della sua attività di poeta, con un ritorno al "bello stile" delle sue canzoni filosofiche, per le quali riconosceva Virgilio suo maestro e autore (v. Convivio). Tale opinione, che segue nel poema l'eco degli avvenimenti storici dai quali Dante sperava un rinnovamento della vita civile e cristiana, e particolarmente dell'Italia, par confermata dal fatto che già anteriormente all'aprile del 1314 si poteva parlare di un'opera "quod dicitur Comedia et de infernalibus inter cetera multa tractat". Indizio sicuro che le prime due cantiche erano ormai divulgate, non sappiamo se insieme o separatamente; il che Dante stesso ci dichiara più tardi, verso il 1319, quando in risposta a Giovanni del Virgilio (v. Egloghe) si dice atteso alla composizione del Paradiso ("Cum mundi circumflua corpora cantu -Astricoleque meo velut infera regna patebunt". Comunque, il voto che Dante aveva espresso nell'ultimo paragrafo della Vita Nuova ebbe compimento perfetto. Sulla soglia dell'eterno, al conchiudersi della sua vita, Dante portò a fine il "poema sacro"; e Dio, che è "il sire della cortesia", si compiacque di chiamare l'anima del poeta "a vedere la gloria" di Beatrice beata, dopo che egli ebbe detto di lei "quello che mai non fue detto d'alcuna". - Architettura del poema. Sintesi di vita e di pensiero, la Divina Commedia è l'espressione più luminosa di quello che fu in un'anima appassionata di credente e di poeta l'umanesimo cristiano del sec. XIII. Collocandosi sul piano metafisico della natura creata, che è il piano dell'analogia e della rassomiglianza, Dante si oggettiva come persona viva e operante in un mondo fantastico, che per similitudine di proporzioni, di consonanze e d'armonie rispecchia l'universo creato, sensibile e sovrasensibile, considerato in se stesso come opera d'arte.
Le relazioni di analogia, che intercorrono tra il mondo poetico di Dante e l'universo della creazione divina, conservano intatta la loro spiritualità anche se realizzate in modo essenzialmente diverso. In un universo creato, dove tutto ciò che è, in quanto è, è bene, il male, di cui fu causa lo smisurato orgoglio del primo angelo ribelle, non è che privazione di bene: il non-essere, il baratro, il nulla. È il cupo abisso della disperazione e del dolore nel quale precipita la creatura umana, quando volontariamente si nega alla perfezione che già possiede in virtù della sua stessa natura. Nel mondo dantesco questo abisso è simboleggiato dall'Inferno: un'oscura voragine, che vaneggia sotto la crosta della terra nella parte dell'emisfero boreale abitata dall'uomo.
A forma di cono rovesciato, essa si sprofonda fino al centro della terra, che è pure il centro dell'universo e il luogo più lontano da Dio, che è luce. E lì, precipitando dal cielo, cadde e sta confitto in eterno Lucifero. La terra che si ritrasse dinanzi alla sua caduta e ricorse in su, emergendo dalle acque dell'emisfero australe, formò l'isoletta del Purgatorio: una montagna alta e scoscesa sulla cui cima, agli antipodi di Gerusalemme, frondeggia la foresta fresca e viva del Paradiso terrestre. Questa montagna, che limita gli orizzonti sconfinati di libertà e di luce a cui ogni anima aspira, simboleggia la materia come reale possibilità di essere: un non-essere che esiste, un non-essere relativo, che ogni anima deve colmare con la propria attività, per darsi la perfezione che le compete, in ragione della sua costituzione specifica. Solo così essa potrà salire al Paradiso terrestre, che si trova al limite estremo di due mondi: al di sotto, quello della materia che lì si sublima; al di sopra, il mondo della pura immaterialità, che si fa sempre più vasto e luminoso in se stesso.
È questo il Paradiso della fede cristiana come frutto dello Spirito Santo: ascensione spirituale, che per gradi sempre più vivi d'illuminazione e d'amore attraversa, figuratamente, i nove cieli del sistema tolemaico, giranti attorno alla terra immobile con movimento e orbite sempre maggiori. A questi cieli sovrasta infinito il cielo della divina fiamma: l'Empireo, il cielo della carità, sede di Dio e dei suoi angeli e dei suoi santi. - Il "fatale andare". Il viaggio di Dante nei tre regni dell'oltretomba è raffigurato come una continua discesa: giù, dall'emisfero boreale fino al centro dell'Universo; giù nell'emisfero australe fino alla vetta del Purgatorio; giù, nelle profondità abissali dei cieli fino all'Empireo. Ma è una discesa, che si risolve per Dante in una continua salita: vita del suo spirito, che si fa causa delle proprie perfezioni e che si edifica su se stesso attraverso a se stesso e si mette tutto in luce; a guisa di un albero che si sprofonda sempre più con le sue radici nell'oscurità della terra, mentre sempre più si protende verso l'alto e sale e frondeggia e fiorisce nella radiante libertà del sole.
Ma il viaggio di Dante nella Divina Commedia non è che la traduzione in termini fantastici di quella che in ogni uomo è l'azione poetica per eccellenza: l'attività vitale e immanente del pensiero e dell'amore; un'attività, che nell'atto di conoscere e in quello di amare si perfeziona soprannaturalmente nella contemplazione e nella carità divina. Poiché il fine pratico, a cui Dante tende in questo viaggio, è la conoscenza di Dio, come bene supremo e beatitudine eterna: un Dio sovranamente personale e trascendente, in quanto è l'essere che in sé sussiste, essendo in se stesso la sua bontà e la sua verità e la sua bellezza. E tuttavia tale che la sua essenza può essere conosciuta non già in se stessa, ma per analogia, attraverso a una partecipazione creata di se stessa a ciò che essa non è. Una conoscenza reale: una conoscenza di fatto, che è poi la conoscenza poetica del mistero che agita dal profondo tutta la creazione, e che traluce in tutte le cose come loro vita segreta, come segno invisibile della spiritualità che ciascuna di esse detiene. - Questa conoscenza analogica di Dio, autore della natura, ordinatore e legislatore supremo, e di Dio, autore della grazia, provvidenza che governa il mondo, è il fine ultimo dell'attività che Dante dispiega, di mano in mano che si sprofonda in seno all'esistente, che è il "luogo eterno" delle anime. Conoscenza di Dio "per speculum et in aenigmate": cioè Dio conosciuto nel mistero dell'esistenza che ciascuna anima esercita: un mistero, che Dante conosce per connaturalità affettiva nella misura stessa che poeticamente lo vive e lo incorpora con la fantasia e lo fa presente a se stesso. Nell'ordine della natura, per analogia ascendente che dagli effetti risale alla causa prima, Dante conosce Dio come giustizia (Inferno) e come misericordia (Purgatorio). Nell'ordine soprannaturale della grazia e della carità, per analogia discendente della fede, egli conosce Dio secondo la sua propria essenza: oggetto di un amore infinito, che è poi il desiderio di vederlo in se stesso come egli stesso si vede. Questa conoscenza "quasi sperimentale" di Dio, Dante la pone a fondamento della sua azione concreta. Prendendosi totalmente in mano mediante l'intelligenza e mediante la volontà, egli aderisce sempre più intimamente a ciò che fa la vera vita dello spirito.
Attraverso a costanti rettificazioni e purificazioni e un'ascesi continua dell'intelligenza e del cuore, Dante invera progressivamente in se stesso, nella pura immanenza delle sue operazioni, la saggezza morale metafisica (Virgilio), come scienza degli atti umani e della libertà, e la saggezza umana e divina dei libri sacri (Matelda), e quindi, dentro la luce della rivelazione, la saggezza cristiana dei santi (Beatrice) e la saggezza mistica (san Bernardo). - L'amore e il
suo oggetto. Il principio dinamico che informa la Divina Commedia, e che dà ragione del viaggio di Dante -che è poi il viaggio di ogni anima pellegrina nel tempo e sempre in cerca di un bene infinito - è l'amore umano come partecipazione finita dell'amore che Dio ha per se stesso in virtù della sua propria perfezione. Pur nelle sue miserie e ne'suoi errori e ne'suoi smarrimenti, l'amore umano è un amore naturale di Dio, essendone Dio contemporaneamente e la causa e il fine. Amando nelle cose la bellezza che vi risplende, l'uomo ama Dio anche senza conoscerlo: perfezione di ogni amore creato, che gioisce di se stesso come verità che vive e bontà che si comunica e si espande. Esperienza d'amore che Dante conobbe nel periodo felice della sua "vita nuova", quando esaltò in Beatrice lo splendore dell'essere spirituale e la amò in se stessa come un bene analogo al Bene supremo (v. Vita Nuova). Ma questa rettitudine della volontà, che ci fa amare nelle cose il divino e che fa del nostro amore un analogo dell'Amore increato che crea, Dante la perdette, perdendo nel tempo stesso la perfezione della sua somiglianza a Dio e la conformità alla sua propria natura. - Travolto dal turbine delle passioni politiche e accecato dagli odi di parte, Dante, "nel mezzo del cammin di nostra vita", si ritrovò smarrito in quella "selva selvaggia" dove ogni uomo, chiuso nella sua propria individualità, è natura incolta, la cui vita è simile a quella delle bestie, delle piante e delle pietre. Svegliatosi dal sonno del suo spirito, Dante tenta subito di salire il colle della felicità irradiato dal sole; ma ne lo ricacciano al fondo le tre passioni che ribollono nel cuore di ogni uomo avanti l'opera della ragione: l'invidia del bene altrui (Lonza), la superbia (Leone), frutto dell'antico orgoglio ereditario, e la cupidigia o avarizia (Lupa), desiderio smodato di chi si pone a centro di tutto. Dante è già lì per disperarsi, quando gli si fa sentire, dopo lungo silenzio, la voce di quella ragione poetica (Virgilio) che ci ispira, portandoci a vagheggiare un paradiso di felicità da conquistarsi sulla terra. Nel dominio della conoscenza pratica del singolare e del contingente questa ragione poetica, che è poi la voce della nostra coscienza, è quella che ci fa volere direttamente i nostri fini particolari e concreti, mettendo la nostra ragione in grado di cercare, di giudicare e di comandare convenientemente i mezzi. Essa fonda in noi il dovere morale ed esige l'amore: amore della nostra vita e della vita dei nostri simili, amore della nostra famiglia e della nostra patria e di tutta la società; poiché la società, come formazione vitalmente operata dalla ragione nelle cose umane, è da amarsi come un bene coessenziale all'uomo. - La ragione poetica del poema. Virgilio, il poeta che cantò gli ideali di pace e di giustizia ai quali s'informò la vita politica di Roma sotto Augusto - ideali eterni, immanenti alla storia umana nel suo perpetuo divenire, perché eterne aspirazioni dell'anima -, simboleggia questa ragione poetica, che è in noi una partecipazione creata della ragione eterna, creatrice e direttrice dell'universo. Virgilio si offre a Dante come guida. Egli lo condurrà giù nell'Inferno, scalerà con lui la montagna del Purgatorio fino alla cima; e di lì, sotto altra guida (Beatrice), Dante potrà ascendere al cielo di Dio

Mario Casella

© 2009 - Luigi De Bellis