QUESTIONE
DELL'ACQUA E DELLA TERRA
[Quœstio de aqua et terra o anche,
con titolo più specifico, De forma
et situ duorum elementorum, aquae
videlicet et terrae]. Breve
dissertazione di filosofia naturale,
che Dante scrisse dopo di averla
esposta oralmente a Verona, nel
tempietto di Sant'Elena, la domenica
19 gennaio 1320, alla presenza di
tutto il clero veronese. Fu stampata
la prima volta a Venezia nel 1508 a
cura del frate agostiniano Giovanni
Mocetti, che la trasse da un codice
andato disperso. Causa occasionale
di questa operetta, della cui
autenticità si è a torto dubitato,
fu una lunga disputa a cui Dante
assisté passando da Mantova, se cioè
"l'acqua nella sfera che le è
propria, ossia nella sua naturale
circonferenza, sia in qualche parte
più alta della terra che emerge
dalle acque, detta comunemente la
quarta abitabile". Poiché la
questione era allora rimasta
insoluta, Dante la riprese per amore
di verità e col desiderio di
definirla. Innanzi tutto egli fissa
i cinque principali argomenti
addotti dai suoi avversari per
affermare la posizione superiore
della sfera dell'acqua rispetto a
quella della terra. Le due sfere,
essi dicevano, non possono avere un
centro comune, perché le loro
circonferenze non sono ugualmente
distanti; perciò il centro della
terra, che s'identifica col centro
dell'universo, si trova più basso di
quello dell'acqua. D'altra parte
l'acqua, come corpo più nobile della
terra, occupa un posto meno lontano
dal Primo Mobile, il più nobile
cielo; e quindi più alto che non
quello occupato dalla terra. Che
questa, nella sua propria sfera, sia
più bassa dell'acqua lo dimostra
l'esperienza dei naviganti,
costretti a salire su l'albero della
nave per scoprire i lidi. Se poi la
terra non fosse inferiore alla sfera
dell'acqua, essa, nella parte
scoperta, resterebbe priva di acque.
Si aggiunga ancora che nel flusso e
riflusso della marea l'acqua imita
l'eccentricità dell'orbe lunare;
ond'è a dedursi che eccentrica sia
pure la sfera dell'acqua e più alta
perciò della sfera della terra.
Tutti questi argomenti Dante li
confuta con rigore dialettico,
lasciando che di là dai princìpi
aristotelici ai quali s'affida parli
la voce della sua anima, commossa di
fronte all'ordine provvidenziale che
regna nell'universo. Considerata
nella sua sfera, l'acqua potrebbe
essere in qualche parte più alta
della terra, o perché eccentrica o,
se concentrica, perché gibbosa tanto
da sovrastare la terra. Ma l'acqua
non può essere eccentrica. La forza
di gravità, che essa subisce allo
stesso modo che la subisce la terra,
la porta a tendere con uguale
movimento rettilineo verso il centro
a cui tende la terra, cioè il centro
dell'universo. Né può esserci, nella
sfera dell'acqua, alcuna parte
gibbosa, perché immediatamente
l'acqua, che scorre all'ingiù, si
distenderebbe entro la sua regolare
circonferenza. La sfera dell'acqua e
quella della terra sono dunque
concentriche; e poiché tutto ciò che
emerge dalle acque è più lontano dal
centro dell'universo, e quindi più
alto, la "quarta abitabile" è più
alta del mare; come del resto appare
evidente osservando il corso dei
fiumi che discendono ai lidi.
Certamente la terra, come corpo
semplice, tende ugualmente da tutte
le sue parti e principalmente al
centro; ma poiché esiste la "quarta
abitabile", è manifesto che le è
inerente un'altra natura per la
quale essa si lascia innalzare,
obbedendo alle intenzioni della
Natura universale. Questa infatti
attese a formare fuori delle acque
un luogo dove tutti gli elementi
potessero operare insieme,
armonizzando coi loro fini il fine a
cui sono ordinate tutte le forme
materiali delle cose generabili e
corruttibili. Per tale causa finale
la terra s'innalza al di sopra delle
acque a forma gibbosa, come quella
di una mezzaluna, e con
un'estensione di 180 gradi - di
longitudine e di 67 di latitudine.
Ma la causa efficiente di questa
elevazione non può trovarsi nella
terra, che di sua natura tende al
basso e nemmeno negli altri tre
elementi, che per la loro omogeneità
producono effetti uniformi. La causa
efficiente procede dal cielo; ma non
da qualcuno dei sette cieli
planetari, la cui causalità si
eserciterebbe ugualmente su tutto il
globo terracqueo; e neppure dal
Primo Mobile, che è uniforme e
uniformemente virtuato. Essa procede
dal cielo ottavo, delle Stelle
fisse, diverse di luogo, di virtù e
di forma. Le stelle che si trovano
in quella regione del cielo ottavo,
che s'incurva sulla terra scoperta,
operano su di essa, sia per modo di
attrazione, come il magnete che
attrae il ferro, sia per modo di
compulsione, generando vapori che
hanno forza di suscitare i monti.
L'elevazione emisferiale della terra
si può dire che non riuscì circolare
per deficienza di materia; ma
dichiarare perché tale elevazione
sia avvenuta solo da quella parte, è
cosa che eccede i limiti della
ragione umana. Ogni indagine non
potrebbe qui procedere se non da
molta stoltezza e da molta
presunzione. Dio creò tutto per il
meglio; la sua saggezza è misteriosa
e occulta; "dalle sue vie sono tanto
lontane le vie dell'uomo quanto i
cieli sono lontani dalla terra". Con
le parole dei libri sacri Dante
conclude la sua dissertazione,
sbrigandosi succintamente dei cinque
argomenti messi in campo dagli
avversari. Le idee di cui egli si è
fatto propugnatore sono quelle che
rispecchiano le dottrine del suo
tempo: arbitrarie e false insieme
con tutto il sistema aristotelico,
ma le più oneste e ragionevoli
rispetto alle conoscenze di allora.
Ma ciò che più vale, e che dà
ragione dell'operetta e del penoso
travaglio di ricerca e di
dimostrazione che la informa, è
quell'esigenza di verità da cui
Dante è stato mosso a comporla: "placuit
verum ostendere, nec non argumenta
facta contra dissolvere, tum
veritatis amore, tum etiam odio
falsitatis". Quella stessa esigenza
di verità che traspare nelle
discussioni di filosofia naturale
inserite nella Divina Commedia, non
come elementi sovrabbondanti e
decorativi, ma come pause di uno
spirito che si stringe al reale e
s'appoggia sulle sue leggi, prima di
spaziare liberamente nei cieli della
sua fantasia e sublimarsi col canto. |