TRE DONNE
INTORNO AL COR MI SON VENUTE
Canzone che la compose nei
primissimi tempi dell'esilio,
indirizzandola (vv. 101 sgg.) ai
Bianchi e ai Neri ("li neri veltri"
ch'egli dovè fuggire), a
testimonianza della sua sete di
giustizia e del suo desiderio di
pace. È la più bella delle sue
"canzoni d'amore e di virtù
materiate" (v. Rime); ed era forse
destinata a trovar posto, con aperta
dichiarazione della sua ascosa
verità (v. 94 "lo dolce pome"), nel
quattordicesimo libro del Convivio,
dove si sarebbe parlato (cfr. I, XII,
12, e IV, XXVII, II) della virtù di
giustizia. Ma l'ascosa verità che
informa la canzone, e che Dante
celebra poeticamente, perché la
conosce - e la conosce, perché la
vive - è la pace della sua coscienza
dignitosa e retta: "quel dolce pome
che per tanti rami - Cercando va la
cura de'mortali" (Purg., XXVII,
115-16). Una verità morale, che
l'uomo giusto conosce a occhi
chiusi, e di cui è simbolo, nella
Divina Commedia, santa Lucia, "nimica
di ciascun crudele", alla quale
Dante rimarrà sempre devoto (Inf.,
II, 98-101). Il presupposto
dottrinale, che si rende
indispensabile per una concreta e
precisa interpretazione della
canzone, intorno la quale son vive
le discussioni, riposa sul pensiero
morale di san Tommaso. Le tre donne
che si condolgono attorno al cuore
di Dante, là dove parla Amore, sono
un simbolo: la "Legge naturale", la
"Legge morale" e la "Legge umana".
La Legge naturale o "Drittura" (v.
35) è l'analogo creato della Legge
eterna, per cui Dio, creatore e
legislatore supremo
provvidenzialmente ordina e dirige
tutte le creature verso il loro
proprio fine. Amando in se stesso il
Sommo Bene, egli vuole
necessariamente il bene e odia il
male, che è privazione di bene
(Monarchia, II, II, 4 sg.: Paradiso
XIX, 86-90). Nell'ordine essenziale
della creazione, la Legge naturale
si attua come appetito naturale e
come appetito sensitivo nelle nature
inferiori. Nel Paradiso terrestre (vv.
45-54), con la creazione dell'uomo,
la Legge naturale espresse dal
proprio seno la Legge morale (che si
attua come appetito razionale),
generando questo suo "bel portato"
sopra l'ordine razionale immanente
alle cose: "sovra la vergin onda",
che fluisce dalla divina Saggezza
creatrice. A sua volta la Legge
morale, rispecchiandosi nell'ordine
essenziale delle cose ("mirando sé
ne la chiara fontana") si costituì
come norma razionale, assoluta in se
stessa, con la sua obbligazione
morale, generando la Legge umana,
quella che è espressa dai
legislatori. La legge naturale è
così sorella della Legge eterna; e
questa a sua volta è la madre
dell'Amore razionale (v. 35): un
analogo creato dell'Amore increato
che crea; e perciò voce del Dio
vivente in noi: la voce della nostra
coscienza - la parola ammonitrice di
Virgilio nel simbolico viaggio della
Commedia. - Questo Amore che parla
in ogni cuore ci fa tendere verso
quel bene razionale o morale che è
la Giustizia un bene in sé, che è il
fine naturale per il quale ogni uomo
è stato creato. - Intonazione
lirica, vivacità drammatica e
plastica raffigurazione
caratterizzano la canzone dantesca
nelle sue stanze iniziali. Vi si
svolge il colloquio tra Amore e le
tre Donne, che gli si stringono
attorno: la prima delle quali,
"dolente e sbigottita come persona
discacciata e stanca", si confessa
come "a casa di un amico", sospinta
a confidarsi insieme con le altre da
comunanza di natura e di affetti.
Tre fantasmi poetici: tre idee
divine in cui si riflette e si
riconosce l'accorato e dignitoso
sentimento di Dante. E l'Amore, che
è poi la voce della sua retta
coscienza: volontà tesa al bene
onesto e informata da un odio santo
del male (v, 59, "l'uno e l'altro
dardo" d'Amore), consola le tre
Donne su un fondamento di certezza e
di fede (la certezza di Marco
Lombardo, in Purg., XVI, 66 sgg.):
Se per influenza di stelle maligne
ogni virtù è spenta nel mondo,
piangano gli uomini a cui tocca il
danno; non noi, creati dalla
Saggezza divina, la cui legge eterna
ordina e dirige tutte le creature al
loro proprio fine. Noi continueremo
a esistere; e gente verrà nel cui
cuore l'ordinazione passiva della
volontà al bene si farà attiva
("questo dardo farà star lucente").
In questo colloquio Dante stesso si
ascolta come nella Divina Commedia
si ascolta nella voce di Virgilio. E
con bell'impeto lirico, sentendosi
in compagnia delle tre Donne divine,
esule, come loro, da un mondo
sconvolto dalle passioni e dal quale
è bandita ogni virtù, egli si
rincora e si esalta, facendo del suo
esilio un motivo di onore e di lode:
"L'esilio che m'è dato, onor mi
tegno... Cader co' buoni è pur di
lode degno". Per sete di giustizia
egli è esule. E se non fosse che per
lontananza gli è ora tolta di vista
la sua Firenze: "il bel segno" che
l'infiamma con tutti i suoi dolci
ricordi gli parrebbe lieve il dolore
d'aver lì lasciato "le cose più
caramente dilette". Ma questa fiamma
d'amore l'ha così consumato che
ormai si sente morire. E se, per
sete di giustizia, egli "ebbe colpa"
verso Firenze, più mesi son
trascorsi da quando la colpa fu
cancellata dal pentimento. Virtù di
giustizia, che dell'uomo di parte ha
fatto un cittadino, che ora ama
nella sua patria il bene di tutti,
il bene comune, che come tale è più
divino. - Il poeta della Divina
Commedia, stabilmente ancorato alle
interiori certezze della sua anima,
è già qui tutto in luce, con la sua
dignità di uomo, con la sua forza
morale e con la sua fede in Dio; un
Dio legislatore supremo e sommo
bene, che fonda il dovere morale ed
esige l'amore. Congedando la sua
canzone Dante la ammonisce, perché
sia diletto a chi la miri nelle "sue
parti nude"; a quella che è la sua
bellezza estrinsecamente formale. Ma
questa bellezza la riveli più
luminosa, come bellezza in sé, a
chiunque sia "amico di virtù".
Questi ne coglierà la verità ascosa
("lo dolce pome"): la verità morale,
che è giustizia: un bene spirituale
che il poeta vive, e perciò conosce
ed esprime liricamente. E
l'ammonisce ancora, in un secondo
congedo, perché si presenti agli
uomini di Parte bianca e a quelli di
Parte nera: i "neri veltri", che
egli dové fuggire e che pure
potrebbero fargli dono di pace. Non
lo fanno, perché ignorano ciò che
essi sono: uomini di parte, non
amanti della giustizia; eppure
dovrebbero farlo, perché la clemenza
è saggezza e "il perdonare è bel
vincere di guerra".
La canzone delle Tre donne è, se non
la più bella di Dante, certo la più
fortemente e immaginosamente
sentita, la più largamente e
altamente intonata, la più
solidamente e leggiadramente
costrutta. (Carducci). |