VITA NUOVA
Operetta composta "all'entrata della
gioventù" probabilmente fra il 1292
e il 1293 e stampata la prima volta
a Firenze nel 1576. Raccolta di rime
che Dante trascelse dalla sua
produzione anteriore e che collegò
nel filo di una narrazione in prosa;
la quale di ciascuna illustra il
motivo generatore ("ragione") e
chiarisce per "divisioni"
l'organismo di pensiero che vi si
articola dentro, risolvendosi in
sintesi rappresentativa. È la storia
della vita intima di Dante, quale si
riaffaccia al suo spirito nella
trama sentimentale e affettiva dei
ricordi di cui essa è intessuta
("libro della memoria") e che egli
rivive in diretta relazione a
Beatrice, la donna amata ed
esaltata, perduta e rimpianta ma
"beata in cielo con gli angeli" e
"viva in terra con la sua anima". A
nove anni Dante s'incontra con
Beatrice quasi sua coetanea; e
subito la bellezza di lei, nello
splendore della sua dispotica
spiritualità ("Ecce deus fortior
me"), si fa presente all'anima di
Dante che se ne diletta ("Apparuit
iam beatitudo vestra") e la esalta:
un bene che muove il desiderio e
suscita l'amore, come passione a cui
le stesse operazioni del corpo
dovranno essere sacrificate.
S'inizia così una "vita nuova";
nella quale l'amore, tendendo a ciò
che diletta l'intelligenza nella sua
facoltà di conoscere ("amore
razionale"), si fa causa in Dante
delle attrattive che egli stesso
subisce, ossia della efficacia che
la bellezza di Beatrice esercita su
di lui con la realtà della sua
presenza e della sua azione. A
diciotto anni Dante rivede Beatrice
e ne riceve il primo saluto: luce di
un'anima buona che lo inebria, e che
lo porta a conoscere, nel lampo di
uno sguardo, la bellezza che lo fa
beato. E tosto in un'atmosfera di
visione e di sogno - vita di
un'anima che si contempla nello
specchio delle proprie immagini -
l'Amore gli appare e si conferma suo
signore ("Ego dominus tuus") e gli
strappa il cuore e lo dà in pasto a
Beatrice che dorme tra le sue
braccia e poi se ne parte piangendo.
Sogno di ogni adolescente, che alla
prima rivelazione della bellezza
nella sua esistenza singolare e
concreta offre tutto se stesso alla
creatura che gliela fa conoscere,
come splendore di vita e perfezione
che non è di quaggiù. Presagio
oscuro del sentimento che ama, e che
già teme di perdere quello che ama.
Motivo poetico, che nelle forme
della lirica tradizionale segna il
primo inizio dell'arte di Dante, ma
che lì non si esaurisce, perché
permea dal profondo tutta la Vita
Nuova e ne colora la vicenda d'amore
entro una penombra di aspettazione e
di mistero. Ormai raccolto nel solo
pensiero di Beatrice, Dante si pone
al centro della sua gioia e la cinge
di silenzio e la vela di un sorriso,
col quale risponde a coloro che gli
leggono in volto lo struggimento
interiore. Segreto geloso e fiore
spirituale della sua anima
innamorata, che egli sente di dover
sottrarre a ogni indiscreta
curiosità, fingendosi innamorato di
un'altra donna, per la quale scrive
"certe cosette per rima" con quel
fragile e trasognato abbandono al
sentimento, che è pura musica, ritmo
interiore e canto (v. Rime). Quando
poi questa donna si allontana da
Firenze ed egli ne resta sgomento,
di nuovo, per ispirazione d'amore,
s'affretta a celare l'intima verità
della vita che vive con lo "schermo"
di una seconda donna; ma la canta
con tale fervore di desiderio, che
ne resta intorbidata l'onda di
commozione che gli fluiva
dall'interno e se ne oscura l'idea
di bellezza che lo rapiva in
Beatrice. Or ecco che di tale
passione molta gente prende "a
ragionare oltre li termini della
cortesia"; e per quelle voci che
procuravano a Dante la taccia di
vizioso, Beatrice gli toglie il
saluto: quel saluto che gli era
fonte di beatitudine e di
traboccante pienezza interiore.
"Quando ella apparia da parte
alcuna, - egli scrive -, per la
speranza de la mirabile salute
(saluto) nullo nemico mi rimanea,
anzi mi giugnea una fiamma di
caritade, la quale mi facea
perdonare a chiunque m'avesse
offeso; e chi allora m'avesse
domandato di cosa alcuna, la mia
responsione sarebbe stata solamente
"Amore", con viso vestito
d'umiltade". Sovrabbondanza
affettiva, che Dante conosce come
vita della sua anima e legame che lo
stringe nel mondo degli spiriti a
tutti gli uomini; ma sovrabbondanza
che è fuori dall'ordine dell'amore;
il quale, raccolto sul proprio
centro, si esalta in ciò che
dilettando l'intelligenza fa fronte
alla volontà come un bene a cui
tende e che fa la gioia dell'anima.
("Ego tamquam centrum circuli cui
simili modo se habent
circumferentiae partes", gli
dichiara in visione l'Amore, "tu
autem non sic"). La volontà di
Dante, non rettificata
fondamentalmente nella linea di
quella bellezza che rifulgeva in
Beatrice, s'è abbandonata all'onda
oscura del sentimento e della
passione. Sempre per ispirazione di
quell'Amore che lo sprona e lo guida
e lo finalizza, Dante s'accorge che
nelle sue rime per la seconda donna
dello "schermo" ha fallito
artisticamente il suo scopo. E
allora lascia i finti amori, per
rivolgersi direttamente a Beatrice e
dichiararle la nobiltà della
passione che nutre e ha sempre
nutrito per lei fin "da la sua
puerizia". Ma Beatrice è donna che
non recede facilmente dal suo
proposito; né altro Dante può ormai
sperare da lei, sebbene a
malincuore, che un pietoso
compatimento per ciò che egli vive e
soffre, patisce e conosce ne'suoi
termini intimamente contraddittori.
Durante una festa nuziale Beatrice,
insieme con le sue amiche, sorride
del turbamento che Dante prova
dinanzi a lei; e così si nega alla
comprensione di quell'amore che in
Dante si fa dominatore di ogni altra
attività, trasformandolo in puro
soggetto di assorta contemplazione.
È un morire a se stesso, per
compiacersi della bellezza che in
Beatrice lo esalta e lo trae fuori
di sé: oscura perfezione d'amore,
vissuta angosciosamente e tale che
dovrebbe suscitare in altri la
pietà; e tuttavia desiderata e
accettata con gioia da Dante, perché
la vive dentro la luce di un
pensiero che solo parla di Beatrice.
In vivente relazione a lei Dante ha
finora obbedito, con abbandono
fidente e felice, alle
sollecitazioni dell'Amore che
scaturivano dalle pieghe più riposte
della sua anima; ma il saluto di
Beatrice, che era il fine ultimo di
tutti i suoi desideri, gli è negato
per sempre. Né altro ormai Dante
crede di poter dire di se stesso,
quando, all'improvviso, l'Amore che
lo ispira gli si rivela, per sua
grazia, nella parola poetica in lode
di Beatrice; e perciò un amore che
nulla chiede e nulla spera, perché
già si possiede tutto, come bontà
generosa che esaltando si esalta,
mentre liberamente si dona alla
bellezza spirituale a cui tende. Da
questo amore, alle cui sorgenti
s'identificano, nella linea del fare
e nella linea dell'agire, arte e
vita morale, nasce la nuova poesia
di Dante ("Donne ch'avete intelletto
d'amore"): le sue "nuove rime",
prima fiorituralirica della sua
anima in uno stato di grazia ingenua
e di felicità espressiva; e sua
prima vocazione etica in un mondo di
perfezione ideale, che sta al di là
di tutto il creato (Rime). Il
pensiero di un richiamo di Beatrice
alla sua patria celeste tra gli
angeli e le anime beate, a cui nulla
manca se non aver lei, informa in
queste rime il sentimento di
estatica contemplazione che le
pervade, convertendosi però,
immediatamente, nella fede in un
ordine provvidenziale, di cui la
stessa Beatrice è chiara
manifestazione per l'azione benefica
che la sua presenza esercita su ogni
cuore ("Negli occhi porta la mia
Donna Amore"). Or ecco, il padre di
Beatrice muore.
Poco dopo Dante si ammala gravemente
e nel sentimento della fragilità
della vita e del suo breve durare il
pensiero di un ritorno di Beatrice
al cielo riaffiora dalle pieghe
dell'anima e si fa presentimento e
sogno angoscioso e sospiro e pianto
("Donna pietosa e di novella etade").
Tuttavia, col ritorno alla vita,
Dante ritorna alla vita della sua
anima; la quale si racconta nelle
parole liete e nelle mirabili
divinazioni di quell'amore che la
ispira, e che per sovrabbondanza
interiore affluisce tutto verso
Beatrice, divenuta così per lui come
un altro se stesso ("Io mi sentii
svegliar dentro lo core"). Lo stile
della lode viene ripreso ("Tanto
gentile e tanto onesta pare", "Vede
perfettamente onne salute"),
commosso sospiro di un'anima che si
sente umiliata e quasi smarrita
dinanzi alla bellezza che si irradia
da Beatrice, e che la irradia come
luce di purezza originaria e di
grazia candida e gentile. E già
Dante vorrebbe illustrare la nuova
fioritura della sua anima sotto
l'influsso di quella luce, quando
Beatrice muore.
Scomparsa la "stella rectrix" della
sua vita più intima, là dove essa
agiva come spirito creatore, Dante
sente che l'orizzonte gli si oscura
e il mondo perde del suo valore.
Pausa di raccoglimento e di
meditazione: dolore che si ripiega
sui ricordi e li interpreta nel loro
significato profondo: Beatrice era
lo splendore di un "miracolo", un
effetto mirabile della prima Causa;
era un "nove", un prodotto del tre,
la Trinità; e quindi un riflesso
delle perfezioni divine ossia un
bene analogo ("per similitudine,
dico") al Bene supremo. Nuova vena
di poesia, che fluisce tenera e
affettuosa, placata e illuminata
dalla fede: Beatrice è volata al
cielo "nel reame ove li angeli hanno
pace".
Il ricordo di lei permane nell'animo
di Dante, né il tempo lo disacerba;
anzi lo rincrudisce e lo fa palese
sul suo volto e ne'suoi
atteggiamenti. Una "gentile donna
giovane e bella molto", pallida in
viso come Beatrice, lo guarda con
tale compassione che lo porta
involontariamente al pianto. Da
prima egli ne fugge lontano, ma poi
torna a vederla, perché,
rinnovandosi alla sua vista il
ricordo di Beatrice, ne ha come un
aiuto a sfogare il suo dolore. Ma
quando per il troppo compiacersi di
vedere questa "donna gentile", Dante
si accorge di straniarsi dal suo
dolore, alla ragione del cuore, che
si compiace di ciò che lo consola,
contrappone la ragione dell'anima
che si rattrista di ciò che
effettivamente le manca: lo
splendore di quella bellezza
analogica e trascendentale che
rifulgeva in Beatrice come
perfezione di essere e assolutezza
di vita, verso la quale essa anima
tendeva per amore, con un'attività
identica a quella con cui
dall'interno le si donava tutta. La
ragione poetica della sua "vita
nuova" Dante la coglie qui, al
vertice di un'esperienza che nella
sua singolare vicenda d'amore gli dà
ragione di se stesso e delle sue
tendenze fondamentali e delle sue
esigenze profonde. E allora dentro
la serie dei ricordi che gli si
riaffacciano alla memoria come un
sogno armoniosamente vissuto, perché
illuminato dall'arte e dalla poesia,
Dante rivede in visione la sua
Beatrice. Anche più sua dopo la
vergogna e il pentimento di aver
cercato conforto fuori di lei; e
perciò pianta e rimpianta di nuovo e
più amaramente, sentendo che tanta
perdita è una sventura sua, anzi la
sventura della sua stessa città
("Deh, peregrini che pensosi
andate"). Ma dalla sofferenza e
attraverso la sofferenza Dante, per
virtù d'amore, s'innalza col
pensiero fino all'Empireo, dove, in
seggio di gloria, vede Beatrice
beata: luce intelligibile, che
sfolgorando in se stessa, gli si
rivela in qualche modo allo spirito
pur non essendo afferrata
concettualmente ("Oltre la spera che
più larga gira"). Una nuova mirabile
visione riconferma Dante nelle
certezze interiori della sua anima;
e allora si propone di non parlare
più della sua celeste creatura fino
a quando potrà trattarne degnamente,
sperando "di dicer di lei quello che
mai fue detto d'alcuna": lontano
preannunzio della Divina Commedia,
che sarà lo scopo e il termine di
tutta la sua vita. Esperienza intima
e reale è dunque quella che Dante
invera nella sua "vita nuova", e che
egli fa conoscere distinguendo, su
fondamento metafisico, due cose: il
principio attivo ("Amore" o
"forma"), che opera in lui
indipendentemente dalla sua volontà,
ma a cui la sua volontà si
sottomette ("si disposa"); e il
soggetto che ne è il portatore, cioè
Dante stesso: un "cuor gentile" che
mette in luce progressivamente la
bontà generosa di cui è capace:
"materia" sempre "nuova e più
nobile", che si attua la virtù
dell'amore, "forma" che l'attua
("Amore e cor gentil sono una
cosa").
Questa distinzione scolastica, che
ci dà ragione dello schema
psicologico-narrativo della Vita
Nuova e del suo valore di
confessione intima, è realizzata
fantasticamente nei colloqui che
Dante ha con l'Amore, un personaggio
misterioso che gli si presenta in
visione talora, ma che sempre lo
consiglia e lo sprona e lo dirige.
Alle profonde sollecitazioni
dell'Amore che lo ispira, Dante
risponde sempre con giovanile
entusiasmo, donandosi senza
restrizione alla bellezza sovrumana,
che risplende in Beatrice. Ottimismo
fondamentale, che dà il tono della
vita che Dante vive, mentre realizza
dentro di sé un ordine spirituale
presentito oscuramente, ma iscritto
nella sostanza della sua anima. A
questo ottimismo fondamentale Dante
aderirà più tardi nella Divina
Commedia, sulla cima del
"Purgatorio", donandosi di nuovo con
abbandono fidente alla bellezza
dell'essere, che nella sua
universalità gli si irradia attorno
per entro alla "divina foresta
fresca e viva".
Giovinezza spirituale, che rinnova
come "ordo amoris" lo stato di
grazia ingenua e nativa che informa
le "nuove rime"; ma giovinezza
ritrovata al termine di un lungo
periplo di esperienze, e perciò
riconquistata e riconosciuta come il
paradiso perduto della coscienza
umana. Nella Vita Nuova tutto va
ricondotto all'intimità, cioè alla
vita di un'anima che considera le
cose esclusivamente in relazione a
se stessa, quasi inviscerate nella
sua più pura soggettività,
esprimendosi in un linguaggio
affettivo, necessariamente ricco di
iperboli e screziato di note
psicologiche a titolo di esattezza.
Queste note si stringono ai modi
concreti di attività che Dante
dispiega in rapporto ai fini
attualmente posseduti dalla sua
persona incomunicabile. La realtà
esterna si presenta perciò vaga ed
evanescente come in un sogno.
Designati per perifrasi, luoghi,
persone e cose si appartano in una
lontananza fuori tempo e
approfondiscono la solitudine
spirituale in cui Dante si chiude,
per ascoltare le voci del cuore e
salire, con animo sospeso e stupito,
nella sfera immateriale di quella
bellezza singolare che lo rapisce.
In questa atmosfera d'incanto
sboccia e fiorisce, fuori dagli
schemi della lirica toscana
tradizionale, la
fragile e delicata poesia dello "stil
novo" di Dante - quella che per
virtù di Beatrice lo fece uscire
dalla "volgare schiera" -: nota del
puro sentimento, che si coglie di là
dalla intransigente concretezza
della parola, mentre si contempla in
immagini di bellezza spirituale,
dove trepida il ritmo segreto e
profondo di un'anima innamorata che
canta.
...incominciò come tutti i rimatori
dell'età sua prendendo l'ispirazione
e il motivo dalla poesia d'amore
cavalleresca. Se non che e la tempra
dell'anima e le condizioni degli
affetti suoi e le circostanze dei
tempi diedero alla sua lirica
qualche cosa d'estatico e di
solenne, un afflato mistico in
somma; sotto il quale la materia
prima di quella poesia, che era la
trattazione cavalleresca dell'amore,
venne del tutto rimutata e assunse
nuova forma. (Carducci).
Una situazione nuova nella storia
della nostra poesia: l'amore appena
nato, simile ancora ai primi
fuggevoli sogni della giovinezza,
che acquista la sua realtà presso
alla tomba ed oltre alla tomba. (De
Sanctis).
La Vita Nuova quale Dante ce la
tramandò, è il romanzo d'amore
mistico. (Cesareo).
La Vita Nuova, piuttosto che
impressioni di sogno, suscita
sovente quelle dell'artificioso e
perfino del pedantesco, il quale si
vede poi aperto in molte delle
spiegazioni in prosa con cui si
cerca di convertire in raccontini il
contenuto dei vari componimenti
poetici, e nelle grammaticali
divisioni e analisi di questi. (B.
Croce).
Il tono estatico della Vita Nuova,
quella luce d'oro chiaro che sembra
avvolger le parole, che narrano
dell'"angiola giovanissima"; quel
senso di unzione che lo ha fatto
assomigliare a un libretto di
devozione e di liturgia, innalzano i
casi privati del poeta ad una specie
di beata allucinazione: e di
continuo si ondeggia tra il vero e
il simbolo. (F. Flora) |