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IL DECADENTISMO
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ITALO SVEVO
I) Nasce a Trieste nel 1861 da
una famiglia della borghesia
commerciale di origine ebraica:
suo nonno visse in Renania
(Germania). Il suo vero nome è
Ettore Schmitz: scelse di
chiamarsi "Italo" per
dichiararsi "italiano"; "Svevo"
per mostrare la sua origine
tedesca. I primi studi li fece
in Germania: fatto, questo, che
lo metterà a disagio quando poi
scriverà in italiano i suoi
romanzi. Svevo non fu solo un
romanziere, ma anche un critico
letterario, drammatico e
musicale, ma ebbe, come critico,
poca fortuna, anche se prese
come modello il De Sanctis; fu
anche uno scrittore di opere
teatrali (quasi sempre
incomplete e rimaste inedite
durante la sua vita) e un
novelliere, ma senza successo.
II) A Trieste s'indirizzò verso
studi di economia, frequentando
un Istituto superiore
commerciale. Il fallimento
dell'azienda paterna lo
costrinse a diventare nel 1880
un impiegato di banca, pur
sentendo forte la vocazione
letteraria. In banca lavorerà
per 18 anni. Nel frattempo legge
alcuni classici tedeschi,
italiani e francesi. Notevole è
il suo interesse per il filosofo
irrazionalista Schopenhauer e
per i grandi narratori realisti
(Zola, Balzac, Flaubert...).
Legge anche Machiavelli,
Guicciardini, Boccaccio e De
Sanctis. Preferisce gli autori
che s'impongono per la
concretezza dei loro contenuti
più che per la loro proprietà
formale e stilistica.
III) Il suo primo romanzo, Una
vita, fu pubblicato a sue spese
nel 1892, ma passa inosservato.
Narra di un giovane, Alfonso
Nitti, venuto dalla provincia a
Trieste per impiegarsi in una
banca. Egli vive una doppia
vita: una da impiegato, di cui
non è contento; l'altra da
studioso che coltiva sogni
letterari. All'inizio le
prospettive sembrano buone:
Annetta, figlia del proprietario
della banca, s'innamora di lui e
con lui intraprende la stesura
di un romanzo. Quando però
Alfonso s'accorge che per
Annetta questo impegno era solo
un gioco, va in crisi e non sa
più come comportarsi. Approfitta
di una grave malattia della
madre per allontanarsi dal
lavoro. Si rende ogni giorno più
conto d'essere totalmente
incapace di reagire alle
situazioni. In seguito alla
morte della madre e al
fidanzamento di Annetta con un
giovane del suo ceto, Alfonso,
dopo una spietata autoanalisi,
si uccide.
IV) Il protagonista è dunque un
inetto, un incapace a vivere la
vita: non tanto perché non vuole
inserirsi nella società borghese
(vuota, superficiale), quanto
perché contrappone a questa
società un mondo velleitario di
sogni irrealizzabili. E' un uomo
in cui la paralisi della
volontà, il suo stato di ansia e
di incertezza hanno il
sopravvento sulle critiche che
la sua ragione muove alla
società. Il romanzo inizia in
modo realistico e naturalistico,
ma si conclude in maniera
psicologica (emotiva).
V) Nel 1898 pubblica Senilità,
ma anche questo non ebbe
successo. Il protagonista è
Emilio Brentani, un impiegato
triestino. Anche lui è un
intellettuale con velleità
letterarie. S'innamora di
Angiolina, una donna dai facili
costumi, che lui però crede
ingenua e pura. Quando s'accorge
dell'errore, spera di
recuperarla alla vita onesta, ma
non ci riesce. Così cerca una
giustificazione (attenuanti)
all'atteggiamento della moglie,
facendone una vittima della
società. Emilio non si suicida
ma si toglie la facoltà di
desiderare, perché non vede più
davanti a sé una realtà da
costruire.
VI) Il silenzio che accolse
quest'opera lo demoralizzò al
punto che per 25 anni non
scrisse più niente. D'altra
parte Svevo non frequentava i
circoli letterari del suo tempo,
né partecipava ai movimenti di
idee che caratterizzavano
l'inizio del secolo. La stessa
Trieste era una città con una
cultura autonoma, che se di
quella italiana sapeva assorbire
gli aspetti più realistici, si
mostrava anche sensibile agli
apporti culturali delle correnti
slave e germaniche. Senza questo
influsso, non sarebbe potuto
nascere il "romanzo analitico"
di Svevo: il romanzo cioè che
alla rappresentazione oggettiva
dei fatti (Verismo) sostituisce
quella di una complicata e
profonda angoscia esistenziale,
sostenuta dalla tecnica del
monologo interiore, che è una
tecnica di narrazione indiretta
e automatica, per cui gli
avvenimenti sono presenti solo
attraverso il riflesso ch'essi
hanno avuto nella coscienza del
protagonista.
VII) Per rifarsi dagli
insuccessi letterari, impara a
suonare il violino e si mette a
studiare l'inglese. L'insegnante
era James Joyce (conosciuto nel
1905), che più tardi sarebbe
diventato il più grande
scrittore irlandese e uno dei
più grandi del Novecento. A lui
lesse Una vita e Senilità, che
non dispiacquero a Joyce.
VIII) Nel '99 entra come socio
nella ditta commerciale del
suocero (vernici sottomarine).
Dopo la I guerra mondiale (in
cui parteggiò idealmente per gli
italiani), scrisse l'ultimo suo
romanzo, La coscienza di Zeno,
che uscì nel 1923 (il libro
risente molto delle polemiche
intorno alle idee di Freud).
Anch'esso in un primo momento
venne ignorato. Senonché nel
1925, anche per sollecitazione
di Joyce, due critici francesi
esaltarono Svevo e l'ultimo suo
romanzo, facendolo conoscere a
tutta Europa. Due mesi prima, in
Italia, anche Montale aveva
manifestato la sua ammirazione
per La coscienza di Zeno,
imponendolo all'attenzione della
critica italiana. Gli ultimi
anni di Svevo furono quindi
abbastanza felici. Morì nel 1928
per un incidente
automobilistico.
Ideologia e poetica
IX) A Svevo non è mai
interessato rientrare in quelle
esperienze culturali italiane
volte a superare la crisi
post-risorgimentale nella
valorizzazione della realtà e
dei problemi regionali (ad es.
il Verismo). Né gli premeva di
ricercare nuovi miti e modelli
di comportamento per una
borghesia velleitaria o delusa
(ad es. Decadentismo, Futurismo,
ecc.). Il suo orientamento va
piuttosto in direzione di una
tematica esistenziale, verso la
rappresentazione della
solitudine e dell'aridità degli
individui che avvertono con
disperazione la loro incapacità
di aderire alla vita. La sua
poetica, in un certo senso,
rientra nel vasto movimento
decadentistico.
X) Della vita dell'uomo gli
interessano non i rapporti
sociali, ma gli impulsi più
segreti e oscuri, che
paralizzano, ovvero gli aspetti
dissociati e contraddittori del
pensiero e dell'agire. Nei suoi
romanzi appare evidente che la
solitudine e l'alienazione dei
protagonisti sono manifestazioni
di una "malattia mortale" che
corrode non solo i singoli
individui, ma l'intera società
borghese, per cui non c'è alcuna
speranza che la situazione possa
migliorare. C'è insomma un
abisso incolmabile fra la
consapevolezza con cui si
avverte questa tragedia e la
possibilità di un'azione
costruttiva: anzi, quanto più è
forte la consapevolezza, tanto
più è forte l'incapacità di
reagire. Svevo e Pirandello, in
questo senso, si somigliano
molto.
XI) Svevo si inserisce
perfettamente in questa scoperta
dell'inconscio (fatta da Freud),
che è la strada anche di Proust
e di Joyce, ed è questa la vera
novità del suo romanzo. Svevo
s'interessò molto di psicanalisi
freudiana, che era stata
divulgata negli anni successivi
alla I guerra mondiale, ma il
suo interesse è caratterizzato
da uno spirito polemico e
sottilmente ironico nei
confronti di questa nuova
disciplina. La psicanalisi viene
vista come una terapia cui il
protagonista dell'ultimo romanzo
si sottopone scetticamente, per
giungere, quasi contro questa
stessa terapia, a ricostruire da
solo le motivazioni profonde del
suo comportamento.
La coscienza di Zeno
(1923)
XII) Il protagonista, più che
cinquantenne, è Zeno Cosini, un
uomo che non essendo riuscito a
smettere di fumare, arriva a
farsi rinchiudere in una casa di
cura (ove si verificano
situazioni comiche: ad es.
tentativo di seduzione di una
matura infermiera per avere
sigarette, sospetti sulla
fedeltà coniugale della moglie,
sino all'evasione notturna). Il
dottore, vista l'inutilità dei
primi metodi, lo aveva
consigliato di scrivere la
propria autobiografia,
psicanalizzando se stesso, nella
speranza di vederlo guarire. In
realtà Zeno, quando inizia a
scrivere il romanzo, lo fa in
polemica con la terapia del
dottore.
XIII) Il romanzo, in un certo
senso, è come un diario a
episodi (i "ricordi")
intercalato dal racconto vero e
proprio (il "monologo
interiore"). Gli episodi
principali sono il matrimonio
con la seconda delle tre sorelle
Malfenti, che non amava, dopo
essere stato rifiutato dalle
altre due, che amava. Le tappe
che lo portano al matrimonio
(così come a una relazione
adulterina) sono casuali. Pur
non avendo tatto, sa tradire la
moglie senza destare il minimo
sospetto. Ha fortuna negli
affari, nonostante la scarsa
stima di cui gode presso i
parenti. Anzi, salva la
posizione finanziaria del
brillante cognato Guido, che
sembrava destinato al successo.
La morte del padre, la cui
rievocazione gli suscita più che
il dolore un profondo rancore:
Zeno ricerca vanamente dentro di
sé la commozione che gli appare
doverosa nella circostanza, poi
si rifugia in una inconsapevole
ma comoda ipocrisia, al fine di
sentirsi "buono".
XIV) Maggiormente analizzata è
la malattia di Zeno, con tutti i
suoi inutili quanto puntuali
proponimenti di smettere di
fumare. Zeno si considera
"malato", ma la sua malattia è
da un lato "immaginaria",
dall'altro "reale". Immaginaria
perché di comodo, reale perché
gli condiziona di fatto tutta la
vita. La vera malattia non è il
tabagismo (che comunque nel
romanzo resta irrisolta), ma
l'alienazione, la netta
divisione fra la ragione con cui
egli analizza criticamente le
contraddizioni della realtà e la
volontà (i sentimenti) con cui
cerca di affrontarle, che resta
sempre impotente, conformistica,
vuota. Lo scompenso fra la
teoria e la prassi si rivela nei
gesti con cui egli esprime
proprio quello che non vorrebbe.
Così, mentre agisce per
conseguire un risultato, ne
ottiene un altro; quando non
s'interessa alle cose o alle
persone è la volta che tutto gli
riesce. Zeno stesso non sa
giudicare se vale di più la
furbizia o la fatalità.
XV) In questa condizione la
psicanalisi non serve come
terapia ma solo come metodo
d'indagine dei sintomi della
malattia: essa può solo offrire
la coscienza dell'alienazione,
non l'esperienza del suo
superamento. Svevo, in pratica,
si serve della psicanalisi per
condannare l'ipocrisia della
società borghese, ma non offre
valide alternative. Le uniche
due sono le seguenti: 1)
prendere coscienza di questa
tragedia umana e limitare le
proprie ambizioni o pretese,
vivendo più a contatto con le
esigenze della natura (ma non
nel senso della moglie di Zeno,
la quale, nel romanzo, soffre
meno di lui, perché vive di più
il presente, adeguandosi alla
realtà. Secondo Zeno invece la
mancata consapevolezza
dell'alienazione rende Augusta
ancora più malata di lui). 2)
L'altra alternativa è offerta
dall'ironia, che permette
all'uomo di sopravvivere, anche
se non in maniera convincente,
nelle assurde contraddizioni
della società borghese. Svevo si
serve anche dello strumento del
tempo, nel senso che il fluire
del tempo confonde la coscienza,
finché ne giustifica le azioni,
anche quelle negative. Ecco
perché lo psicanalista viene
considerato da Zeno come un
"uomo ridicolo", che s'illude di
poter guarire il suo paziente.
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