|
UGO FOSCOLO
 |
 |
 |
 |
LE TRAGEDIE
Tre sono le tragedie composte
dal Foscolo: il “Tieste”,
l’ “Aiace”
e la “Ricciarda”.
La prima fu rappresentata a
Venezia nel 1797 ed ebbe un
caloroso successo presso il
pubblico (tanto che fu replicata
per trenta sere di seguito),
forse solo perché esprimeva le
idee giacobine del giovane
autore, idee per le quali allora
il popolo mostrava una
particolare sensibilità. In
effetti l’opera è poco più che
una esercitazione stilistica. Il
Foscolo la dedicò al grande
maestro tragico, all’Alfieri,
che non rispose neppure per
educazione alla lettera
dedicatoria. La seconda,
senz’altro migliore, fu
rappresentata una sola volta
alla Scala di Milano nel 1811,
ma fu poi proibita perché
ritenuta offensiva di Napoleone,
che sembrava ritratto nel
tiranno Agamennone. Il Foscolo
però non la ripudiò, anzi
promise di pubblicarla prima o
poi (cosa che non fece) epurata
di alcuni squarci lirici che a
parer suo non si addicevano ad
un’opera tragica. In effetti il
poeta in un luogo de “Le Grazie”
inserisce i versi 85-95 della
scena III dell’atto III
avvertendo: «Lo squarcio intorno
ad Aiace è tratto dalla tragedia
inedita dell'autore, che innanzi
di pubblicarla la spoglierà di
tutti i versi lirici
inopportuni, e principalmente di
quelli che qui ci stanno a
pennello». La terza fu
rappresentata a Bologna nel 1813
e registrò un autentico fiasco,
come d’altronde meritava.
“Tieste”:
Tieste ama segretamente la
cognata Erope e dalla tresca
nasce un bambino. Il re Atreo,
fratello di Tieste e marito di
Erope, sottrae il figlio agli
amanti e giura di vendicarsi, ma
poi finge di voler perdonare per
assecondare il desiderio della
madre ed invita i due ad un
convegno di riappacificazione,
durante il quale fa bere al
fratello il sangue del
figlioletto da lui barbaramente
ucciso: Tieste si toglie la vita
mentre Erope impazzisce e muore
per il dolore.
“Aiace”:
è imperniata sulla leggenda
dell’eredità delle armi di
Achille, di cui è cenno nei
“Sepolcri”: le armi
spetterebbero ad Aiace, ma
Ulisse, con la complicità di
Agamennone, se ne impadronisce e
l’eroe offeso decide di darsi la
morte per salvare ad un tempo la
pace della patria ed il proprio
onore.
“Ricciarda”:
Averardo, principe di Benevento,
è in guerra col proprio
fratellastro, Guelfo, principe
di Salerno. Guelfo, sconfitto,
si rifugia nei sotterranei del
proprio castello, ove ha il
sospetto che si trovi nascosto
il nipote Guido, figlio di
Averardo, che ama segretamente
la cugina Ricciarda. Guelfo, per
indurre il nipote a venire allo
scoperto, grida di aver ucciso
la propria figlia Ricciarda, e
quando il giovane accorre, lo
trafigge. Poi, preso dal furore,
uccide la figlia e si dà la
morte .
|
|
|
| |
 |
 |
 |
 | |