|
GIACOMO LEOPARDI
 |
 |
 |
 |
CONSIDERAZIONI SUI PENSIERI
Il pensiero XIII ricorda da un
lato l'idillio Alla luna, per un
altro - per contrasto - il
Dialogo di un venditore di
almanacchi e di un passeggere,
secondo quanto scrive il Damiani:
la menzione del calendario
«richiama alla memoria gli
almanacchi e lunari del
Venditore che, vendendo una
speranza da trenta soldi al
Passeggere, sono volti al futuro
e, pur fondati su una medesima
ciclicità cronologica, servono a
illustrare un tempo dissacrato e
paradossalmente "nuovo", che
fugge in avanti ed è l'opposto
di quello considerato dal
Pensiero».
Il XIX è un pensiero sulla
schiettezza e sull'arte di
fingersi ciò che non si è. Esso
si colloca nel solco di una
lunghissima tradizione di
riflessione morale e politica.
Basti pensare a Machiavelli che
teorizza come «virtù» per il
principe la necessità di
simulare e dissimulare (ma
un'eco di Machiavelli e
Guicciardini è anche
nell'accenno all'immutabilità di
natura: virtù del politico era
anche saper modificare i propri
comportamenti col mutare delle
circostanze), o al Boccalini
teorico della dissimulazione
onesta, la cui opera dà vita a
un rigoglioso filone di pensiero
in ambito di cultura
controriformistica. Qui il
Leopardi affronta originalmente
il discorso: si comprende
facilmente da che parte egli
idealmente si collochi, tanto
più se pensiamo alla coincidenza
di alcune affermazioni qui
riportate con alcune presenti
nella lettera al Jacopssen
(circa la propria inettitudine
al vivere sociale); ma è anche
vero che il Leopardi considera
questa inclinazione alla
schiettezza - che è anche sua
personale - come un difetto,
socialmente parlando.
I pensieri XXXIV, XL e LXXIX
affrontano in vario modo il tema
dei giovani. II primo in
particolare è sul tema dei
giovani e degli errori della
gioventù, sul tema della
malinconia e dell'affettazione,
e in parte si colloca nel solco
della precedente riflessione
(Pensiero XIX). Morale: chi ha
natura capace di simulare e
dissimulare fa bene in certe
circostanze (ad esempio per
piacere alle donne) a fingere
malinconia; ma badi a saper
mutare la malinconia in allegria
quando - come accade più spesso
- occorre; e soprattutto badi a
non provar davvero questo
funesto sentimento.
Il XL forse più che sul parlar
molto di sé, è sul motivo della
fragilità e della tempestosità
dei moti interiori dei giovani
«di spirito superiore alla
mediocrità».
Il LXXIX infine tratta il tema
della differenza tra persone
dotate di acuta sensibilità e di
ricchezza di sentimenti in
relazione alla capacità o
all'incapacità di adattarsi al
mondo. In ciò riprende alcuni
spunti dei pensieri LXVII e
LXVIII di cui diciamo appresso.
Il LXVII e il LXVIII, due
pensieri sulla noia, si
collegano a numerosi altri testi
leopardiani. Innanzi tutto alle
riflessioni svolte nello
Zibaldone e da noi riportate in
appendice al Dialogo di Torquato
Tasso e del suo genio familiare,
poi in questo dialogo appena
citato; e ancora nel Canto
notturno, dove viene sviluppata
un'ipotesi in parte diversa (che
a tutti, uomini e animali, sia
comune, se non proprio il
sentimento della noia, una
consapevolezza profonda e
dolorosa della propria
condizione naturale). Nel
secondo, che riprende un luogo
di Pascal - com'è osservato
nelle note -soprattutto
significativo è il
distanziamento dalle posizioni
del moralismo cristiano che
interpretavano la noia stessa
come un segno della natura
divina dell'anima umana.
|
|
|
| |
 |
 |
 |
 | |