IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

ARGOMENTI

Cenni biografici
L'indole
Le idee
La conversione
Le opere anteriori la conversione
Le opere posteriori la conversione
Inni sacri
Le liriche civili
I promessi sposi
Opere dottrinali e storiche
Le tragedie
Gli studi sul Manzoni
 
AGGIORNAMENTI
 

HOME PAGE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


ALESSANDRO MANZONI

GLI STUDI SUL MANZONI


Il primo grande critico del Manzoni fu Wolfang Goethe. Questi riconobbe nell’Autore degli “Inni Sacri” un “cristiano senza fanatismo, cattolico-romano senza bacchettoneria, zelante senza durezza” e giudicò il “5 maggio” la lirica “più bella che sia stata composta su quell'argomento”. Lusinghiero fu pure il suo giudizio sulle tragedie, a proposito delle quali affermò che anche i personaggi storici in effetti non sono che creature ideali: «Non v'è persona storica per il poeta. Quand'egli vuole rappresentare il mondo morale da lui concepito fa l’onore a certi individui della storia di prenderne a prestito i nomi per le sue creature». Un giudizio entusiastico espresse poi sui “Promessi Sposi”, rilevando però che le parti propriamente storiche erano un impaccio alla poesia. Ecco come l’Eckermann riferisce il pensiero del Goethe nei suoi “Colloqui col Goethe”, tradotti in Italia da E. Donadoni (Bari, Laterza, 1812):

«Il romanzo del Manzoni supera tutto ciò che noi conosciamo in questo genere. L'elemento interiore, tutto ciò che deriva dall'animo del poeta, è perfetto, e l'elemento esteriore, le descrizioni dei luoghi e simili, non la cede di un capello alle grandi qualità interiori...

L'impressione che si riceve alla lettura è tale che si passa continuamente dalla commozione alla meraviglia, e dalla meraviglia alla commozione: così che non si esce mai da uno di questi due grandi effetti. Credo che non si possa andare più in là. In questo romanzo si vede per la prima volta davvero chi è il Manzoni...

E nella trattazione e nella pittura dei particolari egli è luminoso, come il cielo stesso d'Italia. In lui c'è sentimento, ma senza sentimentalità. Le circostanze sono sentite virilmente e schiettamente.

Lo storico ha giocato al poeta un brutto tiro; poiché il Manzoni sveste (nell'ultima parte del romanzo) d'un tratto l'abito di poeta, e ci si presenta per troppo tempo nella sua nudità di storico. E ciò accade nelle descrizioni della guerra, della carestia e della peste; cose già ripugnanti per sé, e che, nel minuzioso particolareggiare d'una arida rappresentazione di cronista, diventano insopportabili...

Si dovrebbe abbreviare per una buona parte la descrizione della guerra e della carestia, e di due terzi quella della peste; così che resti soltanto quello che è necessario ad intendere l'azione dei personaggi...

Ma, appena i personaggi del romanzo ricompaiono, il poeta ci sta di nuovo dinanzi in tutta la sua gloria e ci costringe alla consueta ammirazione.»

In Italia il favore del pubblico fu immediato, ma non così quello dei critici letterari. Ai classicisti non piaceva il genere nuovo misto di storia e di invenzione e neppure piaceva quella folla di personaggi umili che per la prima volta aveva avuto in Italia l’onore di entrare come protagonista in un’opera di poesia. Cosa che dispiaceva anche a non pochi romantici, come il Tommaseo, i quali poi rimproveravano il Manzoni di non aver preferito per la sua storia l’epoca medievale.

Il De Sanctis accentrò l’attenzione sul problema del rapporto fra storia ed invenzione, intendendolo come rapporto tra ideale e reale ed affermando che il Manzoni fu il primo a risolvere questo rapporto nel romanzo, in cui si verifica la fusione dell’ideale e del reale.

Il Carducci fu assai poco sereno nel giudicare il Manzoni data l’avversione che ebbe sia per il cattolicesimo che per il romanticismo: egli definì il romanzo una “novella provinciale domesticamente e democraticamente modesta”.

Nel Novecento il Croce ritenne che la poesia maggiore del Manzoni fosse tutta nell’ “Adelchi”, mentre il romanzo sarebbe opera di riflessione in cui “non si fa sentire nella sua forza e nel suo libero moto nessuno di quelli che si chiamano gli affetti e le passioni umane”.

Un più giusto riconoscimento dell’opera del Manzoni ed una sua più approfondita conoscenza devono molto agli studi del Momigliano, del Sapegno, del Sansone e del Russo.

 

© 2009 - Luigi De Bellis