IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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LA LETTERATURA MINORE

BERCHET: IL TROVATORE


Un giovane trovatore arde segretamente d'amore per la signora del castello in cui vive e incautamente affida al canto la sua passione. Il signore del castello lo sente e solo le suppliche della moglie riescono a placare la sua gelosia. Ma il trovatore viene cacciato e da allora vaga solo e malinconico, precocemente invecchiato, per la foresta.
Il componimento è un tipico prodotto di quella "scuola romantica" di cui Berchet fu tra i massimi esponenti. Costruito su uno sfondo medievale, ma di quel Medioevo riveduto e corretto dal primo Ottocento e tutto contesto di elementi languidi e sentimentali, esso piacque non poco quando fu pubblicato, perché andava incontro al gusto dell'epoca e perché sviluppava il tema dell'esilio, molto sentito in quegli anni. Non mancò chi, anzi, interpretò il componimento in chiave allegorica, trovandovi implicazioni politiche: la castellana sarebbe l'Italia, il signore cinico e geloso sarebbe l'Austria e il trovatore sarebbe il patriota che paga con l'esilio il suo amore per la patria. Ma una simile interpretazione, che per altro spiega bene le tendenze dell'epoca, è piuttosto forzata e sovraccarica la lirica di inutili significati, togliendole gran parte del suo fascino, che è, al di là delle problematiche politiche, legato a un generico, ma non per questo meno vero, senso di malinconia per la lontananza dai luoghi cari al proprio cuore.
Dal punto di vista espressivo, tutto concorre a creare un'atmosfera di abbandono sentimentale che è in linea con questa stagione del Romanticismo italiano: l'ambientazione medievale, la «selva bruna», lo struggimento per un amore impossibile e, soprattutto, l'utilizzo di termini ed espressioni anche popolari della tradizione amorosa e la grande musicalità dei versi, apertamente cantabili con le loro pause, le loro riprese e le loro facili rime.

Metro: romanza costituita da dodici strofette di quattro versi, di cui i primi tre sono settenari e il quarto un quinario: il primo e l'ultimo verso di ogni strofa rimano tra loro; il secondo e il terzo rimano anch'essi tra loro sulla rima tronca -or che si ripete per tutte le strofe.
 

  Va per la selva bruna
solingo il trovator
domato dal rigor
della fortuna.
 


la prima quartina mette subito a fuoco la forte componente romantica che caratterizza la lirica: le varie immagini e i singoli termini, infatti, hanno la funzione di creare una atmosfera patetica, carica di suggestioni sentimentali: così la «selva bruna», che è un luogo tipico della letteratura romantica, suggerisce l'idea di un paesaggio cupo e triste, in cui si aggira «solingo» solitario come tutti gli eroi romantici - il personaggio del trovatore (altra figura cara ai poeti romantici per i suoi tratti popolari e pseudomedievali), che, ovviamente, è vittima del «rigor / della fortuna», cioè, sempre come gli eroi romantici, della crudeltà di un destino avverso.
 

  La faccia sua sì bella
la disfiorò il dolor;
la voce del cantor
non è più quella.
 


Il dolore che ha patito ha fatto avvizzire la sua giovinezza, facendo sfiorire la sua bellezza. (La precisazione, in sé piuttosto banale, ha una musicalità molto intensa che la riscatta sul piano espressivo).
La sventura patita ha reso diverso anche il canto del trovatore, che ora, evidentemente, non è più gaio e spensierato, ma accorato e malinconico.
 

  Ardea nel suo segreto;
e i voti, i lai, l'ardor
alla canzon d'amor
fidò indiscreto.
 


Dopo il preludio, costituito dalle due quartine iniziali, che pone davanti agli occhi del lettore la triste condizione del trovatore, il poeta, nelle quartine centrali del componimento, rievoca la vicenda che ha determinato l'infelicità e la tristezza del personaggio: e, naturalmente, quella vicenda altro non è che un amore impossibile, l'amore, «segreto», del trovatore per la padrona del castello in cui viveva. La descrizione del sentimento provato dal giovane e dell'imprudenza che ha commesso cantando il suo stato d'animo nei suoi versi, si avvale dei termini tipici del linguaggio amoroso medievale: «Ardea», «voti», «lai».
 

  Dal tàlamo inaccesso
udillo il suo signor:
 


dal letto nuziale, dalle stanze nuziali in cui nessun estraneo era mai entrato, il signore del castello in cui il trovatore viveva sentì il canto del trovatore.
 

  l'impròvvido cantor
tradì se stesso.
 





L'imprudenza del «cantor» consiste nel fatto di avere cantato il proprio amore nei suoi versi e di essersi così tradito: infatti, il signore del castello, marito della donna segretamente amata dal trovatore, sente la canzone e capisce il sentimento che l'uomo prova.
 

  Pei dì del giovinetto
tremò alla donna il cor
ignara fino allor
di tanto affetto.
 


La donna, dunque, non sapeva dell'amore che l'uomo, «nel suo segreto», nutriva per lei, e ora che ne è venuta a conoscenza, essa prova nei suoi riguardi solo un senso di pietà; tutta la situazione è perfettamente in linea con le teorie del' "amor cortese" del periodo medioevale.
 

  E sùpplice al geloso,
ne contenea il furor:
bella del proprio onor
piacque allo sposo.
 


La scena che descrive la donna mentre intercede presso il marito per salvare il trovatore ha una sua casta intimità che, però, è pesantemente soffocata dal tono sentenzioso dei due versi che concludono la strofa: «bella del proprio onor / piacque allo sposo».
 

  Rise l'ingenua. Blando
l'accarezzò il signor;
ma il giovin trovator
cacciato è in bando.
 


In questa strofa sono eccezionalmente presenti tutti e tre i personaggi e tutti e tre con stati d'animo diversi; alla ingenua serenità della donna che è convinta di aver ottenuto ciò che voleva si contrappone la tenerezza soltanto formale del marito che accontenta la moglie ma nel contempo provvede a punire il trovatore, e il trovatore, ultimo a apparire in scena, è appunto la vittima infelice di questo patteggiamento coniugale. La strofa, comunque, è piuttosto macchinosa.
 

  De' cari occhi fatali
i più non vedrà il fulgor,
non berrà più da or
l'oblio de' mali.
 


La strofa riprende motivi e espressioni del sentimentalismo romantico («il fulgor» dei «cari occhi fatali» che il trovatore non vedrà più e da cui non «berrà» più «l'oblio de' mali»), ma la musicalità languida dei versi solleva leggermente il tono dell'insieme dalla sostanziale banalità della situazione.
 

  Varcò quegli atri muto
ch'ei rallegrava ognor
con gl'inni del valor,
col suo liuto.
 


Il momento dell'addio, descritto con pochi tratti, ha una sua suggestione, anche perché è carico di tensione emotiva.
 

  Scese, varcò le porte,
stette, guardolle ancor:
 


scese le scale del castello e si fermò un momento.
 

  e gli scoppiava il cor
come per morte.
 


L'espressione popolareggiante, con la sua ingenua immediatezza, accentuata drammaticità della situazione suggerendo l'idea di una pena senza conforto.
 

  Venne alla selva bruna:
quivi erra il trovator,
fuggendo ogni chiaror
fuor che la luna.
 


Torna il motivo del vagare solitario e malinconico che aveva aperto il componimento e che ne costituisce il tema centrale.
Il pallido «chiaror» della «luna» è un luogo comune della poesia romantica e aggiunge un tocco di languore in più al personaggio.
 

  La guancia sua sì bella
più non somiglia a un fior;
la voce del cantor
non è più quella.
 





La ripresa, con variazioni minime, della seconda quartina, sigilla, su un ritmo lento e pacato, il componimento che si chiude così come in un sospiro sommesso
.

 

© 2009 - Luigi De Bellis