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Tragedia in tre episodi e un prologo, in versi.
L'ideologia superumana, tanto assurda nella chiarezza
schematica del recente Più che l'amore, dà il tema e il
tono anche a questa tragedia; che sullo sfondo eroico
della fondazione di Venezia, lussuosa e magnifica città
per il poeta del Fuoco, mette in scena un Superuomo, Marco
Gràtico, contro una Superfemmina, Basiliola Faledra,
quest'ultima come Pantea del Sogno d'un tramonto
d'autunno, come la Comnèna della Gloria. Assetata di
vendetta per il padre e quattro fratelli che Marco le
accecò, Basiliola dispone soltanto delle sue armi di
donna, e in tutti i modi eccita il suo potere lussurioso
per avvincere a sé l'uomo odiato; finché, diventata
sacrilega amante anche del fratello di Marco, il vescovo
Sergio, li aizza a feroce battaglia in cui Sergio
soccombe. Liberatosi così dell'incanto mortale, Marco
parte alfine per conquistare la sognata gloria sul mare;
mentre la donna si sottrae a più umiliante castigo
uccidendosi, come Mila della Figlia
di Jorio, sulla simbolica fiamma. Tutti i peggiori difetti
del D'Annunzio sono adunati nei canori endecasillabi di
questa tragedia, sommersi in un'onda periodica ancora più
abbondevole, che predomina sul ritmo endecasillabo fino al
punto che l'ultima parola di singoli versi è talvolta
troncata in esplicita funzione del periodo sintattico
risultante da molti versi insieme; con una vacua
magniloquenza che inventa apposta e immagina occasioni di
esercitarsi nei discorsi di Marco, di Basiliola e di altri
al popolo, vera e propria oratoria. Tale magniloquenza si
esercita altresì sulle invenzioni, sulle immagini; specie
sul tema della Superfemmina, in continue amplificazioni
paragonata a Bibli, a Mirra, a Pasife, a Dàlila, a Iezabèl
e Hogla, alla dea dei misteri orgiastici, Diona. Il tema
della crudele voluttà, che le è innato, a forza di
gonfiare l'immaginazione crudele, dà luogo infine alla
scena quasi ridevole quando i prigionieri della Fossa Fuia,
tutti pazzi di lei, implorano di essere da lei, per
suprema voluttà, uccisi: e Basiliola si esalta
orrendamente nell'eseguire il comando. In questa scena
soprattutto, il senso di essere dinanzi a sentimenti di
cartapesta fa pensare alla gonfiezza floreale del
melodramma; opera che è davvero il trionfo del cattivo
gusto. Migliori accenti ha la debolezza del Superuomo
Marco, messo al punto, per raggiungere la gloria, di dover
liberarsi della donna di cui è schiavo. Quanto alla parte
eroica della tragedia, la missione navale di Marco, "Arma
la prora e salpa verso il Mondo", e così l'ode premessa al
volume, con l'altro verso non meno sonante e famoso, "Fa
di tutti gli Ocèani il Mare Nostro!". Anche del generico
incitamento imperialistico e marinaro può dirsi, come
dell'incitamento africano del Più che l'amore, che la
scarsa sua concretezza come parola poetica non gli toglie
di nascere da un sentimento, nel poeta, vero e sentito; e
poiché si trattava di eccitare la coscienza navale del
Paese, può comprovarlo il ricordo dei lontani articoli
marinari dell'Armata d'Italia, e delle Odi navali.
Dal dramma dannunziano Italo Montemezzi (1875-1952) trasse
un'opera musicale in tre atti: La Nave, rappresentata a
Milano nel 1918
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