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Raccolta di prose. Questo è il secondo manoscritto che lo
scrittore timido e misantropo consegnò a un editore. G.
attribuisce al castello (o "sischièl à Udin" per rifarsi a
una canzone degli alpini, corpo nel quale prestò servizio
nella prima guerra mondiale) il valore simbolico di
patria, di "amuleto dello spirito" e raccoglie in quest'opera
episodi che evidentemente erano stati annotati con
l'intenzione di concretizzare esperienze del cui peso
voleva liberarsi: "Tendo a una brutale deformazione dei
temi che il destino s'è creduto di proponermi come formate
cose ed obbietti: come paragrafi immoti della sapiente sua
legge. Umiliato dal destino, sacrificato alla inutilità,
nella bestialità corrotto, e però atterrito dalla vanità
vana del nulla, io, che di tutti li scrittori della Italia
antichi e moderni sono quello che più possiede di comodini
da notte, vorrò dipartirmi un giorno dalle sfiancate
séggiole dove m'ha collocato la sapienza e la virtù de'sapienti
e de'virtuosi, e, andando verso l'orrida solitudine mia,
levarò in lode di quelli quel canto, a che il mandolino
dell'anima, ben grattato, potrà dare bellezza nel ghigno".
I ricordi di G. sono legati soprattutto alla prima guerra
mondiale e alla sua prigionia in Germania (con Ugo Betti e
Bonaventura Tecchi); segue la descrizione di una crociera
che, attraverso il sud dell'Italia romano-ellenistico, lo
porterà fino a Tripoli e a Rodi. Il racconto è integrato
da diversi quadretti caleidoscopici: immagini di musicanti
all'aperto a Milano, una festa del vino a Marino, la
vecchia chiesa di Santa Maria in Trastevere a Roma,
l'improvvisa morte di un giovane su un treno. Nello sfondo
si intravede sempre il tormentato quesito sul
comportamento e sui rapporti degli uomini tra di loro.
L'assoluta sincerità nell'esporre il proprio pensiero
lascia intravedere il quadro di un mondo turbato; e questo
tormento viene posto crudamente in primo piano. Il
Castello di Udine, premiato col premio Bagutta nello
stesso anno della pubblicazione, affascina soprattutto per
il suo linguaggio: G. si avvale di espressioni tratte dal
linguaggio popolare contemporaneo, dai dialetti e dal
gergo e le fonde con preziose reminiscenze dell'umanesimo
(i critici notano particolari affinità fra Gadda e
Rabelais) in un conglomerato che, arricchito di ornamenti
sintattici, ha assunto nella letteratura una precisa
connotazione, al punto di essere definito "barocco
gaddiano" o "maccheronismo gaddiano".
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