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Saggio-pamphlet sul fascismo pubblicato nel 1967. L'opera,
di lunga gestazione come quasi tutte le opere di G.,
nacque nell'immediato dopoguerra, quando, sul filo di una
tenace memoria degli sdegni e dei rancori, G. aprì la
stura di una tumultuosa passione civile, diede sfogo a
fieri e lunatici risentimenti. Egli individuò in un Eros
scaduto a Priapo, vale a dire scaduto in uno sguaiato
esibizionismo narcisistico, in un furbo vellicamento delle
debolezze degli italiani, una componente, per lui forse la
componente maggiore, del fascismo, la ragione del suo
affermarsi e perdurare vent'anni, la causa di inevitabili
devastazioni, la grottesca sarabanda finita in
"obliterazione totale dei segni della vita". È difficile
catalogare quest'opera in una precisa categoria; lo
scritto appare diviso in due parti concepite sotto
l'impulso di due diversi stimoli. La prima parte è lo
sfogo dell'uomo malato "di dolore e di bile" di fronte
alla contemplazione dell'era fascista appena finita; la
seconda parte si raggela in un tono più manualistico e
meno umorale: "il rospaccio che ha oppilato lo stomaco" di
Gadda è stato espulso ed egli si accinge a esaminare
l'oggetto della sua collera e del suo sdegno con intenti
distaccati e "scientifici". Questa dicotomia dell'opera è
annunciata dal sottotitolo ("Da furore a cenere"), dove i
due termini indicano appunto i due momenti, quello del
fuoco devastante del furore e quello di una contemplazione
malinconica delle ceneri. Nella prima parte G. ricorre,
come stava facendo per Quer pasticciaccio, a tutte le
risorse della lingua, dal dialetto alle invenzioni
verbali, ai termini parascientifici, colti, popolari;
nella seconda parte prevale un fiorentino antico che
risponde all'intenzione di dare allo scritto (rigidamente
articolato con titoletti e capoversi) il tono di un
trattatello cinquecentesco. Basti poi confrontare la
chiusa lapidaria "Così, con infinita tristezza, diceva De
Madrigal" (cioè, G.) con l'inizio: "Li associati cui per
più d'un ventennio è venuto fatto di poter taglieggiare a
lor posta e coprir d'onta la Italia, e precipitarla
finalmente a quella ruina e in quell'abisso ove Dio
medesimo ha paura guatare..." Questo rapporto con il
barocco ha lasciato tracce profonde in Eros e Priapo: nel
fraseggio complicato che non si ripiega su se stesso, ma
prepara alla fine la stoccata fatale, la morsicatura
velenosa e più ancora nella ricorrente elencazione
processionale di nomi, di persone, di gruppi (si vedano
tra l'altro le decine di epiteti con cui viene designato
Mussolini). Il giudizio che Gadda dà qui del fascismo non
è dunque di un giudizio politico, ma moralistico, un
giudizio nel quale confluiscono diversissimi elementi di
derivazione personale: la sua concezione aristocratica
della storia si mescola a risentiti puntigli, a fastidi
"estetici", a sfoghi goliardici. Eros e Priapo sta a
dimostrare come Mussolini e il fascismo colpirono e fecero
vibrare ogni fibra dell'animo di G.: il timore e ribrezzo
per la rissa, la repulsione per la retorica, l'orrore per
la spacconata becera, il disgusto per il pressappochismo e
la menzogna elevati a metodo politico. Teresa Cremisi. |