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L'autore vi ha registrato, sotto forma di diario,
avvenimenti legati alla sua partecipazione alla prima
guerra mondiale. La prima parte ("Giornale di guerra per
l'anno 1916") è relativa ai mesi giugno-settembre e
riferisce con minuta attenzione l'esperienza del giovane
sottotenente che, nella logorante guerra di posizione,
misura se stesso nei confronti della realtà e degli ideali
che l'avevano spinto ad arruolarsi volontario. Il
confronto risulta comunque deludente: la guerra sembra
negargli ogni speranza di gloria, mentre la "routine"
della vita militare ne acuisce le incertezze e le
frustrazioni. Nasce di qui l'isolamento dello scrittore,
che risulta in ultima analisi l'unico protagonista di
queste pagine. Si tratta, beninteso, di un protagonista
negativo, di un eroe la cui crisi è tutta nelle
idiosincrasie del carattere e del comportamento.
L'incapacità di adattarsi a un rapporto con gli altri, di
condividerne le ragioni dell'esistenza quotidiana,
determina gli sfoghi e i malumori, sia contro i soldati
insofferenti dell'ordine e della disciplina, sia contro
gli ufficiali inadatti al loro compito, gretti e meschini.
L'oggetto dell'amore si rovescia così nel suo opposto,
risolvendosi nel sarcasmo e nella violenta invettiva. La
nevrosi gaddiana scopre le contraddizioni di una
lacerazione viscerale i cui impulsi divisi determinano
pure le reazioni verso i parenti lontani: di nostalgico
affetto o di risentimento stizzoso. L'ossessione
dell'ordine, un moralismo pignolo, perfezionistico e
maniacale, sottolineano la frattura fra l'ideale retorico
di un astratto dovere e la realtà, ponendo a nudo la
miseria dell'uomo in una guerra senza eroi. E la frattura
viene esacerbata dall'insicurezza di Gadda, dai suoi
complessi di inferiorità, dai sensi di colpa, da un
desiderio di azione al quale corrisponde l'effettiva
incapacità di imporsi agli stessi subalterni, rendendo
vana ogni possibilità di riscatto. Ma la sconfitta
dell'uomo finisce per coincidere, a ben vedere, con la
salvezza dello scrittore, che conduce qui a un decisivo
punto di rottura, lo sforzo di accettare l'universo ideale
dei valori esistenti. La speranza di una salvezza che
derivi dalla razionalità e dall'ordine è data da una
scrittura analitica, che giunge a fornire i più minuti
resoconti, tornando spesso, a distanza di pagine,
sull'inesattezza di un particolare o di un nome. Ma questo
controllo formale sulla realtà, che deve garantire la
coscienza del dovere compiuto, è scosso alle radici dalle
violente tensioni psicologiche, che lasciano intravedere
il successivo sprigionarsi delle energie represse,
l'accettazione del caos e la sua vittoria sull'ordine. Per
il momento, tuttavia, la direzione è segnata da un
esacerbarsi delle lacerazioni individuali. Le pagine della
seconda parte ("Diario di prigionia") vanno dal maggio al
novembre 1918, e si riferiscono agli ultimi mesi di
prigionia trascorsi a Celle Lager, nell'Hannover. La
cattura di Gadda, durante la rotta di Caporetto, pone
bruscamente termine alle speranze riposte nella guerra e
approfondisce, in senso esistenziale, una "cognizione del
dolore" che appare oramai come il segno ineliminabile di
una persecuzione crudele. Lo ossessiona l'idea di non aver
fatto nulla per la patria, di non essersi riscattato nei
confronti degli altri; la coscienza acuta di questa colpa
lo allontana anche dagli amici, in un abbandono fatto di
sconforti, di atonie, di crisi depressive. Né il ritorno
in patria, narrato nell'ultima parte, è motivo di
consolazione; la notizia della morte del fratello, caduto
combattendo, ripropone, esacerbandoli, i nodi insoluti di
un dramma psicologico e familiare. In una seconda edizione
dell'opera (1965), è stato aggiunto un inedito taccuino
del 1915, "Giornale di campagna", dove è possibile
reperire, sia pure a un livello di esercitazione
goliardica, un primo esempio significativo di "pastiche"
gaddiano. |