Letteratura italiana: Gadda

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Parliamo di

  Letteratura italiana del Novecento opere di GADDA
Commento critico
Giuseppe Zaccaria

 


Il primo libro delle favole
 

Opera pubblicata nel 1952. Contiene circa duecento "favole", nell'accezione del termine indicata dall'autore: "picciole fave o vero minimissime favuzze o faville d'un foco sopr'a duo rocchietti stento e d'una manata di stipa"; "nugae ove non è Francia né Spagna, né coturno tragico né penziere eccelso di filosafo". Si tratta di apologhi o scherzi, riduzioni o rielaborazioni di elementi del repertorio favolistico cui segue un'ironica o caustica morale. Talvolta, ancora, è un gioco di parole, che cela, attraverso sottili allusioni, gli umori bizzarri e paradossali dello scrittore. La polemica riguarda illustri personaggi della tradizione e aspetti del costume comune, coinvolgendone i miti in un processo di smascheramento parodico e beffardo. Si vedano i riferimenti al Carducci, esponente, con il Foscolo, di una categoria - quella del poeta vate - insopportabile all'autore; o l'ironia che colpisce la storia, nelle figure dei suoi grandi eroi e conquistatori: "Gli ufficiali del generale Bonaparte incontrarono le posate d'argento di casa Melzi, Serbelloni, e Belgioioso. Se le dimenticarono in tasca". Riaffiorano, altrove, i ricordi della guerra, con le immagini di una struggente pietà ("Il cavallo, mandato nel Carso, traeva una carretta bene leggera al ritorno, tutto affidatosi al giurare della Notte. Ma la spergiura Notte gli mancò la parola: e la fascia del mattino che guarda era già sul Veliki. Nati dal cielo del mattino fiori atroci, i latrati delle folgori. / Agonizzava tra infinite budella, chiedendo perché, perché"), o nei risvolti di un'acre e risentita denuncia. Fino allo scoraggiamento, non privo di sarcasmo: "Morire per la patria è cosa dolce e onorevole: infatti alcuni sono morti per la patria immortale: e altri, a guardarla dalle tignole, è bisognato vivessero. Questa favoletta ne dice: il morto giace, il vivo si dà pace". Dalla sfiducia nella possibilità di andare al di là di una testimonianza di sdegno per mutare in concreto la realtà nasce l'estrema distanza dalla favola classica, da Esopo e La Fontaine, di cui l'autore riprende talora spunti e situazioni per capovolgerne i significati, rifiutando l'esemplarità dei luoghi comuni. Sul piano strutturale G. giunge, dall'interno, a una distruzione del genere letterario, deformandolo nei suoi connotati istituzionali e piegandolo a una più ampia possibilità di variazioni combinatorie e stilistiche: dalla satira all'invettiva, dal gioco allo scherno. La forma prevalente risulta così quella del frammento, spesso cifrato secondo gli oscuri codici di una moralità analogica. In essa trovano spazio gli umori e i risentimenti personali, i ricordi d'infanzia e i dati della situazione contemporanea, in cui l'invenzione linguistica - sulla base di un fiorentino arcaico - rinnova, pur richiamandolo, il moralismo ironico e satirico di una tradizione prettamente lombarda: di un Porta, di un Parini, di un Manzoni. La parola, allora, prevarica sulle cose e le violenta, come nel lungo catalogo di termini dialettali e plebei con cui Gadda "traduce" il linguaggio degli usignoli, contro le versioni idillico-sentimentali di un romanticismo arcadico e sdolcinato, contro le interpretazioni edificanti e predicatorie. Nella "Nota bibliografica" che segue la raccolta, Gadda ripercorre la vicenda editoriale dei testi, già pubblicati a gruppi, negli anni 1939 e 1940, su "Il Tesoretto", "Campo di Marte", "Corrente". Tale vicenda è tuttavia ritrascritta sulla falsariga di un "pastiche" inventivo che, sovrapponendosi alla minuziosa ricostruzione (dal concepimento dell'opera a "Panettopoli", ossia a Milano, sino alla definitiva edizione in volume del Neri Pozza, "ch'è stampatore in Vinegia", con i disegni di Mirko Vucetich), finisce per presentarsi come un esempio autonomo dello stile gaddiano.

 

Luigi De Bellis