Parliamo di |
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Letteratura italiana del Novecento |
Autore
della critica |
Adriano
Bon |
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Auto da
fe. Cronache in due tempi |
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Raccolta saggistica
pubblicata nel 1966; degli scritti, che coprono un arco di
tempo più che ventennale, alcuni compariranno anche nel
successivo volume Nel nostro tempo, del 1972. I vari
pezzi, anche se nati in diverse occasioni e mossi a volte
dar ragioni recensorie, risultano però formare un corpus
dalle profonde concordanze, tanto da fornire pur nella
sostanziale frammentarietà una precisa ipotesi
dell'ideologia montaliana; "l'ideologia, s'intende - ha
scritto il critico Salinari - come di solito si presenta
in un poeta: non organica concezione del mondo, ma
complesso di reazioni di fronte ai fatti e alle idee, che
ha una sua unità e coerenza sia pure fondata su elementi
di gusto o su posizioni morali o su insorgenze di
temperamento". Nel continuo confronto tra un io
indipendente e il proprio tempo, la storia è sottoposta a
"quella seconda vista dell'arte che è sempre
discriminatoria e non può prescindere dal senso del bene e
del male": in questa direzione si può parlare di un
Montale originale saggista e moralista che, sul modello di
Alain (significativamente citato in campo estetico nel
brano "La macchina della gloria"), riprende la forma del
propos, a metà strada fra la prosa d'arte e il trafiletto
giornalistico, portandolo a un notevole livello di
acutezza e di concisione. E in questo senso di viva
accettazione del confronto vigile con la propria epoca,
vanno intesi i continui "distinguo" del poeta, che non
vuole essere confuso coi "balordi laudatori del tempo
passato", "che vorrebbero abolire l'industria, la
istruzione obbligatoria e il suffragio universale". E se
la parte prima raccoglie l'urgenza civile degli scritti
fiorentini de "Il Mondo" negli anni della Resistenza e
immediatamente postbellici, già vi si avverte un costante
riferimento di ogni aspetto del vivere a un superiore
concetto di civiltà: così, nella parte seconda, la più
ricca del libro, difficile riesce separare il disquisire
puramente estetico dal "trascorrere la tastiera di una
immensa dialettica morale", che coglie impietosamente ma
senza intima soddisfazione gli aspetti aberranti di "una
civiltà che, portata da un tapis roulant, crede di
camminare davvero". Se però gli argomenti a difesa
dell'umanesimo e della misura umana vengono ripresi e
variati in una fitta rete di rimandi ("Il mondo della
noia", "Quelli che restano", "L'albero dell'arte" sino ad
alcuni dei "Francobolli" - dirgli articoli, cioè, scritti
per il "Corriere della Sera" - che formano l'ultima
sezione del libro) è proprio negli interventi più legati
al discorso sull'arte che è possibile rinvenire forti
concordanze tematiche con l'opera poetica di M.
Soprattutto in rapporto al volume di versi di poco
posteriore, Satura, sarà possibile cogliere suggestioni
tutt'altro che occasionali. Già l'affermazione che
"probabilmente le idee di aperto e di chiuso, di
permanenza e di fluidità, anziché escludersi si integrano
in un modo a noi incomprensibile", rientra in una visione
del mondo sottesa a tutta la poetica montaliana, ma
esplicitata soprattutto in Satura, dove anche saranno
ripresi i riferimenti al "pensiero di Hölderlin, che
credeva all'esistenza di divinità terrestri, viventi in
incognito tra di noi", e alle "escogitazioni
parascientifiche del paleontologo Teilhard de Chardin",
elette qui a riassumere posizioni antagonistiche a quelle
montaliane. Ed è possibile indicare almeno due "talismani"
che, citati qui di scorcio, riappariranno nei versi degli
"Xenia": il grillo di Strasburgo e il corno metallico
dimenticato "nel cuore della laguna". Ma ben oltre simili
figure mitiche della memoria, nei maggiori tra gli
articoli raccolti M. si concede precisi e puntuali
interventi in campo critico. Reciso, e conseguente alla
visione del mondo del poeta, il rifiuto di quella critica
che teorizza l'impossibilità di un giudizio estetico
trascendente il semplice gusto individuale; salda la
fiducia nella possibilità di un motivato giudizio di
valore; viva la simpatia per una critica che sia anche
"itinerario di un'aruma" (Montale
fa i nomi di Du Bos e Curtius); decisa la polemica con la
prospettiva letteraria astorica e atemporale imperante, al
cui proposito, preso atto che "i poeti seguono una poetica
che nega il tempo e la storia", Montale
osserva "che il chiarito concetto dell'arte ch'è proprio
del mondo moderno coincide con una crisi di quello stesso
storicismo che l'ha resa possibile". Garbata ma non meno
diretta la polemica con i critici che si limitano a essere
metodologi della nuova arte. E ai metodologi dell'opera
aperta: "Vorrei poi chiedere... se un'opera priva di
intenzioni nel senso che le ha tutte, tutte le possibili,
sia veramente un'opera intenzionata". Osservazioni avvolte
in quella particolare e depistante ironia propria a Montale,
sì che di fronte a "questo vuoto che sta diventando un
tutto", il poeta conserva secondo Piovene un "ottimismo
taciuto e fondamentale", mentre per Contini queste pagine
costituiscono uno "sfogo di amarezza circa la supposta
fine della poesia, e dell'arte in genere, su uno sfondo,
nonostante l'ironia, apocalittico". Ma più di ogni altra
definizione valgano le parole che M. stesso scrisse, in
altro luogo, per un altro poeta, René Char: "Si potrebbe
dirlo un pessimista se il suo non fosse un pessimismo che
rivela una fede profonda, oscura forse a lui stesso, forse
la sola fede possibile a un uomo d'oggi". |
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