Letteratura italiana: Opere di Montale

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Parliamo di

  Letteratura italiana del Novecento
Autore della critica
Adriano Bon

 


Ossi di seppia
 

Raccolta di poesie, la cui prima edizione, dedicata ad A. Grande, fu pubblicata nel 1925 da P. Gobetti. Aggiunte ed esclusioni nelle ristampe successive, che presentano anche varianti d'ordine e di lezione; con l'edizione del 1942 si stabilisce il testo definitivo, in otto sezioni principali, che vede soppresse le dediche e l'introduzione di A. Gargiulo. Sin dal loro primo apparire, le poesie di Ossi di seppia colpirono critici e lettori nella duplice direzione dello stile e del disegno unitario. La lingua poetica montaliana, infatti, "attraversava" l'esperienza dannunziana arricchendo con formidabile sintesi i suggerimenti strutturali offerti dai poeti promotori della nuova oggettività novecentesca, da G. Gozzano a C. Sbarbaro: nel calibrato oscillare dal tono di confidenza decadentista a quello "positivamente gnomico-famigliare di fondo" (S. Forti), era già rinvenibile "il primo avvio a quel gusto scabro, "vetrino" della parola" (S. Solmi) che in parte avvicina il primo Montale ai coevi poeti liguri: C. Roccatagliata Ceccardi, G. Boine, C. Sbarbaro. Ai Frammenti di Ceccardi, ai Trucioli, del resto, rimandava lo stesso titolo della raccolta che, come accadrà per altri volumi -poetici e no - di Montale, si struttura secondo un preciso disegno tracciato a posteriori. Già i versi posti "in limine" sono più che un'indicazione di lettura; vera e propria dichiarazione di poetica di un sistema dove - e gli anni lo confermeranno - tutto si completa, con quell'invito a cercare "una maglia rotta nella rete / che ci stringe", a dichiarare l'influsso dei contingentisti francesi sulla filosofia dell'esistenza di Montale E "I limoni", poesia che apre la prima sezione del libro, pur sottolineando un'idea cara a Montale ("lo stile ci verrà dal buon costume...") rappresenta già uno di quei privilegiati momenti di pura visione e conoscenza da cui sovente scaturiscono gli equivalenti lirici del poeta. Vi si delinea inoltre il sistema metrico caro a Montale, dove, se spesso il verso può essere letto sia seguendo la traccia delle rime finali sia ristrutturandolo secondo i suggerimenti delle rimalmezzo, già definita è la partizione in strofe "corrispondenti ad altrettanti momenti o stazioni, in sé organici, dell'articolazione ragionativa" (P.V. Mengaldo). Articolazione ragionativa che presuppone sin d'ora un interlocutore, anche se qui raramente individuato ovvero sottilmente trasportato ("Falsetto"); tensione che avrà ricco sviluppo nella serie di ispiratrici di gran parte della successiva poesia di Montale Ed è attraverso parole determinate, ora d'uso ora iperculte, che fiorisce il momento lirico là dove "il discorso si colora facilmente di tutti gli umori e le disposizioni sentimentali ricorrenti lungo il filo logico" (G. Contini). Scatto lirico che fonde "motivi" psicologici e "motivi" poetici in una direzione che Contini chiamò "distruzione del presente" e che già aveva fatto dire a E. Cecchi che nel libro "tutto si svolgeva sotto un velo di allucinazione". Lo stesso Montale, presentando in Svezia le sue poesie, sottolineò come la Liguria della sua infanzia avesse "questa bellezza scarna, scabra, allucinante"; e aggiunse: "Per istinto io tentai un verso che aderisse ad ogni fibra di quel suolo". Restano così nella memoria lampi d'immagini - la giovinetta palma, i botri arsi, gli stocchi d'erbaspada - fermi nella luce fuor di durata del meriggio, ora topica del libro, quando "scolpita nel metallo, e però "fulminata", la natura offre un mondo fisso, definitivo" (Contini): dove si evidenzia la tensione tra poeta e oggetto, sottolineata dalla folta nominazione che corrisponde alla "velleità di esercitare la conoscenza del mondo" (Contini). Ed è nella concordanza tra punto di vista e linguaggio poetico, tra azione poetica e commento, che il ritmo trascorre mirabilmente tra discorso e ricordi, asserzioni e parentesi, dove spesso il serrato ripensamento logico si risolve in immagine correlativa: "Con questa gioia precipita / dal chiuso vallotto alla spiaggia / la spersa pavoncella". Circoscrizione a un simbolo preciso ma soggettivo, che riconferma l'importanza essenziale dell'accensione lirica come ritmo in cui trascorrono i due momenti dialettici che sin da "I limoni", appunto, si pongono come poli di una poesia modulata sull'attimo privilegiato, vissuto nell'incontro tra un accadimento fisico e la memoria del passato, ovvero "nel ripensamento d'un luogo perduto e misterioso" (Contini), quella dimensione "altra" cui alludono costantemente la sintassi scarnificata e la trasparenza del dettato poetico. In questo senso, la sezione centrale della raccolta - "Ossi di seppia" - non si pone a cerniera tra le altre parti, ma è nucleo irradiante di motivi risolti nell'icasticità delle immagini, nel susseguirsi degli epifonemi per negazione, e che sono il precipitato di una particolarissima "forma mentis" filosofica. Sarà dunque, più che nei dati esterni, anche se felici, del paesaggio ligure o del mare-padre di "Mediterraneo", sarà in questo necessario intrecciarsi di teorie filosofiche divenute materia esistenziale ("il punto morto del mondo, l'anello che non tiene" dei "Limoni", "il fatto che non era necessario" di "Crisalide", "la piccola stortura / d'una leva" di "A vortice s'abbatte") con un "folto d'anime e di voci", sarà in quest'incontro suscitante il momento poetico rivelatore che si potrà riconoscere il principale punto di forza della poesia di Montale, la chiave della costellazione d'armoniche dell'opera successiva. Ossi di seppia è nutrita, nelle strutture linguistiche e nel ricorrere dei simboli, della più alta tradizione poetica italiana, con risultati di "polivalenza metaforica, dove è giusto intuire tenaci relazioni con esperienze e sensibilità fondamentali nel nostro secolo" (G. Ferrata). È un lirismo cosmico che non può che liberare da sé i suoi propri sviluppi: "È ora di lasciare il canneto / stento che pare s'addorma / e di guardare le forme / della vita che si sgretola". È il necessario progredire di una stagione non solo poetica e ben lo avverte la critica quando vede in "Mediterraneo" e "Riviere" rendiconti parziali, precoci sintesi, indicando il vero sviluppo in alcune poesie della serie "Meriggi e ombre". "Evidente, nelle poesie di questo gruppo, è il dato della sistemazione rammemorativa di una certa materia e della ricerca di esiti diversi da quelli fulminanti degli Ossi; della messa in opera di più numerosi e articolati strumenti per far durare il canto e l'evocazione" (Forti). È una ricerca ora più oggettiva che soggettiva, il cui "nucleo è ancora lo stesso del nodo pietroso delle dichiarazioni e delle attive negazioni di Montale, del suo calcinato consistere e tardare, della sua codificata non decisione" (Forti). Ed è non a caso in "Arsenio", centrale alla sezione e, per data di composizione, tra le conclusive dell'intera esperienza del libro, che "il segno d'un'altra orbita" si proietta, nell'intenso recitativo e nello slancio della consistenza metaforica dei rapporti tra fenomeni e oggetti, oltre quella "cenere degli astri" decisiva a suscitare prossimi, tenaci, purgatoriali "barlumi" delle Occasioni.

 

Luigi De Bellis