Parliamo di |
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Letteratura italiana del Novecento |
Autore
della critica |
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Uno
Xenion e due sature |
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Dopo anni di silenzio
Montale inaugura una nuova e feconda fase poetica che ha
il suo primo atto nella raccolta Satura del 1971 (testi
degli anni 1962-1970). È una svolta caratterizzata
soprattutto dall'abbassamento dello stile e del tono, che
diventano decisamente prosastici e colloquiali. Montale da
un lato si mostra incline a trattare le memorie private,
sostituendo alle donne simboliche delle precedenti
raccolte la figura della Mosca, la moglie morta nel 1963
(nei due cicli degli Xenia, in greco «doni offerti agli
amici e agli ospiti», dedicati a lei), e dall'altro ora
riapre la riflessione poetica sui propri temi di sempre,
affrontati con accenti sempre più scettici, ora si impegna
a satireggiare, tra ironico e sarcastico, i miti e gli
pseudo-valori del proprio tempo, specie nei due cicli di
Satura (termine latino che originariamente designava un
"[piatto] ricolmo di vari cibi" e poi era passato a
designare un genere letterario che trattava vari argomenti
in vari metri) e poi nelle successive raccolte.
I componimenti testimoniano tre diversi atteggiamenti
dell'ultimo Montale. Ho sceso dandoti il braccio è la
commossa e affettuosa rievocazione della moglie morta,
negli Xenia via via ricordata in piccoli atti, gesti,
avvenimenti memorabili solo per la storia privata
dell'uomo Montale (cioè non più simbolici). La
consuetudine di vita con la Mosca è tragicamente
interrotta e il poeta, con pudico riserbo e in tono
dimesso per mascherare un dolore che non può e non vuole
cantare da "poeta laureato", ne lamenta l'assenza per lui
catastrofica (in un altro xenion un improbabile signor Cap,
messo al corrente della notizia, «resta imbambolato,
/sembra che sia una catastrofe anche per lui»). Ma, in
questa prospettiva non più simbolica e tanto più
prosastica, Montale rinnova forme e moduli della sua
precedente lirica: il colloquio con le ombre, l'appello a
una donna non "salvifica" come Clizia, ma essenziale per
il suo precario equilibrio di uomo nel mondo.
Il raschino, come ha scritto lo Scarpati, « è una satira
della felicità, del progresso, dei nuovi entusiasmi del
consumismo liberatore che il potere economico e i suoi
messaggeri, i mass media, propugnano. Montale ne coglie la
sostanza nell'abolizione fittizia del senso della
contraddizione, del pungolo del pensiero, e nella
mostruosa eliminazione del pianto che ci riduce a
grotteschi forzati del riso». È un Montale che attraverso
la satira degli idoli del mondo contemporaneo prosegue la
propria funzione di coscienza critica del proprio tempo.
Qui e là è una ironica ripresa dei propri personali miti
poetici (il problema dell'esistenza, di una varco
salvifico di qualsiasi natura, la proiezione verso
universi metafisici) e al tempo stesso una prosecuzione,
ora scettica e disincantata, della riflessione che,
oggettivata in quei miti, lo aveva impegnato. Nessuna
certezza, nessuna speranza è possibile: tutto per noi si
riduce al qui, ad una recita di cui non conosciamo l'atto
finale, mentre il là (varco, liberazione, felicità,
realizzazione, giustificazione metafisica) è solo
un'ipotesi del pensiero.
Sulla mutata nozione di poesia nel Montale di Satura
proponiamo un giudizio di Pier Vincenzo Mengaldo:
In realtà lo stretto legame, anche talvolta di tono, con
l'attività di pubblicista dice molto sulla fisionomia di
Satura e sulla poetica che la regge. All'origine del
taglio narrativo, diaristico, quotidiano, prosaico anche
del libro sta anzitutto, se non erro, una mutata
concezione della poesia stessa. Fino alla Bufera inclusa
continuava in sostanza ad agire in Montale, con
l'originalità e l'accento suoi propri, un'idea della
poesia, per quanto declinata razionalisticamente, come
folgorazione numinosa, come strumento rivelatore di
verità, e sia pure una vérité noire per dirla con Fortini
(istruttiva, nonostante il caso-limite, la dichiarazione
medianica a proposito di Iride), che si collocava pur
sempre nel solco della grande tradizione simbolistica e
decadente, se non già del maggiore romanticismo orfico: lo
scatto imprevedibile della memoria agnitiva,
l'illuminazione a lampi e come miracolosa di oggetti
provvidenziali ne era un sintomo pertinente, e la stessa
eclisse della persona privata del poeta nell'estraniazione
dell'oggetto poetico era altrettanto un segno della nuova
assunzione di umiltà del lirico postdannunziano quanto di
questa implicita nozione trascendente della poesia. In
Satura si fa strada una diversa e più relativistica
concezione della poesia come strumento quotidiano e quasi
immediato, valido accanto ad altri, di osservazione e
riflessione: da cui, subito, l'emergere in filigrana della
figura privata del produttore di versi. Le stesse
enunciazioni di La poesia, 2 ("Ma non è certo che la
troppo muta / basti a se stessa / o al trovarobe che in
lei è inciampato / senza sapere di esserne / l'autore")
non testimoniano tanto per un'idea trascendente quanto
aleatoria della poesia, e riflettono quell'atteggiamento
mutato del poeta verso i propri prodotti di cui stiamo
discorrendo. |
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