Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano Giovanni Pascoli |
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Arano |
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La lirica, come tante altre di Myricae,
trae spunto dalla vita dei campi: qui, l'aratura
autunnale. Ma il paesaggio e il lavoro degli uomini sono
immersi in un clima, in un' "aura particolare, e ciò che
si sarebbe potuto risolvere in un semplice e scontato
bozzetto dì maniera realistica diventa espressione di uno
stato d'animo, di un sentimento del vivere segnati di
intensa malinconia.
Richiamiamo l'attenzione su un aspetto fondamentale di
Myricae: la frantumazione, l'atomizzazione
dell'endecasillabo tradizionale, ottenuta non tanto con il
frequente ricorso all'enjamblement (elemento, questo, non
nuovo nella poesia italiana) quanto con la spezzatura
sintattica, cioè con un andamento paratattico che comporta
l'accostamento di brevissimi enunciati (vv. 4-6)
fortemente staccali l'uno dall'altro, e con l'insistente
punteggiatura (un caso limite è il v. 9; «e il
pettirosso»).
Sulla stupita, assorta staticità che con queste tecniche
il poeta riesce a creare ha scritto Giacomo Debenedetti:
Ma la la terzina che noi vorremmo isolare, quella dove si
afferma singolare e tutta nuova l'originalità pascoliana è
la seconda:
arano: a lente grida, uno le
lente vacche spinge; altri semina; un ribatte le porche
con sua marra paziente.
Troveremo altrove pitture ottenute con la stessa grafia,
questo disegno piuttosto statico che dinamico, e i valori
determinati piuttosto col chiaroscuro che col colore; il
quale, semmai, è colore senza colore, senza vivacità
cromatica di tinte vistose, impastato su una tavolozza di
gamme sull'ocra e sul bruno - quei colori che i pittori
chiamano «terre». Troveremo altri quadri e composizioni
analoghi: si tratta di un modo di visione tipico del
Pascoli, e che cercheremo di precisare, quando avremo
raccolto altri esempi. La Benedetti cita questa terzina a
mostrare come la poesia Arano sia «una visione infinita in
cui le persone si muovono con un ritmo eternamente uguale,
come di sonnambule» a cui si contrappone il pettirosso che
«dalla siepe, nell'immensità silenziosa» innalza, «primo
di una innumerevole serie di uccelli pascoliani»,
il suo sottil tintinno come
d'oro.
Alla base del commento della Benedetti c'è una percezione
giusta, che ci sembra risulti un po' tradita dal modo
com'è espressa. Più che l'impressione di sonnambuli, quei
contadini che nell'immensità silenziosa si muoverebbero
con ritmo eternamente uguale, creano una visione
miracolosamente stupita, perché quel loro muoversi genera
il senso di una trasecolata, vastissima immobilità. E la
vastità è ottenuta con figure minute, da scena fiamminga:
e quelle figure, quantunque presentate con tratti sommari,
essenziali ci paiono vedute, osservate in
proporzioni minori del vero con un binocolo rovesciato. E
infine uno grida, e uno batte con la marra; l'aria è piena
di voci e di rumori, eppure il senso è di silenzio, quei
suoni si rapprendono nell'atmosfera come se un cristallo
si frapponesse fra noi e quella scena, o uno strato d'aria
non conduttrice di suoni. Quelle voci e rumori ci pare di
vederli, piuttosto che di sentirli, come se invece di
propagarsi, rimanessero scritti nei gesti dei contadini.
E ancora si potrebbe osservare che la composizione del
quadro è raggiunta attraverso notazioni staccate, slegate,
come colte casualmente a grande distanza una dall'altra:
distanza che è segnata anche dalle forti pause che cadono
tra l'una e l'altra: arano... uno le lente vacche
spinge... altri semina... (uno... altri... poi di nuovo
uno...). Per trascrivere quelle distanze, ci pare che in
prosa non avremmo che gli odiosi punti di sospensione. Ma
il Pascoli, che scrive in versi, non ne ha davvero
bisogno. Ha frantumato al massimo slegata la sintassi; ha
preso a martellate ogni complessità del periodo, ottenuto
proposizioni elementari, soggetto, predicato: un predicato
scarno che segna l'azione senza colorirla, né muoverla,
insomma si comporta come un predicato di esistenza. Poi
dispone quei frantumi come schegge irte, asciutte;
orientate a contrariare l'andamento, la fluidità del
verso, quasi a risalirla all'indietro, in senso opposto a
quello che la attira verso la cadenza. In lingua povera,
pare che le singole notazioni, cioè le singole frasi diano
il contropelo al verso.
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