Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano Giovanni Pascoli |
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Calypso |
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L'ultimo viaggio è
il più ampio dei Poemi conviviali, un vero e proprio
poemetto in ventiquattro canti brevi. «L'ordito è quello
dell'Odissea: Ulisse ripercorre le varie tappe del suo
lungo errare, a risognare il suo sogno giovanile, ma
invano: a ogni tappa e Circe e il Ciclope e le Sirene si
scoprono come illusioni dei sensi; col naufragio dinanzi
all'isola di Calypso si spegne il suo sogno estremo».
Non dovrebbe essere difficile, ci sembra, cogliere le
differenze di risultati poetici fra le altre liriche di
Pascoli dei Poemi conviviali. I quali, in gran parte,
nascono dalla suggestione di memorie storiche e di
realizzazioni poetiche del mondo classico. Nel caso
specifico de L'ultimo viaggio, l'opera a cui il Pascoli
guarda con ammirazione ed amore è l'Odissea (ne tradusse
ampi stralci): il poema nasce quindi come un testo che ne
sottintende uno precedente, come una operazione poetica
riflessa, vale a dire poesia sulla poesia. Pascoli rifà
Omero, con un endecasillabo cui la frequenza degli
enjambements conferisce solennità epica, con la ricchezza
dell'aggettivazione («pampinea vite», «odoriferi
cipressi», «olezzante cedro»), col ricorso alla
ripetizione di uno stilema fisso (le «garrule cornacchie»
dei vv. 8 e 14), col gusto della descrizione
particolareggiata (che ha talvolta, ci sembra,
compiacimenti di gusto liberty: v. 38-39, «
e sopra l'uomo un tralcio /
pendea con lunghi grappoli delI'uve» ; v.
49-50, «Ed ella avvolse l'uomo
nella nube / dei suoi capelli»).
Ha messo bene in luce la componente di scaltrita
letteratura, di preziosismo, di alessandrinismo che domina
i Poemi conviviali, Domenico Petrini (1902-31), che nel
1955 il Contini definiva «il miglior interprete del
Pascoli». Ne riportiamo qualche osservazione.
Nient'altro nei Conviviali, oltre questa esteriorità
preziosa. Per intenderli bisogna guardarli così: poesia
raffinata di letterato che s'incanta dell'antico con
l'illusione di riviverlo nella sua anima risentendone più
d'avvicino le forme. Con un gusto che è schiettamente
prezioso: il nome, la parola sono selezionati con cura,
attraverso il realistico arrivandosi al raro.
Guardiamo L'Ultimo viaggio di Ulisse. Una piccola
"Odissea" in cui continui sono gli echi della poesia
omerica, della poesia omerica rifatta italiana da Pascoli.
Minuziosa la ricerca del termine tecnico, e minuziosamente
accertata: pedagna, scassa, mastra, righino, drizze,
caviglie, briglie, scalmi, stroppo, bracci; timone, remo,
alleggio, stiva, doghe, canapi, barra, vele, scotte, remi,
scalmiere, sartie, stragli, pece, scalmi, stroppi, pale,
carena, gomene...
Il particolare non sa sottomettersi in questa poesia, al
motivo centrale, ma l'accompagna, come estraneo, con
l'inevitabile conclusione di disperderlo in una serie di
visioni frammentarie. Tutto il valore dell'opera è nella
costruzione della parola: qui passa in secondo piano
l'ispirazione volutamente morale, e si scopre nella sua
verità e nella sua pienezza l'amore delle forme raffinate:
lavoro su materia che preesiste alla creazione del poeta e
in cui tutto è lasciato al travaglio formale dell'artista.
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