Questa lirica è collegata ad un ricordo
di collegio della sorella Maria, la quale aveva raccontato
al poeta che un giorno la Madre maestra aveva vietato alle
allieve di avvicInarsi ad un fiore in un angolo del
giardino perché il suo profumo era velenoso. L'episodio
biografico fornisce al Pascoli lo spunto per intessere una
complessa trama simbolica: due amiche rievocano la loro
vita di collegio e i loro turbamenti adolescenziali; e
quel fiore (la digitale purpurea appunto) assume al
significato di tentazione, attrazione-timore del proibito,
colpa. Il rapporto simbolico fiore = eros è d'altra parte
presente altre volte in Pascoli (ad esempio nel Gelsomino
notturno) e rientra nel gusto liberty. Ma, come è noto,
Pascoli si accosta alla tematica amorosa con un
atteggiamento non esente da ambivalenza e senso di colpa.
La lirica fu inclusa nei Primi poemetti (ed. 1904).
Il tema di fondo che percorre questo componimento è da
ricondurre alla sensibilità, alla personalità dei Pascoli
e a specifiche esperienze biografiche; lo si potrebbe
definire l'ambiguo e morboso atteggiamento - fatto di
attrazione e repulsione insieme - di fronte all'eros
(presente anche nel Gelsomino notturno). A questo dato
specifico della personalità del poeta va aggiunta anche la
(per lui) traumatica esperienza del matrimonio della
sorella Ida, adombrata qui nel personaggio di Rachele,
mentre la fedele sorella Maria conserva nella
rappresentazione poetica «esile e
bionda, semplice di vesti / e di sguardi» (vv.
2-3) - il suo nome reale.
Scrive a questo
proposito Mario Tropea:
Naturalmente [dell'esperienza erotica] non può essere.
protagonista Maria (la "sorella buona" della realtà, qui
trasfigurata nel poemetto), ma un'immagine speculare e
complementare di lei, cioè Rachele nella quale, date le
morbose ambivalenze della poesia e della vita affettiva di
Pascoli, non sembra improbabile scorgere l'immagine
dell'altra sorella Ida, che sposandosi aveva affrontato
quell'esperienza per così dire traumatizzante per Mariù e
Giovanni, esperienza assimilata quindi nell'inconscio alla
voluttà, alla violazione e pertanto aborrita, ma pure
attraente, qui per altro verso rimossa come esperienza di
morte, come espiazione, punizione di chi aveva tradito
l'unità del "nido" domestico (la documentazione del
morboso turbamento causato in Pascoli dallo sposalizio di
Ida si trova nelle lettere inviate a Mariù in questo
periodo).
Ma nello stesso momento in cui forniamo queste
indicazioni, ci sembra necessario ricordare che bisogna
guardarsi dai troppo meccanici rapporti fra vicenda
privata e trascrizione poetica: è alle modalità poetiche
che bisogna prestare attenzione. In tale ambito ci
limitiamo a sottolineare anzitutto la dimensione narrativa
che distingue i Poemetti rispetto alle Myricae. In questo
componimento tale dimensione narrativa si esplica su
diversi piani: racconto, dialogo, rievocazione. Non può
sfuggire, fra l'altro, la calcolata struttura del
poemetto, nel quale fra la prima e la terza parte per così
dire si incunea la seconda, che con la descrizione
dell'ambiente , del clima conventuale - quel "sentore" di
innocenza ma anche di mistero... - in certo qual modo
"ritarda", con inquietante sospensione, la scoperta del
proibito.
Sul piano metrico sussiste anche in questo caso la
«compresenza di due diversi piani ritmici» messa in luce
dal Bigi, il quale scrive:
La terzina dantesca rimane, almeno nei momenti più felici,
solo un primo piano, un organismo metrico antico e grave,
con cui entra in suggestivo contrappunto o colloquio la
voce rotta, inquieta e sommessa del poeta. Gli artifici di
cui il poeta si vale a questo scopo non sono
sostanzialmente dissimili da quelli già analizzati nel
primo gruppo di Myricae: sfasatura fra ritmo metrico e
ritmo sintattico, sintassi analitica e franta (qui
accentuata dalla frequente introduzione del discorso
diretto), interne corrispondenze di accenti e di suoni,
armonie imitative ed onomatopee: tutti artifici tanto più
sensibili quanto più forte è il loro contrasto con un
metro tradizionalmente robusto come la terzina. Basterà
citare, soprattutto, come prova della maggiore complessità
e raffinatezza, rispetto a Myricae, del giuoco dei due
piani ritmici, il finale di Digitale purpurea, dove il
ritmo della terzina, in questo caso allusivo al tema
serenamente e religiosamente arcaico del convento, è ormai
drammaticamente sfaldato dai fortissimi enjambements e
dalle profonde pause sintattiche, a cui è musicalmente
affidato l'altro e più segreto tema del poemetto, la
«misteriosa attrazione verso l'ignoto», il «consenso alla
tentazione della morte» (Getto)