Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano Giovanni Pascoli |
Critica
di |
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Claude
Cènot |
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Minerva
oscura |
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È il primo volume di critica dantesca,
pubblicato nel 1898. La scelta del titolo (da un verso
noto del Boccaccio: "Dante Alighieri 'son Minerva oscura")
rivela esattamente lo scopo del libro: trattare della
dottrina e del pensiero nascosto del poema col
proponimento di trovare la chiave di esso, portando luce
dove da secoli non si vedeva che oscurità. Fu una fallace
illusione e che comunque non poteva portare a ciò cui il
poeta in definitiva mirava, a una migliore intelligenza
della poesia, che non risiede nelle allegorie a essa
sovrapposte, ma vive per sé e con leggi sue. L'errore
quindi fondamentale, che rese in parte sterile e vana
tanta somma di studi e di ricerche, consiste nella
corrispondenza cercata, sino alle minuzie dei particolari,
del senso allegorico col letterale. Posto alla base della
costruzione del poema e quindi della distribuzione delle
pene e dei premi dell'"Inferno", "Purgatorio" e "Paradiso"
il numero settenario, dei sette peccati capitali, il
Pascoli volle sulla scorta di esso, ridurre il poema a una
perfetta unità di corrispondenze e simmetrie, e ancora
spiegare e risolvere con esso tutti gli altri punti
controversi. Un altro principio costitutivo dell'unità del
poema gli è dato dall'argomento: l'abbandono cioè della
vita attiva per la contemplativa, cui si giunge dopo
l'esercizio delle virtù, simile a quello di Giacobbe nei
sette anni di servaggio per Rachele. Dante nella selva
incarna perciò Giacobbe, ma poi nel cammino dei regni
eterni prima Enea, l'uomo attivo e giusto, e infine Paolo,
l'apostolo delle genti. Di ciò come del traviamento in
particolare, si discorre nel secondo volume Sotto il
velame (1900), che è una ricostruzione dell'"Inferno",
specialmente nei suoi simboli: la selva, le fiere, il
veglio di Creta, i fiumi, nella mistica corrispondenza dei
peccati infernali con quelli del Purgatorio, dietro un
passo di sant'Agostino. E già si tocca l'argomento del
terzo volume, La mirabile visione (1902), che traccia la
storia intima dell'animo di Dante, dalla Vita nuova alle
rappresentazioni del Paradiso terrestre, e dove il Pascoli
riassume le tesi principali dei volumi precedenti, in modo
da dar un abbozzo di tutto il poema. È questo forge il
volume più chiaro e che meglio si lascia leggere nel
groviglio delle tesi minori e nel continuo andirivieni del
ragionamento o nelle sottigliezze della trattazione. Del
1903 è infine la Prolusione al Paradiso, una "lectura
Dantis", raccolta con altri scritti minori, nel volume
postumo Conferenze e studi danteschi. Non che la critica
dantesca abbia fatto un reale progresso con questi studi
pascoliani. Quello che rimane di tanto lavoro sono certe
intuizioni e vedute generali pregevoli, come della
ribadita unicità del poema, dell'ispirazione mistica di
esso, e della sua natura composta a mo'di una basilica
bizantina, la tesi che il poema sia stato scritto tutto a
Ravenna; e infine la luce di certe pagine illuminanti
l'umanità di Dante, la vita di alcune sue creazioni, la
poesia del paesaggio. Una testimonianza d'amore e di fede
e che più che Dante giova a intendere tanta parte
dell'animo e della poesia del Pascoli.
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