Parliamo di |
|
Autori
del Novecento italiano Giovanni Pascoli |
Critica
di |
|
Claude
Cènot |
|
|
|
|
Odi
inni |
|
|
È il libro che rappresenta più
propriamente la sua poesia storica, civile, secondo
un'aspirazione che datava da anni, di dare all'Italia una
sua lirica pindarica o corale, e che ha i suoi lontani
precedenti in alcune composizioni giovanili. Apparve nel
1906, e nel 1913 con notevoli aggiunte. Ma vi sono
mescolate poesie d'altro contenuto, legate alle eroiche,
più che dal sentimento generale dall'onnipresenza del
dolore e della morte, da una legge superiore immanente
alla vita che esige la rinuncia all'odio, all'egoismo, da
una ragione formale di metrica: ai metri tradizionali sono
sostituiti cioè quelli antichi, ripresi da Orazio per le
Odi, da Pindaro per gli Inni, e di lì le composizioni
strofiche e l'adattamento del verso alle regole della
quantità. Né differenza reale di tono v'ha pur tra la
poesia storica delle Odi e degli Inni. Accanto dunque a
composizioni simbolistiche su piante, fiori, uccelli,
altre nel tono dei Poemetti: "Nel carcere di Ginevra",
importante assai perché nel soliloquio dell'anarchico
Luccheni, meditante il suo delitto, l'uccisione
dell'imperatrice Elisabetta, si riflette la crisi
psicologica del Pascoli dopo l'incarceramento; "La cometa
di Halley" e "Il negro di Saint-Pierre" d'ispirazione
cosmica; e nel tono dei Poemi conviviali: "Il dovere" che
riprende un motivo della "Cetra d'Achille" (uno dei
cavalli d'Achille predice all'eroe la prossima morte e
tuttavia egli la affronta) e "Il ritorno", vero precedente
dell'"Ultimo viaggio" il mito del ritorno a Itaca è come
modernizzato: Ulisse vecchio non riconosce la patria e
lamenta la giovinezza perduta. L'intonazione al libro e
alla poesia storica principalmente viene data dalla prima
ode, "La piccozza": il poeta asceso da solo sul culmine
del monte, ov'è bello restare, accenna di lì, agli uomini,
le vie della rinuncia e della gloria. Il libro è perciò
dedicato ai giovani, puri d'odi e di egoismi, nel sogno
dell'ideale, al di là della vita. Il poeta si fa così
vindice e vate dell'Italia del domani nel segno dei suoi
eroi. Epperciò la sua poesia non è azione, è
contemplazione, guarda alla storia da un "supremo culmine
del vero"; e poiché questo non si concreta in una dottrina
filosofica precisa, la poesia ne perde di vigore, si
frantuma in particolari e svanisce anche nell'astrazione
del simbolo, si fa mitologia, predicazione: vedi l'ode
garibaldina "A Manlio" svaporante in un'idea di giustizia
universale. Poeta migliore riesce nell'ispirazione
sociale, come in "Agli eroi del Sempione", realistica e
storica nella celebrazione ammirata e dolente delle
"eroiche turbe" dei nostri operai all'estero, o nella
ispirazione mistica, nel senso della "Piccozza", come in "Chavez",
"Il duca degli Abruzzi" e "Andrée" specialmente, il
trasvolatore del Polo. Prevale invece il pittoresco nel
gruppo delle odi africane: "La sfogliatura", "A Ciapin",
"Convito d'ombre"; e la concettualità simbolistica nei
raccostamenti arditi e antistorici nell'"Inno secolare a
Mazzini", visto come un'incarnazione del genio della
nostra stirpe; in "Al corbezzolo", l'albero italico è
fatto simbolo già per Pallante, adornato di quelle fronde,
come d'un Tricolore, ma con un'ispirazione che ora, qui,
diventa più calda nel ritorno alla poesia di Virgilio e
della natura.
Il meglio dell'arte del Pascoli è nella sua riduzione a
frammenti, nel suo sciogliersi negli elementi costitutivi.
(B. Croce).
Non si finiscono di scoprire le occulte rispondenze di
rime e di assonanze, le snodature e annodature di ritmo,
le simmetrie di strofe e di versi, il gioco delle
allitterazioni, le progressioni dal tono discorsivo alla
temperie lirica e retorica. (A.
Baldini)
|
|
|
|