Parliamo di |
|
Autori
del Novecento italiano Giovanni Pascoli |
|
|
|
|
|
|
|
La mia
sera |
|
|
Un momento della giornata - il
crepuscolo, e poi la sera - diventa in questa lirica
momento simbolico, la sera diventa la mia sera con una
sapiente trasposizione del dato oggettivo (le stelle, le
voci della natura, il placarsi dell'«aspra bufera») a
significato esistenziale.
Un aspetto fondamentale della tecnica poetica del Pascoli
è l'uso sperimentale che egli fa delle forme poetiche
tradizionali, la dissoluzione che all'interno di esse egli
opera. Questa lirica offre parecchi esempi in tal senso:
- i versi 19 e 34 sono ipèrmetri, cioè con una sillaba in
più dopo la rima, sono versi di dieci e non di nove
sillabe.
- di conseguenza i versi rispettivamente seguenti, il 20 e
il 35, sono di otto e non di nove sillabe: ciò perché la
sillaba in più dei versi precedenti (v. 19 -no; v. 34 -no)
viene anticipata e "computata" nella misura metrica del
novenario.
Questo contribuisce ovviamente a dissolvere e scompaginare
le forme metriche tradizionali.
Ma c'è un'altra tecnica dì cui Pascoli si serve per
realizzare questa dissoluzione, ed è la frantumazione del
verso col ricorso a cesure e pause che ne spezzano
l'unitaria armonia, la musicalità. Si vedano ad esempio il
v. 3 spezzato dalla cesura, i vv. 11 e 17 con gli effetti
prodotti dall'accento sulla prima sillaba, il v. 29 e il
31.
Come in molte altre liriche del Pascoli, anche in questa
c'è il ricorso all'onomatopea ai vv. 4 e 34. È opportuno
notare che la voce onomatopeica (gre gre ... Don Don) non
resta isolata ma è inserita in un tessuto, in un contesto
fonico che la riprende e la circonda di echi. Fanno eco al
gre gre e costituiscono un tessuto fonico omogeneo breve,
ranelle, tremule, trascorre; lo stesso vale per Don... Don
con Dormi... Dormi.
Questo procedimento - la ripresa e la trama di gruppi
fonici simili (allitterazione, assonanza) - caratterizza
d'altra parte tutto il componimento ed è particolarmente
vistoso nell'ultima strofe (cantano... sussurrano...
sembrano... fanno).
Nello stabilire un rapporto tra fenomeno atmosferico, dato
naturalistico (la sera) e condizione esistenziale,
enunciato sin dal titolo, il poeta procede per gradazioni,
per accenni contrapponendo agitazione e quiete (lampi...
tacite stelle; scoppi... pace; cupo tumulto... dolce
singulto ecc.) sino a far coincidere la pace e la quiete
con una regressione nell'infanzia: il suono delle campane
di oggi, di questa sera, dà pace perché riporta ai canti
di culla, invita al dormire, alla perdita della
consapevolezza. Che poi culla rimi con nulla non è senza
significato, come è stato notato dalla critica: dalla
regressione all'infanzia si arriva, come vagheggiamento di
pace, al non essere, all'annullamento.
|
|
|
|