Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano Giovanni Pascoli |
Critica
di |
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Claude
Cènot |
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Paolo
Uccello |
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È uno dei poemetti più belli, apparso
nel 1903 e poi incluso nei Poemi italici. Lo spunto al
tema venne al poeta, come altre volte, dalla storia, ma
l'invenzione è tutta pascoliana e nello spirito e nel tono
dei Fioretti di san Francesco. Paolo di Dono, pittore
fiorentino del Quattrocento, fu detto, come racconta il
Vasari, Ucello, perché "si dilettò più degli uccelli che
d'altro" fu poverissimo e terziario francescano. Tanto
povero che, innamorato com'era degli uccelli, non potendo
comperarne, s'accontentava di dipingerli, e la parete del
suo abituro verzicava di rami, alberi, fiori e uccelli. Ma
un giorno, avendo veduto sul mercato un bel ciuffolotto,
non poté staccare il cuore da esso, la finzione della
pittura non gli bastò più, e la sera mormorò nel cuore
contro la povertà. Qui il centro del racconto. Nella
seconda parte (cap. VI-X) il protagonista diventa san
Francesco in persona. Il quale scende dalla parete di rami
e fiori e rimprovera dolcemente il suo devoto di offender
mormorando "Madonna Povertà": anche se solo dipinto, quel
ciuffolotto è come suo. Mentre un usignolo canta nella
notte, il Santo sparisce e Paolo si addormenta pacificato.
V'ha, come si vede, nel ritratto dell'antico pittore il
ritratto del Pascoli stesso, venato di una sottile
melanconia che si scioglie nella dolcezza d'un sorriso:
per riattingere il Pascoli vero, nelle polle più limpide
della sua ispirazione, del mondo poetico che fu più
veramente suo, bisogna passare attraverso di esso.
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