Letteratura italiana: Cesare Pavese

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  Autori del Novecento italiano: PAVESE
Analisi opere
Enzo Noé Girardi

 


Lavorare stanca
 

Raccolta di poesie composta negli anni dal 1931 al 1935, edita la prima volta a Firenze (edizioni di Solaria) nel febbraio 1936 e successivamente, arricchita di nuove composizioni fino a raggiungere il numero complessivo di settanta, a Torino nel 1943. È la prima opera pubblicata da P. e rappresenta, secondo la definizione autobiografica datane dall'autore in uno dei due studi pubblicati in appendice alle liriche nell'edizione del '43, "l'avventura dell'adolescente che, orgoglioso della sua campagna, immagina consimile la città, ma vi trova la solitudine e vi rimedia col sesso e la passione che servono soltanto a sradicarlo e gettarlo lontano da campagna e città, in una più tragica solitudine che è la fine dell'adolescenza" ("A proposito di certe poesie non ancora scritte"). Ma oltre e più che in ordine alla formazione del mondo interiore di Pavese, queste poesie appaiono significative come testimonianza di una ricerca letteraria consapevole, tutta assistita da ragioni teoriche, attraverso la quale lo scrittore viene scoprendo e saggiando, nel disporsi delle immagini e dei ritmi, le condizioni fondamentali della sua fantasia. Così da "I mari del sud" (1931) che è la prima delle sue liriche, a quella che dà il titolo alla raccolta (1934), ai numerosi "paesaggi" del '40, compaiono qui già tutti i temi umani e ambientali (il reduce dall'America, il compagno, infanzia e solitudine, contadini e colline, strade, osterie, ragazze che nuotano, mare, albe, donne e sesso) che saranno sviluppati anche nella più matura narrativa; e vi compaiono organizzati in quel caratteristico sistema di versi lunghi, per lo più di tredici sillabe, dal monotono ritmo anapestico (es. "Camminiamo una sera sul fianco di un colle"), in cui non è difficile scorgere il nucleo fondamentale della prosa narrativa pavesiana. La raccolta rappresenta infine il primo tentativo, prodotto con notevole anticipo su quelli dell'attuale sperimentalismo, di superare il soggettivismo e il frammentismo ermetico senza peraltro rinunciare all'essenzialità lirica. La cosiddetta "immagine interna" onde in ciascun componimento la fantasia prende norma dal personaggio che vi compare, anziché direttamente dal poeta, e il procedimento narrativo della lirica stessa ("raccontare immagini"), rispondono appunto a questo proposito; il quale, a sua volta, denuncia sin da ora l'insuperabile situazione dialettica dello scrittore tra irrazionalismo e razionalismo. Nel 1961, a Torino, con prefazione di M. Mila, sono apparse di P. le Poesie (composte di Lavorare stanca e dell'altra raccolta postuma Verrà la morte e avrà i tuoi occhi).
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Scrive Lorenzo Mondo: «La lettura [della raccolta Lavorare stanca] sarà soprattutto valida se riuscirà a mettere in luce quelle emergenze tematiche che troveranno pieno svolgimento nella narrativa». È - a nostro modo di vedere - un giudizio restrittivo e opinabile (in quanto riduce la produzione poetica di Pavese ad "antefatto", a puro "repertorio tematico"), convinti come siamo del valore autonomo Che alla raccolta pavesiana non si può negare ih una linea della poesia italiana del Novecento. Comunque, anche muovendo dalla prospettiva citata, la lirica che ora riportiamo assume un'importanza particolare, perché ne emerge un tema che è un denominatore comune di tutta l'opera di Pavese: quello della solitudine.

IIlcomponimento propone una modalità espressiva ricorrente nella lirica (e anche nella prosa) pavesiana, quella del monologo narrativo-riflessivo: tutto ciò che è detto nel testo è l'osservazione-riflessione del locutore (l'io del poeta) che trae spunto dal girovagare di un uomo nella solitudine di una città che è o pare deserta. Si notino l'espressione «quest'uomo» (l'aggettivo pone l'uomo nel qui e ora del componimento) e la ripetizione di termini che indicano solitudine. È chiaro, poi, che l'uomo girovago è una figura simbolica di una condizione di disagio esistenziale e una controfigura di Pavese stesso, che vi si proietta e riconosce. Altri personaggi compaiono evocati mediante la riflessione o la memoria del poeta da altri luoghi e altri tempi (si notino le espressioni indeterminative che li contrappongono a «quest'uomo»: « un ragazzo» che scappa di casa e lo sbronzo notturno (« a volte c'è lo sbronzo... »), collocati ai due estremi opposti di un'inquietudine che potrebbe placarsi e di progetti che potrebbero ancora realizzarsi, da un lato, e di uno scacco ormai subito e divenuto abituale (i progetti non realizzati sono oggetto di discorsi e rimpianti nei fumi del vino). Quella dell'uomo e, viceversa, la condizione Più drammatica, in cui lo scacco esistenziale sta tramutandosi m realtà irreversibile (ci sarebbe ancora tempo per realizzarsi, ma si sente che la solitudine incombe come un destino). E, infine, c'è la donna che rappresenta la meta non raggiunta e non raggiungibile del simbolico peregrinare.

(Guglielmino - Grosser)

 

Luigi De Bellis