Titolo della raccolta
completa delle novelle. La prima raccolta parziale Amori
senza amore fu pubblicata nel 1894; seguirono presso vari
editori Beffe della morte e della vita (1902), e II serie
(1903), Quand'ero matto (1902), Bianche e nere (1904),
Erma bifronte (1906), La vita nuda (1911), Terzetti
(1912), Le due maschere (1914, ripubblicato nel '20 col
titolo Tu ridi), La trappola (1915), Erba del nostro orto
(1915), E domani, lunedì (1917), Un cavallo nella luna
(1918), Berecche e la guerra (1919), Il carnevale dei
morti (1919). Dal 1922 il Pirandello cominciò a pubblicare
a Firenze una nuova raccolta che doveva comprendere 24
voll. di 15 novelle ciascuno, una quindi ogni giorno per
tutto un anno, e adunare, in distribuzione rinnovata gran
parte delle novelle già edite e molte inedite. Tra il '22
e il '37 però se ne pubblicarono solo 15 voll.: Scialle
nero (1922), La vita nuda (1922), La rallegrata (1922).
L'uomo solo (1922), La mosca (1923), In silenzio (1923),
Tutt'e tre (1924). Dal naso al cielo (1925), Donna Mimma
(1925), Il vecchio Dio (1926), La giara (1928), Il viaggio
(1928), Candelora (1928), Berecche e la guerra (1934), Una
giornata (1937), gli ultimi due volumi presso altro
editore a Milano. Nel 1937 si fece a Milano una nuova
raccolta in due grossi volumi dal titolo Novelle per un
anno. Tutte le novelle di Luigi Pirandello, il primo dei
quali comprese i voll. I-VIII della raccolta precedente (e
di questi i primi cinque dopo una nuova severa revisione e
con mutamenti notevoli, spesso non solo formali), il
secondo, pubblicato postumo nel 1938, comprende i voll. IX
XV dell'edizione precedente, più, in appendice, 25 novelle
in parte non raccolte in quella, in parte mai pubblicate
in volume. L'attività novellistica del Pirandello va
dunque dal 1894 all'anno della morte e s'intreccia
continuamente e strettamente con l'attività sua di
romanziere e di commediografo. Tra il narratore, anzi, e
lo scrittore di teatro gli scambi sono vari e continui:
novelle di anni lontani vengono distese in drammi o
commedie; spunti appena accennati in un racconto si
allargano, si sviluppano, si complicano per adattarsi alle
esigenze della scena (valga a esempio "La veglia" del 1904
che diventerà poi il primo atto di Come prima, meglio di
prima, v., mentre spunti per gli altri due atti si trovano
in "Vexilla regis"), motivi tentati in più novelle si
risolvono e fondono assieme (così "La verità" e "Certi
obblighi", ambedue del 1912, appaiono come il primo germe
di Il berretto a sonagli, v., del 1917), con sviluppi, in
questo passare dal racconto al teatro assai vari, e
soluzioni diverse ideologiche e artistiche. A fermarsi,
poi, allo studio delle sole novelle, i temi, i paesaggi,
gli ambienti, sono oltremodo svariati: il lettore, alla
fine dei due volumi, ha innanzi a sé, nel ricordo, una
folla smaniante e gesticolante di uomini di tutte le
condizioni sociali, colti negli ambienti più vari, nelle
situazioni più strane, più grottesche, più paradossali,
declamanti le più ingarbugliate passioni. Ma non tanto
vario è questo mondo del Pirandello che il lettore attento
non riesca a riordinare le sue impressioni e a ricondurle
a certi temi e a certe forme essenziali, temi e forme però
che non tanto sembrano evolversi in uno sviluppo lineare
nel tempo, quanto piuttosto intrecciarsi tra loro in un
riaffacciarsi e ritornare continuo, quasi che l'arte del
Pirandello, più che in una evoluzione cronologica, sia
nell'insistere di certi motivi ossessionanti la fantasia
dello scrittore. Pure, a grandi linee, una storia del
Pirandello novelliere può tracciarsi, e le novelle possono
essere raccolte in grandi gruppi, ordinati l'uno dopo
l'altro in modo da costituire una specie di storia ideale,
e limitatamente cronologica, dello spirito e dell'arte di
lui. Occorrerà però liberarsi prima di tutto da tante
novelle, non moltissime, ma molte, senza caratteristiche
nette, che sono del Pirandello, ma potrebbero essere anche
di altri e nelle quali lo scrittore non impegna se stesso,
né quale uomo né quale artista. Sono allora storie di casi
mondani, come "Di guardia", in cui si narra di una donna
che, sorvegliata acremente dal cognato, geloso per il
fratello assente, si prende gioco di lui e ne aizza per
tutta una giornata la gelosia, dandogli a sospettare che
voglia sottrarsi a una gita già stabilita per restare con
un amante, all'albergo, mentre vi resta invece ad
aspettare il marito, che l'aveva avvertita del suo arrivo
con un telegramma che lei a bella posta aveva nascosto al
cognato. O come "Concorso per referendario", dove si narra
di un giovane, che, per sposare la ragazza che ama, deve
vincere un concorso a referendario al Consiglio di Stato.
E a prepararsi, si ritira in un albergo di montagna, ma
non riesce a studiare, sia perché distratto dagli altri
villeggianti che lo vorrebbero compagno nei loro
divertimenti, sia perché la sua costituzione robusta non
gli permette una lunga applicazione sui libri. Ed egli si
tormenta più settimane senza concludere che poco o nulla,
finché rottosi il fidanzamento dopo che la giovane l'ha
sorpreso un giorno a giocare ai cerchietti, e liberatosi
così da ogni impegno di studi e di esami, può darsi tutto
a innocenti baldorie con gli amici. O sono storie
sentimentali, come, e valga per tutte, "Una voce", ove si
narra di una donna, non più tanto giovane né bella, ma
dotata di voce soavissima, che fa da infermiera a un
giovane, nobile, ricco, ma cieco. E lei lo innamora e se
ne innamora, e già il matrimonio è prossimo, quando uno
specialista rivela che il giovane potrà riacquistare la
vista. L'uomo è felice, anche perché ansioso di poter
vedere la sua donna; ma questa, assistitolo durante
l'operazione riuscita, alla vigilia del giorno in cui
saranno tolte le bende si allontana per restare nella
memoria di lui una voce che invano egli ricercherà in
altre donne. Novelle consimili, che degenerano a volte in
vere e proprie storie sentimentali a effetto, affidate più
alla commozione bruta del "fatto" che alle risorse
dell'arte, il Pirandello ne scrisse forse in tutto il
corso della sua lunga carriera di novelliere; e possono
perciò trascurarsi. I veri e propri inizi dell'arte sua
sono invece veristi, e numerosissimi sono i racconti
ch'egli scrisse secondo la poetica e i modi del verismo
provinciale - per lui essenzialmente siciliano - di cui
avevano già dato esempi grandi il Verga il Capuana, la
Serao. Anche queste sono novelle assai varie di tono, di
ispirazione, di arte, studi di primitivi sul modello del
Verga, costumi siciliani, beffe saporite, vendette allegre
("paesare", come ne scrivevano anche il Moretti e il
Beltramelli), drammi sentimentali e tragedie di sangue.
Valgano a esempio alcune tra le più famose o le più belle:
"La giara", vivacissima storia di un riccone avarissimo e
litigioso, cui si spacca una giara alta, panciuta e
maestosa. A rabberciarla chiama un vecchio - Zì Dima -,
inventore di un mastice miracoloso. E questi infatti
incolla ottimamente la giara, ma, come vi si era calato
dentro a meglio incollarla e cucirla vi resta prigioniero;
e i due vecchi litigano acerbamente tra loro, ché l'uno
pretende che l'altro gli paghi la giara come nuova, e
questi, pur di non pagare, si adatta a restar prigioniero,
finché la notte l'avaro, imbestialito dal chiasso dei
contadini che ubriachi trescano intorno alla giara, non la
manda a rotolare giù per il pendio e a spaccarsi contro un
olivo, e la vince Zì Dima. O "Lumìe di Sicilia" (ne trasse
poi una commedia) ove un giovane provinciale, che a sue
spese ha mantenuto agli studi di canto una compaesana di
cui era innamorato e di cui aveva scoperto la gola d'oro,
va a vederla in città e la trova tutta mutata, ricca,
elegantissima, spigliata, a cena con signori mondani; e se
ne va allora piangendo, comprendendo che tutto è ormai
finito tra loro; ma prima lascia, non a lei, ma alla
vecchia madre di lei, che l'ha capito e compatito, le
belle lumìe fresche fragranti portate di Sicilia. E, dopo
che egli è uscito, la giovane le reca in sala da pranzo e
le distribuisce gioiosamente ai suoi ospiti, gridando: "Lumìe
di Sicilia, lumìe di Sicilia". O "Il vitalizio", storia
tra comica e malinconica di un vecchio contadino, che a
settantacinque anni contrae un vitalizio su un campicello,
e tutti quelli che di volta in volta si assumono l'onere
del contratto muoiono, ed egli solo sopravvive a tutti,
con sua vergogna e quasi rimorso, finché il campo non
ritorna a lui, ormai più che centenario. O "In corpore
vili", storia buffonesca di un prete amante della buona
tavola, ma sofferente di stomaco, tanto ch'è costretto,
dopo ogni stravizio, a ricorrere a emetici potenti; ma, a
evitarsi il disgusto della medicina, la fa prendere dal
suo sagrestano, ché a lui basta la vista delle sofferenze
dell'altro per vuotarsi lo stomaco. O, infine, "Male di
luna", altra storia tra grottesca e poetica, di una
giovane donna sposata dalla madre a un vecchio soggetto al
"male della luna", specie di convulsioni violente la notte
in cui la luna è in quintadecima. A rifarsi e a
vendicarsi, la donna si porta al cascinale in campagna il
giovane cugino che avrebbe voluto e che per la povertà non
ha potuto sposare, contando di darglisi mentre fuori il
marito imbestia; ma il giovane, atterrito e disgustato, la
respinge, mentre dalla finestra la luna par ridere beata e
dispettosa della mancata vendetta della moglie. Novelle
veriste, si è detto, ma di un verismo "sui generis", tutto
corroso da interessi diversi, da un gusto amaro dei
contrasti e delle assurdità della vita, da un
compiacimento esasperato per le stranezze di cui questo
nostro mondo è intessuto. Lo strano, l'assurdo, il
paradossale, e tutto ciò spesso in forme umoristiche,
grottesche o crudeli, si fanno sempre più la parte del
leone nell'opera di Pirandello, il quale così, in questo
modo, canta la sua triste visione del mondo, la sua chiusa
e quasi irosa pietà. Casi strani, dunque, di umorismo
funebre, come "L'illustre estinto", dove un uomo politico,
già celebre, vicino a morire, immagina i funerali solenni
che gli verranno celebrati, gli onori che gli saranno
resi, la commedia tutta che si rappresenterà accanto al
suo feretro. E tutto va com'egli aveva previsto, solo che
il destino vuol giocare con un morto, e per uno strano
errore la sua bara va a finire alla stazione di Avezzano,
mentre è quella di un giovane seminarista qualsiasi che da
Roma viene portata al paese natale dell'illustre estinto e
accompagnata al cimitero con onori solenni. Intanto la
salma dell'onorevole viaggiava, in un carro nudo e
polveroso "Cavalli otto, uomini quaranta", senza un fiore
e senza un nastro, e solo all'indomani, riportata al
paese, vien seppellita tra il sollievo delle poche
autorità presenti. O sono casi strani di malinconica
tristezza, come quello de "L'eresia catara", dove si narra
di un professore di storia delle religioni (uno dei soliti
tristi poveri professori del Pirandello), il quale prepara
una grande lezione sull'eresia catara a confutare le
asserzioni di uno studioso tedesco. Ma il giorno in cui
deve tenerla, nessuno dei due soliti discepoli può recarsi
all'università; uno solo vi giunge in ritardo e sente con
stupore il professore tuonare nell'aula deserta; è che
studenti di altra facoltà hanno appeso i loro impermeabili
agli attaccapanni in fondo alla sala, e il professore
miope, nella triste luce di quel pomeriggio piovoso, li ha
scambiati per inaspettati attenti uditori. O sono casi
strani a lieto fine, com'è in "Marsina stretta":
protagonista ne è un altro professore, che, invitato alle
nozze di una sua discepola con un ricco signore, giungendo
per la cerimonia apprende che durante la notte è morta la
madre della giovane e che i parenti dello sposo vorrebbero
approfittare dell'occasione per rimandare e poi mandare a
monte il matrimonio a cui già erano contrari. Ma il
professore con energia inaspettata scuote i due giovani,
li avvia in municipio e in chiesa, impone quasi a essi e
ai parenti le nozze, salvando così la discepola. Ma tanta
energia è dovuta al fatto ch'egli indossava una marsina
presa a prestito, stretta, tanto stretta che a un gesto
vivace gli si strappa finanche una manica, e che per
questo si era tanto irritato da trovare nell'irritazione
l'animo di ribellarsi alla commozione sua e alla
prepotenza degli altri. O sono addirittura casi
paradossali nei quali il Pirandello escogita le situazioni
più assurde, per esasperarle con cerebrale compiacimento e
trarle fino alle conseguenze estreme. Nascono così le
situazioni e le invenzioni che diciamo oggi pirandelliane
e che, travasate le più in opere di teatro, sono note ai
pubblici di tutto il mondo: la situazione paradossale
dell'uomo ("Pensaci, Giacomino"), ancora un vecchio
professore, che sposa per pietà la figlia del bidello resa
incinta da un giovane, e, incurante delle chiacchiere
della gente, paternamente difende la famigliola irregolare
(ma diventerà regolare, egli spera, alla sua prossima
morte), fino a minacciare il giovane quando pare stia per
accettare l'idea di un matrimonio con una ragazza
facoltosa e di buona famiglia. O è il caso strano di due
persone ("La signora Frola e il signor Ponza, suo
genero"), suocera e genero, ognuna delle quali assicura
che l'altro è pazzo, mentre è impossibile, per mancanza di
documenti certi, stabilire chi dei due sia savio e chi
matto; o è l'allegra avventura dell'uomo ("Ma non è una
cosa seria") che, a evitare il pericolo di cader nelle
reti di qualche ragazza per bene e sposarsi perdendo così
la sua libertà, sposa una povera diavola qualsiasi che
spedisce in campagna con una pensioncina mensile. E così,
sicuro che non potrà ormai più prender moglie, può darsi
tutto ai suoi amori. O ancora ("Richiamo all'obbligo") è
l'avventura di un uomo, un altro professore, che, amante
della moglie di un capitano di marina, deve, in uno dei
rari e brevi ritorni dell'uomo, spingerlo tra le braccia
della moglie, a evitare scandali e guai. Molte di queste
novelle sembrano esaurirsi nell'invenzione di un caso
paradossale: altre paiono esser pretesto a divagazioni
ideologiche, a esporre solo certe ideologie che allo
scrittore si facevano sempre più care con gli anni; altre
infine, pur nell'apparente cerebralità del tema, sono
infuse di una compressa ma umana pietà, e sono queste,
forse, tra le cose più belle che il Pirandello narratore
abbia scritte. Ecco allora "Pena di vivere così", tra i
più lunghi racconti del Pirandello e tra quelli a cui egli
teneva maggiormente: è la storia di una donna che,
abbandonata dal marito, si chiude in una vita tutta eguale
e serena, nell'apparenza almeno, finché il ritorno di lui
non viene di nuovo a turbarla. L'uomo, che convive con
altra donna da cui ha tre bambine, prima implora il
permesso di venir ogni tanto a visitarla, poi le reca una
figlia, poi, dopo la morte di quella donna, le si
stabilisce in casa lui e le bambine, finché fugge di nuovo
con una ragazza lasciando alla moglie le figlie. Ma la
novella non è tanto nella narrazione, quanto nell'analisi
sottilissima eppure commossa della signora Leuca la
moglie, lacerata sotto quella sua serenità cordiale da
mille affetti dolorosi, e straziata soprattutto da un
sentimento di amore e di pietà per la vita, da una pena di
vivere così... O ecco "Notte", due naufraghi della vita
che s'incontrano di notte in una stazioncina, e si
riconoscono e assieme si recano alla riva del mare, a
ricordarsi l'un l'altro i tempi felici in cui già si erano
incontrati. E a quelle rievocazioni, in quella grande pace
notturna, sentono svaporare la loro tristezza, finché
l'alba li richiama alle occupazioni e alle pene abituali.
Ma, dividendosi, si portano l'uno e l'altra, chiuso in
qualche recesso del cuore, il ricordo di quella notte di
poesia e di tenerezza. Parallelo a questo affacciarsi
d'interessi ideologici o sentimentali e poetici è il
rompersi dell'antico schema narrativo verista: le novelle
del Pirandello non hanno più la solida costruzione della
novella tradizionale; esse si affidano sempre meno
all'interesse del "fatto" e del "personaggio", e sempre
più, ora, a un brivido sottile di poesia, a una commozione
che lievita segretamente la pagina e che dà alla novella
tono e colore. Anche qui, si capisce, bisognerebbe
distinguere tra l'uno e l'altro racconto, ed è difficile
costruire dei gruppi veramente omogenei e tracciare degli
sviluppi sicuri; quello che conta è che il lettore avverte
facilmente d'esser di fronte a un tipo nuovo di novella:
non personaggi tracciati con mano ferma, a tutto rilievo,
ma racconti appassionati dove un umbratile protagonista
confessa con calda eloquenza se stesso; non più, spesso,
storie narrate ordinatamente per filo e per segno, ma
racconti rotti, vicende che il lettore deve ricostruire a
fatica, immesso com'è da un monologo, da un dialogo
oscuro, "in medias res"; non più, tante volte, un racconto
oggettivo, ma un intrudersi continuo dell'autore che
presenta, commenta, discute, sottolinea casi e contrasti,
che pone insomma se stesso quale personaggio tra gli altri
personaggi. Nessuna meraviglia, allora, che a un certo
momento, dopo il 1930, non si abbiano più vere e proprie
novelle, ma si trovino dei racconti di fattura
modernissima, dove il fatto è un pretesto, e la novella
tende solo o a rendere certe impressioni (albe, notti
palpitanti di stelle, frescure di giardini, e via
dicendo), o a cogliere e a fissare una scena densa di
valori lirici (per esempio "Nell'albergo è morto un tale",
dove il nucleo vero è nell'ossessione di un paio di scarpe
in un corridoio d'albergo, scarpe che il padrone non ha
ritirate la mattina, perché morto nella notte di sincope)
o a permettere l'abbandono a un estro inventivo, sciolto
da ogni legame con la realtà oggettiva del mondo, in una
libertà di invenzione e di visione che verrebbe di
chiamare surrealistica. Sono di tal genere, libere d'ogni
intreccio narrativo, tutte affidate alla descrizione o
all'evocazione, che è dir meglio, di sensazioni e di stati
d'animo acuti, le novelle degli ultimi anni, nelle quali
pare risolversi la lunga ricerca del Pirandello, partito
da un verismo oggettivo poco connaturato al suo spirito e
giunto finalmente a un racconto di pura poesia, o
aspirante almeno a essere pura poesia. Come un esempio di
quest'ultimo Pirandello, dato che è difficile riassumere
novelle di tal genere (ma si rilegga il lettore "I piedi
sull'erba"; "Di sera, un geranio"; "Effetti d'un sogno
interrotto"; "C'è qualcuno che ride"; "Una giornata"),
citeremo "Soffio", racconto abbrividente e trascinante di
un uomo che scopre in sé la facoltà di spegnere con un suo
soffio la vita degli uomini, e dalla scoperta è stupito,
atterrito, esaltato, e ne impazzisce quasi, e si dà a un
folle soffiare, a un pazzesco scatenare di epidemie,
finché egli stesso par come dissolversi e placarsi in un
soffio.
Giuseppe Petronio
Il lettore di Pirandello desidererebbe spesso, o
un'inventiva più spiritosa e leggera, o un'indagine più
coerente: o più Ottocento o più Novecento. Tra questi due
toni, l'arte di Pirandello rischia di restare un
po'episodica, di passaggio. (P.
Pancrazi).
Pirandello impoverisce nella cosiddetta teatralità la sua
sapienza di narratore introspettivo, a mezzo tra la lirica
e il ragionamento borghese. (F.
Flora)
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Le novelle di
Pirandello furono pubblicate via via a partire dal 1894
(data di edizione del primo volume, Amori senza amore) in
singoli volumi che spesso prendevano il titolo da una
delle novelle incluse (1902: Beffe delta vita e della
morte e Quand'ero matto; 1910: La vita nuda, ecc.). Nel
1922 l'editore Bemporad di Firenze iniziò una nuova
edizione secondo un progetto che prevedeva 24 volumi di 15
novelle ciascuno (una per ogni giorno dell'anno: Novelle
per un anno, appunto). Nel 1937-38 Mondadori pubblicò
tutte le novelle presenti nell'edizione Bemporad (con
l'aggiunta dì altre mai raccolte in volume) in due volumi
della collana "Omnibus". Nella nuova edizione critica
delle Opere curata da G. Macchia e M. Costanzo presso
Mondadori ("i Meridiani") le Novelle per un anno sono
state pubblicate in tre volumi, ciascuno in due tomi
(1985; 1987; 1990).
La signora Frola e il signor Ponza,
suo genero
Sul piano narratologico la novella è
impostata sul narratore esterno (qui non estraneo
all'ambiente rappresentato) che espone la vicenda,
descrive aspetto fisico e pensieri dei personaggi, si
rivolge ai lettori con colloquiale confidenza (appelli
come «Ve lo figurate?», «Vi par poco», con simulazione del
parlato), per incuriosirli e interessarli alla narrazione,
commenta la vicenda insinuando così la sua valutazione. La
narrazione procede rispettando l'ordine
cronologico-casuale, ma prima c'è una sorta di
anticipazione: «Ciascuno si vede davanti, ogni giorno,
quei due», ecc.), che unita ai commenti crea nel lettore
curiosità e interesse.
Altri aspetti vanno poi segnalati. Anzitutto il fatto che
la tesi dell'inconoscibilità del reale è tutta calata in
un pettegolo e angusto mondo di provincia. Abbiamo così la
rappresentazione di un ambiente caro a tanto verismo
ottocentesco, ma Pirandello mira a ben altro che
un'oggettiva verosimiglianza, svuota dall'interno quei
moduli di rappresentazione e tende a mettere in crisi
proprio le certezze oggettive (allo stesso modo in qualche
commedia - Il gioco delle parti, ad esempio - accoglie un
meccanismo abituale della commedia borghese, cioè il
triangolo dell'adulterio, ma con intenti profondamente
diversi).
Inoltre, l'impossibilità di conoscere la verità,
l'esistenza di tante verità quanti sono i protagonisti non
approda qui al compiaciuto gioco intellettualistico,
all'arido scetticismo, bensì alla pietà. E a una duplice
pietà: quella dell'artista per questi uomini che si
illudono di possedere la verità, e quella che questi
uomini provano reciprocamente, ciascuno nei riguardi
dell'altro. Finge la signora Frola perché il signor Ponza
sia sicuro e contento della sua verità, e finge il signor
Ponza perché la signora Frola sia anch'essa a sua volta
sicura e contenta della sua verità. Questo, se da un lato
riconferma la fondamentale impossibilità di approdare a
una verità oggettiva, contemporaneamente indica la via per
evitare la chiusura solitaria in se stessi: riconoscere,
con un atto d'amore, l'esistenza - e il dolore - degli
altri.
Fuga
La novella - pubblicata sul «Corriere della Sera» (23
agosto 1923) - è incentrata su un tipo umano che ricorre
spesso nella narrativa di Pirandello: l'uomo tartassato e
oppresso dalla meschinità quotidiana, ma anelante a
liberarsi dall'«afa della vita».