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Autori
del Novecento italiano |
Analisi
opere |
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Carlo
Bo |
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Carlo Bo, nato a Sestri Levante nel
1911, docente di letteratura francese, critico e saggista,
collaboratore di riviste e quotidiani, è stato per molti
anni rettore dell'Università di Urbino. Tra le sue
numerose opere segnaliamo: Otto studi (1939), Bilancio del
surrealismo (1944), Mallarmé (1945), L'eredità di Leopardi
e altri saggi (1964), La religione di Serra (1967).
Letteratura come vita.
La letteratura per Bo coincide con la vita. Ciò significa
un rifiuto di una letteratura intesa come «mestiere» che
si eserciti «nelle pause della vita», nel dominio del
«tempo minore», senza attenzione profonda (con
atteggiamento «dimissionario») alla «nostra coscienza di
uomini». Viceversa letteratura deve essere «la strada più
completa, per la conoscenza di noi stessi, per la vita
della nostra coscienza». Subito questa ricerca interiore
rivela il suo carattere di ricerca metafisica e
trascendente: letteratura e vita sono entrambi «strumenti
di ricerca e quindi di verità», mezzi non solo per «sapere
qualcosa di noi», ma per condurre «con dignità, con
coscienza» l'attesa (un concetto chiave dell'ermetismo) di
«una notizia che ci superi e ci soddisfi», dietro la quale
espressione non è difficile intuire l'idea di
«manifestazione del divino». Tuttavia si noti che spiegare
troppo un testo come questo, togliergli il suo carattere
allusivo e talora polisenso, significa in parte
snaturarlo, forse impoverirlo.
Nel passo seguente, questa che è la tesi fondamentale
dello scritto di Bo si approfondisce e si arricchisce di
nuove sfumature: l'unica realtà per un letterato autentico
è «l'ansia del proprio testo verso la verità»; in
relazione a questa ricerca (che è anche definita «caccia»)
il testo trova la sua «necessità assoluta», si sottrae al
dominio del «tempo minore» (la storia, il quotidiano) per
entrare o aspirare ad entrare nel dominio del «Tempo» (il
tempo dello spirito?, l'eterno?, un tempo comunque
anch'esso assoluto, non storico). La letteratura si
realizza totalmente, assolutamente in questa ricerca della
verità, in questa attesa del divino, di una «notizia» dai
territori della trascendenza: evidente quindi che Bo neghi
ad essa ogni scopo pratico, perfino - ma questo è concetto
assai più sottile - quello di «preghiera» e di
«perfezionamento». L'attesa - si direbbe - è attesa di un
evento che comunque non dipende da noi. Nel passo
successivo assistiamo a un addensarsi di corollari alla
tesi principale: il linguaggio si fa ancora più allusivo e
a tratti oscuro. La letteratura non deve trattare di
«questo mostro che ci soffoca di più giorno per giorno»,
di «questa enorme fiera di vanità in cui per diverso grado
cadiamo tutti con le debolezze, le colpe, i peccati e
soprattutto con la nostra spaventosa disponibilità alle
omissioni», ma deve alludere alla «solenne promessa», al
«segno di salvezza», a quella «vita» che per un cristiano
è materia di fede. Ciò significa mettere in
contrapposizione essenzialmente tempo ed eterno, storia e
assoluto, natura e sovrannaturale, "fisica" e metafisica,
materia e spirito. Perlomeno dubbio è che dietro al «
mostro» e alla « fiera di vanità» (e dietro a successive
espressioni come «rappresentazione così deformata e
avvilita di realtà») si debba intravedere un'allusione al
fascismo. Comunque non è affatto necessario supporlo. Il
fascismo sembra più essere considerato una contingente,
non determinante manifestazione della storia che
rappresenta comunque una negatività. E la risposta, la
reazione ad esso è comunque esclusivamente di natura
spirituale. II rifiuto generico della storia (come «tempo
minore»), della «realtà comune» è ribadito subito dopo,
quando anche si dice che la letteratura deve tendere
«all'incarnazione di un simbolo», espressione certo
polisensa ma comunque allusiva anche della natura tecnica
(simbolistica) della letteratura ermetica. Il problema
della chiarezza/oscurità di una simile letteratura non
conta, a giudizio di Bo, trasceso com'è dall'ansia di
verità: la chiarezza rischia di essere «un'oscurità
travestita», se il testo non conduce a quella verità, se
parla di cose insignificanti (ogni fenomeno situabile
nella storia?). L'oscurità di una letteratura così
concepita, in altri termini, è direttamente proporzionale
al mistero che vuol sondare, e in questo mistero ha la sua
genesi. II concetto (ma l'espressione «Non conosce...
comunicabilità») è ribadito nell'ultimo frammento, che
espone sinteticamente la natura della letteratura ermetica
come «caccia alla verità» che deve svolgersi «in un golfo
di attesa metafisica»..
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