Le opere di Ugo Betti

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Parliamo di

  Ugo Betti
Analisi opere
 1 L'aiuola bruciata 
2 Canzonette - La morte
3 Le case
4 Corruzione al palazzo di giustizia
5 Delitto all'isola delle capre
6 Il diluvio
7 Frana allo scalo nord
8 Il re pensieroso
9 La regina e gli insorti

 


Canzonette - La morte
 

È la seconda, in ordine di tempo, raccolta di liriche, ubblicata a Milano nel 1932. Ciò che facilmente si poteva avvertire nel mondo poetico del Re pensieroso, ossia l'eco d'una inquietudine, il balenio di certe fosche notazioni, e poi quel sentimento cupo e sgomento della vita che si annidava nelle pieghe della stessa favola, qui si fa dominante motivo di canto. D'altra parte i due elementi, cioè quello fiabesco inteso come desiderio inappagato di ingenua gioia, e quello che nasce da pensieri inquietanti, dalla consapevolezza di non aver dentro di noi il richiamo di qualche conforto, sono, come fu osservato da Bocelli, "due aspetti concordi d'una medesima situazione o disposizione spirituale". Il volume comprende trentacinque poesie che si articolano in quattro gruppi: "La città dei re", "Canzonette", "Sereno", "La Terra". Del primo gruppo fa parte "La vecchietta morta", già compresa nel Re pensieroso; poesia in cui non mancano echi di motivi rodenbachiani. Celebrata, inoltre, di questo primo gruppo, è "La fanciulla mutata in rio" che si riannoda ai temi noti della raccolta precedente. È un "remedium doloris" un poco alla Palazzeschi; un obliare la realtà amara per abbandonarsi in un mondo magico ove l'assurdo trasformato in realtà è a portata di mano. Su questa linea possiamo leggere ancora: "Canto di stellina sul prato", "La bella addormentata", "Caterinella", "Il bagno della fata". A volte nella fiaba s'insinua la nota malinconica, che produce quasi uno sbriciolarsi della compattezza magica. Tipico, a proposito, il finale di questa "Canzonetta degli amanti addormentati": "Il mondo col suo splendore / di marine e di città, / oggi è come un languido fiore / che domani morirà". Labilità e sicuro incedere verso la fine delle cose umane: la coscienza di questa fatale necessità intorbida a poco a poco le fantasticate visioni, e allora è come uno sgomento sinistro che le attraversa ("Selvaggia"). Ogni barlume di favola è scomparso, la consapevolezza del male e della morte scava al di sotto di tutte le apparenze di cui la realtà si riveste. L'amore stesso su cui si intessono le illusorie immagini della nostra fantasia trasfigurante ("Dalla tua bocca che geme / vino d'amore sgorga. / O solo guanciale pel capo dell'uomo"), è visto nel risvolto più tragico: "Ma sotto queste parole, / quando la pietra fu smossa, / v'era un doppio nodo d'ossa / che diventò polvere al sole" ("Canto d'amore"). Su questa umanità desolata, su questa terra dannata (e ci stiamo riferendo soprattutto alle liriche dell'ultimo gruppo) è un Dio verso il quale si scagliano le maledizioni delle creature torturate. Eppure quest'altro aspetto della poesia bettiana, quasi apocalittico, in cui gli astri ruinano, gli abissi sprofondano, il silenzio domina gli spazi, la terra è percorsa da fremiti misteriosi e un formicolare di uomini e di belve geme nell'attesa d'essere ingoiato dalla morte, si placa in qualche modo in una forma di tragica serenità. Indicative, al riguardo, "Peccato originale" e "Geroglifico", forse le più alte liriche della raccolta. Il presentimento inquieto della bontà, intanto, diviene più insistita invocazione religiosa nella necessità d'una fede: "Signore, / Signore, dacci per nutrimento / angoscia, coprici di lebbre e di terrore! / Ma tu, se odi le voci delle creature, rispondi! / Accendi per noi la stella senza tramonti!" ("Canto di operai"). Alla facilità e alle cadenze popolaresche della precedente raccolta, in queste poesie subentra un raggiunto illimpidimento espressivo che è il segno d'una maturità letteraria e d'un maggiore dominio del proprio mondo poetico
Alfredo Barbina
 

 

Luigi De Bellis