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Nazzareno, alias Vincenzo Cardarelli nacque a Cometo
Tarquinia nel 1887. Dopo aver presto interrotto gli studi
regolari, a diciassette anni si allontanò da casa e dopo
qualche peregrinazione si stabilì a Roma dove esercitò
vari mestieri (tra cui il correttore di bozze prima, e poi
il redattore all'«Avanti!» ). Nel 1911 si trasferì a
Firenze, dove frequentò gli ambienti letterari, diventando
collaboratore del «Marzocco» e della «Voce». Del 1916 è la
prima raccolta poetica, Prologhi. Dopo la guerra, cui non
partecipò perché riformato, ritornò a Roma dove fondò e
diresse «La Ronda». Visse in seguito, per lo più
appartato, sempre a Roma, dove morì nel 1959. Per qualche
tempo diresse «La Fiera letteraria». Nel 1936 pubblicò la
prima raccolta completa di Poesie, che ripubblicò più
tardi ampliate e rimaneggiate. Fra le sue opere (spesso
raccolte di prose e poesie, poi confluite nella citata
raccolta) ricordiamo: Viaggi nel tempo (1920), Prologhi
Viaggi Favole (1929), II sole a picco (1929).
Prologhi: La lezione dei classici
Dopo le inquietudini primo-novecentesche che in poesia si
erano concretate soprattutto nelle esperienze in vario
modo eversive dei crepuscolari, dell'avanguardia
futurista, dei "vociani" oscillanti tra espressionismo e
disadorno prosasticismo, alla fine della guerra si assiste
a un generale "ritorno all'ordine", di cui la rivista «La
Ronda» si fa l'interprete letteraria. E il ritorno alla
lezione di decoro formale, di composto dominio delle
passioni dei classici, che Vincenzo Cardarelli, teorico e
direttore della rivista, auspica e realizza nella sua
poesia.
Il programma cardarelliano e rondesco è del resto quello
di riportare la poesia e la prosa ai modi e ai livelli
espressivi di alcuni "classici moderni" (Leopardi primo di
tutti), di autori cioè che seppero essere moderni senza
ripudiare del tutto la lezione di equilibrio, armonia,
decoro formale dei classici antichi. L'aspirazione a una
modernità che sappia usare strumenti espressivi perenni e
toccare temi perenni è precisamente quanto si può evincere
dalla lettura dei testi cardarelliani.
Ha scritto Sanguineti che «la poetica di Cardarelli è
strettamente vincolata a un'idea, in parte leopardiana, di
eloquenza ragionativa e discorsiva», e Cardarelli stesso
lo dice a chiare lettere: «Che la mia poesia "discorra"
non c'è dubbio. Anzi corre precipitosamente allo scopo,
con un ritmo che non ammette divagazioni non concede
indugi, quantunque non sempre in modo graduale e pacifico.
Più spesso procede per giustapposizione di idee o di
immagini, per rifrazione di un medesimo concetto che,
accennato fin dalle prime sillabe, si svolge, se mi è
permesso dirlo, come un tema musicale. È la mia maniera di
esprimerlo. lo stesso intitolai le mie prime poesie I miei
discorsi... Non per nulla in Dante, in Petrarca, in
Leopardi, "ragionare" è sinonimo di poetare».
Non dunque la provocatoria babele linguistica del
futurismo, non le tensioni espressionistiche, né le
astrazioni o rarefazioni simbolistiche, non l'ostentazione
commossa o disperata dell'io, né tanto meno l'ironia sul
poeta e sulla poesia, né tutte le altre manifestazioni di
integrale "modernità"; e neppure la scarnificazione della
parola poetica ungarettiana, né il suo simbolismo
"ermetico". Ma un discorso pacato, moraleggiante,
riflessivo; un discorso rivelatore dell'io, certo, ma
sobriamente, senza grida o eccessi di tensione; un
discorso in cui l'esistenza e i sentimenti sono posti al
vaglio della ragione; e descrizioni paesistiche precise,
immagini nitide, da cui leopardianamente far scaturire la
riflessione personale e morale (esemplare Settembre a
Venezia). E, ancora, un linguaggio che ricerca, oltre al
nitore e al giro di frase classicamente atteggiato,
«l'esattezza definitoria» e che «esattamente all'opposto
che in tanta lirica moderna, [...] non lascia margini
sfocati di non detto» (Mengaldo).
Già il Contini, sulla medesima linea, aveva parlato per
Cardarelli di «un'ispirazione che non consente
ineffabilità», che mira cioè a dir tutto, ad esaurire le
possibilità espressive del concetto o dell'immagine che
costituisce il nucleo originario dell'ispirazione (di
un'ispirazione che al critico in questione e ad altri è
parsa spesso esile). In altri termini, dato un concetto o
un'immagine, Cardarelli costruisce il componimento come
un'ordinata ed eloquente variazione o espansione di
questo, finché egli senta esaurita le possibilità
espressive dell'idea che lo ha mosso. Si prenda ad esempio
Estiva, uno dei componimenti più antichi (che qualcosa
risente del D'Annunzio alcionico): un solo periodo,
espansione del vocativo iniziale (Distesa estate), tramite
quattro riprese adeguatamente variate dell'apposizione
«stagione»; nel primo caso seguono quattro specificazioni
(dei... dei... dei... dei...), nel secondo un attributo e
un'ulteriore apposizione (la meno dolente... felicità),
nel terzo due relative coordinate per asindeto (che
cadi..., dai oro), nel quarto due relative coordinate per
polisindeto (che porti... e sembri); le quattro occorrenze
di stagione si dispongono simmetricamente (2 + 2) ad
incorniciare la principale (nessuna... trabocca), che
divide armonicamente il periodo e il componimento in due
nuclei di nove versi ciascuno. E si noti ancora la scelta
oculata e doviziosa degli aggettivi.
A proposito di questo componimento ha scritto il Pozzi:
«Si tratta di una descrizione evocativa della stagione, di
tono alto, fino ad una leggera fantasia allegorica, che
ricorda molto la Nuda Aestas dannunziana. Solo che qui, in
Cardarelli, il tono alcionico è come congelato, ghiacciato
sotto lo spessore e la distanza di una memoria lontana,
studiosamente meditata, letteraria. Della sensuosità
dannunziana non vi è più nessuna traccia: irriconoscibili
le agitazioni e i bramiti dello scomposto faunismo; la
materia alcionica (quell'aria di felice, solare mito
mediterraneo) è sì riconoscibile, ma depurata da una
distanza aristocraticamente letteraria, raffreddata come
in una vitrea trasparenza da acquario ("ci si risveglia
come in un acquario"). È questo il risultato
dell'aggettivazione cardarelliana, studiata, misurata e
dosata».
Con il
contributo di Guglielmino e Grosser |